Italiano e cucina: “umami” oltre dolce, salato, amaro e acido

9 Novembre 2025

Scopriamo come questo termine giapponese è entrato a pieno titolo anche nel vocabolario italiano, nel lessico della cucina.

Italiano e cucina: "umami" oltre dolce, salato, amaro e acido

La parola “umami” è una delle più affascinanti e recenti acquisizioni del lessico italiano, un termine che unisce linguaggio, cultura e scienza del gusto. Proveniente dal giapponese, la parola umami (旨み o うまみ) può essere tradotta come “saporito”, “gusto buono” o “squisitezza”. Oggi è universalmente riconosciuta come il quinto gusto fondamentale, accanto ai tradizionali dolce, salato, amaro e aspro, e rappresenta un punto di svolta nella comprensione della percezione gustativa umana. La sua entrata nella lingua italiana, avvenuta tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, riflette non solo una scoperta scientifica, ma anche un cambiamento culturale profondo nel modo in cui si concepisce la gastronomia.

L’origine della parola e la sua comparsa nell’italiano contemporaneo

La storia dell’umami inizia nel 1908, quando Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università Imperiale di Tokyo, cercando di capire quale fosse la sostanza responsabile del sapore intenso del dashi (il brodo giapponese a base di alga kombu), riuscì a isolare il glutammato monosodico (MSG). Ikeda comprese che questo sapore non poteva essere classificato come dolce, salato, amaro o acido: era qualcosa di diverso, più profondo, che evocava la sensazione di “soddisfazione gustativa” tipica dei brodi e degli alimenti ricchi di proteine.

Ikeda battezzò questa nuova qualità sensoriale umami, un termine composto da umai (“delizioso, gustoso”) e dal suffisso -mi, che indica una qualità o una proprietà. La sua scoperta, tuttavia, non fu subito accettata a livello internazionale. Soltanto nel corso del Novecento, con il progredire delle ricerche nel campo della fisiologia del gusto, si dimostrò che l’umami aveva recettori specifici sulla lingua, analoghi a quelli che percepiscono il dolce o l’amaro, e che quindi meritava pienamente lo status di gusto fondamentale.

L’umami nella fisiologia del gusto

La percezione dell’umami è legata principalmente alla presenza di glutammati e nucleotidi, sostanze naturalmente presenti in molti alimenti proteici e fermentati. I recettori che riconoscono questo gusto appartengono alla famiglia dei recettori accoppiati a proteine G, in particolare il dimero T1R1 + T1R3, individuato da ricerche condotte all’Università di Miami.

L’esperienza gustativa dell’umami viene descritta come un piacere rotondo e persistente, una sensazione di pienezza che “riempie la bocca” e intensifica gli altri sapori. È quella nota che si percepisce nei brodi ricchi, nei formaggi stagionati, nei pomodori maturi, nei funghi porcini o nella salsa di soia. Quando alimenti diversi contenenti glutammati e nucleotidi vengono combinati — per esempio, pomodoro e parmigiano, o carne e funghi — l’effetto umami si potenzia, creando un gusto più profondo e appagante.

L’umami come ponte culturale

L’ingresso della parola umami nel lessico italiano dagli anni Novanta in poi riflette un processo di globalizzazione gastronomica e un crescente interesse per le culture alimentari orientali. Fino ad allora, la cucina italiana si basava su una concezione del gusto legata ai quattro sapori fondamentali, mentre l’idea di un “quinto gusto” sembrava estranea. Tuttavia, la scoperta che molti piatti tradizionali italiani — come il sugo al pomodoro, il risotto ai funghi o la parmigiana di melanzane — possiedono naturalmente una forte componente umami ha portato a un riconoscimento quasi “retroattivo” di questa dimensione sensoriale.

In effetti, umami non è un gusto estraneo alla tradizione italiana, ma una chiave scientifica per comprendere perché certi piatti risultino così appaganti. La lunga stagionatura del Parmigiano Reggiano, la concentrazione dei pomodori in salsa, o il brodo di carne della domenica evocano tutti la stessa sensazione di pienezza e profondità che i giapponesi, secoli fa, avevano imparato a riconoscere e a nominare.

Umami e linguaggio: una parola nuova per un gusto antico

Dal punto di vista linguistico, umami è un prestito integrale dal giapponese, entrato nella lingua italiana senza traduzioni o adattamenti fonetici. Ciò riflette la difficoltà di rendere in italiano una nozione così specifica e al tempo stesso universale. La parola ha mantenuto la sua forma originale anche in altre lingue, come l’inglese e il francese, segno della sua forza espressiva e del suo valore scientifico.

In italiano, umami è oggi usato sia come sostantivo (“L’umami del brodo è intenso”) sia come aggettivo (“Un sapore umami”), e ha assunto anche una dimensione culturale e gastronomica. La parola evoca eleganza, conoscenza sensoriale e attenzione alla qualità del cibo, diventando un termine chiave nel linguaggio della cucina contemporanea e dell’alta ristorazione.

Umami e identità gastronomica moderna

L’idea di umami ha rivoluzionato la cucina moderna, influenzando non solo la scienza dell’alimentazione, ma anche la filosofia culinaria. Grandi chef, come Ferran Adrià o Massimo Bottura, hanno esplorato l’uso dell’umami per creare piatti che stimolano la memoria e la percezione gustativa in modo più complesso. È un gusto che unisce Oriente e Occidente, tradizione e innovazione, scienza e piacere.

In un certo senso, l’umami è diventato anche un simbolo del gusto globale: la prova che la percezione del cibo non è soltanto un fatto biologico, ma anche culturale. Ogni cultura, infatti, ha i suoi “portatori di umami”: in Giappone la kombu e la salsa di soia, in Italia il pomodoro e il formaggio, in Francia il brodo e i funghi, in Sudamerica le carni grigliate.

La parola umami racconta l’incontro tra scienza, cultura e linguaggio. Entrata nel vocabolario italiano solo di recente, essa rappresenta un ponte tra mondi diversi, ma accomunati dalla ricerca del piacere gustativo. Non è solo una scoperta scientifica, ma una rivelazione poetica: ci ricorda che il gusto non è fatto solo di contrasti — dolce e amaro, acido e salato — ma anche di armonia, di quella “saporita completezza” che rende un cibo irresistibile.

In definitiva, umami è una parola che insegna qualcosa di profondo: il gusto è universale, ma il linguaggio che lo descrive evolve con la conoscenza e con l’apertura culturale. E come accade per tutte le parole che attraversano i confini, la sua forza non è solo nel significato, ma nella capacità di unire mondi diversi attorno a un’unica, semplice sensazione: quella del “buono”.

© Riproduzione Riservata