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Italiano: è corretto dire e scrivere “a gratis” e “aggratis”?

Scopriamo leggendo questo articolo se secondo l'italiano è corretto scrivere e dire "a gratis" e "aggratis" anziché semplicemente gratis.

Nella lingua italiana, poche espressioni come gratis e a gratis riescono a suscitare discussioni tanto accese quanto curiose. La prima, universalmente accettata nei contesti formali e informali, è una parola che ormai appartiene stabilmente all’italiano standard. La seconda, “a gratis”, pur condividendo lo stesso significato — cioè “gratuitamente” — è invece ancora oggi considerata un uso popolare, talvolta scorretto, spesso ironico, eppure sempre più diffuso nella lingua parlata e anche scritta. Comprendere la storia di queste due forme ci permette non solo di esplorarne il significato e l’evoluzione, ma anche di riflettere più in generale sui mutamenti della lingua italiana e sul rapporto tra norma e uso.

Origini latine e prime attestazioni nell’italiano

La parola gratis proviene direttamente dal latino ed è la forma contratta di gratiis, ablativo plurale del sostantivo gratia. In latino classico, il termine indicava un’azione compiuta per favore, per benevolenza, e da qui il significato moderno di senza pagamento. L’italiano accolse questa parola già nel Quattrocento — il primo esempio risale a Vespasiano da Bisticci — ma essa impiegò parecchio tempo per entrare ufficialmente nei dizionari.

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, infatti, non include gratis come lemma autonomo fino alla quarta edizione (1729-1738). Nelle versioni precedenti, il termine era relegato a nota marginale nelle definizioni di espressioni come “graziosamente” o “di bando”, segno evidente della sua percezione come latinismo non ancora pienamente integrato nell’uso italiano.

L’arrivo di “a gratis”

La forma “a gratis”, considerata da molti un errore, ha in realtà una storia che risale almeno all’Ottocento, soprattutto in ambito dialettale. I dizionari regionali del Nord Italia ne testimoniano la diffusione: nel Vocabolario piemontese-italiano di Michele Ponza da Cavour (1830-1833), la locuzione “a gratis” è definita come “senza mercede, premio, ricompensa”; nel Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini (1840), compare l’esempio “Daa a gratis, gratisdato”; nel Vocabolario bergamasco-italiano di Stefano Zappettini (1859) ritroviamo ancora la stessa definizione.

Dalle regioni settentrionali, a gratis si è poi diffuso più ampiamente, probabilmente anche grazie alla lingua giornalistica. Già nel 1851, nella Gazzetta del Popolo di Torino, si trova un annuncio in cui si parla di un calesse offerto “a gratis” agli ospiti di un albergo. Da allora, l’espressione ha avuto fortuna nella stampa popolare e sportiva, e ha continuato a comparire in contesti ironici o vivaci, spesso legati al parlato quotidiano.

L’uso nella lingua contemporanea

L’uso di a gratis ha creato una spaccatura tra chi lo considera un “mal vezzo” da correggere — come segnala già il Dizionario moderno di Hoepli del 1918 — e chi lo difende come espressione legittima dell’italiano popolare e dialettale. Grammatiche moderne come quella di Dardano e Trifone (1993) classificano a gratis tra i tratti “popolare-incolti”, alla stregua di imparare al posto di insegnare o mal caduto per mal caduco (epilessia).

Nonostante le critiche, la forma si è ampiamente radicata nell’uso, anche grazie a un contesto comunicativo che privilegia sempre più l’informalità. La rete e i social media hanno accelerato questo processo: oggi a gratis compare in circa 244.000 risultati online, e le sue varianti “popolaresche” come aggratis (42.200 occorrenze) e aggratisse (64.800 occorrenze), con e paragogica finale, mostrano quanto sia produttiva la creatività linguistica nel riprodurre pronunce regionali o marcate.

Una questione di registro

Nel parlare e nello scrivere, la scelta tra gratis e a gratis non è solo grammaticale ma anche pragmatica e stilistica. Mentre gratis è la forma neutra, standard, adatta a ogni contesto formale e informale, a gratis ha una sfumatura più popolare, colloquiale, e spesso ironica. È importante quindi sapere quando e come usarla: in un discorso accademico o in un documento ufficiale, meglio attenersi a gratis; in una conversazione informale, una battuta o un articolo di tono vivace, a gratis può essere usata consapevolmente per creare effetto.

Inoltre, a gratis si avvicina ad altre espressioni italiane con valore semantico affine e struttura simile, come a scrocco, a sbafo, a ufo, tutte costruite con la preposizione a seguita da un sostantivo o avverbio informale. Questo rafforza la naturalezza percepita della formula a gratis, rendendola parte di un sistema più ampio di espressioni colloquiali che indicano un’azione svolta senza pagamento.

L’evoluzione delle forme gratis e a gratis mostra come la lingua italiana sia il risultato di una continua tensione tra norma e uso, tra tradizione e innovazione. La prima, di origine latina, ha trovato posto nella lingua alta e nella comunicazione standard; la seconda, figlia dei dialetti e del parlato, ha conquistato i media e la rete, trasformandosi da “errore” a marchio stilistico.

Come spesso accade in linguistica, non esistono forme intrinsecamente “giuste” o “sbagliate”: tutto dipende dal contesto, dall’intenzione comunicativa e dal pubblico a cui ci si rivolge. Saper distinguere tra i due usi e impiegarli con consapevolezza è forse il modo migliore per navigare tra le sfumature dell’italiano contemporaneo. Per saperne di più rimandiamo all’esaustivo articolo redatto dall’Accademia della Crusca: Gratis, addirittura a gratis.

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