Italiano: si pronuncia Odissèo o Odìsseo? Cleòpatra o Cleopàtra?

18 Settembre 2025

Scopriamo se i nomi di origine greca, passati attraverso il latino, nell'italiano devono mantenere l'accentazione originaria oppure non è necessario.

Italiano: si pronuncia Odissèo o Odìsseo? Cleòpatra o Cleopàtra?

Uno dei dilemmi più affascinanti e ricorrenti che riguardano il lessico italiano affronta il tema della pronuncia dei nomi e dei termini di origine greca e latina. Si tratta di un problema che, a prima vista, può sembrare marginale o riservato agli specialisti, ma che in realtà ci tocca più spesso di quanto immaginiamo. Dove cade l’accento in parole come Teseo, Orfeo, Euridice, Cleopatra? E ancora: bisogna dire Èdipo o Edìpo, Tèseo o Tesèo? E per i tecnicismi: metonìmia o metonimìa?

La questione non è di poco conto, perché mette in luce la tensione tra due tradizioni diverse: quella greca, da cui provengono i nomi e le parole in questione, e quella latina, che li ha trasmessi alla nostra lingua.

Greco o latino? Due accenti in conflitto?

Il punto centrale è questo: in greco molti nomi e termini avevano accentazione sdrucciola, cioè con l’accento sulla terzultima sillaba (Tèseo, Èdipo, Mèdusa). Quando però sono passati attraverso il latino, la loro accentazione si è adattata alle regole della lingua latina, spostandosi spesso sulla penultima sillaba (Tesèo, Edìpo, Medùsa).

Il risultato è che in italiano ci troviamo con doppioni di pronuncia, entrambi in qualche modo legittimi. L’oscillazione è inevitabile, e non di rado crea incertezze anche tra i parlanti più esperti.

La posizione teorica: l’italiano come lingua neolatina

Se si volesse seguire una regola rigida, la soluzione sembrerebbe chiara: poiché l’italiano è una lingua neolatina, dovremmo rifarci all’accentazione latina. Questo significherebbe preferire Edìpo a Èdipo, Tesèo a Tèseo, necròsi a nècrosi.

In realtà, però, la pratica non è così semplice. L’uso ha imposto in molti casi l’accento alla greca, ed è difficile ignorare che alcune pronunce siano ormai entrate stabilmente nell’italiano corrente.

L’aneddoto di Eraclito

Un episodio emblematico riguarda il nome del filosofo Eraclito. Un docente universitario di greco, racconta chi scrive, precisò all’inizio di una lezione: «Mi raccomando, Eraclìto, alla latina, non Eràclito!». Eppure, per molti studenti e parlanti, la forma “greca” con accento sulla penultima era la più naturale.

Questo esempio mostra bene la tensione tra la norma teorica (latina) e l’abitudine diffusa (greca).

Le discipline specialistiche e i tecnicismi

Il problema si complica ulteriormente con i tecnicismi scientifici e medici, spesso derivati dal greco attraverso il latino. Alcuni casi:

  • necròsi è la forma preferita dai vocabolari, ma nècrosi è diffusissima nel parlato.

  • prognòsi sarebbe coerente con la regola latina, ma quasi nessuno la usa; prevale prògnosi.

  • diàtriba sarebbe la pronuncia corretta in base all’etimo, ma ormai quasi tutti dicono diatrìba.

Qui emerge con forza un principio essenziale: l’uso comune può prevalere sulla norma etimologica. Una pronuncia tecnicamente corretta, se non adottata da nessuno, rischia di sembrare artificiosa o addirittura sbagliata.

Quando l’uso vince sulla norma

Il caso di facòcero è illuminante. In teoria, sarebbe più corretto dire facocèro, ma chi usasse questa variante verrebbe probabilmente corretto dagli interlocutori. La forza dell’uso ha imposto una pronuncia diversa da quella etimologicamente fondata.

Lo stesso accade con città e toponimi: nessuno dice Tarànto (alla latina), ma tutti Tàranto (alla greca). Così pure, non diciamo econòmia ma economìa.

La regola della coerenza

Di fronte a questa oscillazione, quale comportamento adottare? La risposta più sensata non è fissarsi su una regola assoluta, ma puntare sulla consapevolezza e sulla coerenza.

Possiamo scegliere di orientarci verso la pronuncia latina, che ha un fondamento storico più vicino all’italiano, ma dobbiamo anche accettare che l’uso comune abbia imposto varianti greche o ibride. L’importante è evitare di mescolare senza criterio: non ha senso dire metonìmia in una frase e metonimìa nella successiva.

In altre parole, la lingua ci chiede soprattutto di dare un tono univoco al nostro discorso, scegliendo una delle varianti possibili e mantenendola.

Un compromesso tra etimologia e uso

Alla fine, il dubbio sugli accenti nei nomi greci e latini ci insegna una lezione preziosa: la lingua non è mai un sistema rigido, ma il risultato di una continua mediazione tra tradizione e uso. Da un lato, c’è la spinta a mantenere la coerenza etimologica con il latino; dall’altro, c’è la forza dell’abitudine, che legittima forme anche divergenti.

Il risultato è un compromesso dinamico, che può cambiare nel tempo: ciò che oggi sembra strano domani può diventare normale, e viceversa.

Il problema dell’accento nei nomi greci e latini è dunque lo specchio di una verità più ampia: l’italiano, come tutte le lingue, vive di tensioni tra regola e uso, tra tradizione e innovazione. Non esiste un “giusto” assoluto, ma esiste la consapevolezza di come la lingua si sia formata e di come venga effettivamente parlata.

Possiamo preferire Edìpo a Èdipo, Tesèo a Tèseo, ma non dobbiamo scandalizzarci se incontriamo varianti diverse. L’essenziale, come suggerisce la regola della coerenza, è scegliere un tono e mantenerlo, senza oscillare di continuo.

Così, tra accenti greci e latini, l’italiano ci ricorda che la sua vera legge è l’uso vivo e condiviso: un equilibrio tra radici antiche e voci contemporanee.

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