Sei qui: Home » Lingua Italiana » Il significato delle parole più usate sui social network

Il significato delle parole più usate sui social network

Da LOL a WTF, fino a flaming e L337: Babbel ha realizzato la raccolta delle parole per capire i termini più usati dai giovani in rete

Ogni generazione ha il proprio social network e il proprio vocabolario di parole. Una ricerca condotta da Global Web Index evidenzia come Facebook sia la piattaforma social più usata dai Baby Boomers, che la utilizzano regolarmente nel 69% dei casi. Gli stessi Baby Boomers sono anche la generazione che più di tutte ha incrementato l’utilizzo di Instagram e Whatsapp, con aumenti rispettivamente del 60% e del 44% nei due anni di osservazione. Una relazione, quella tra Baby Boomers e tecnologia, a volte complicata, che vede i nati tra il 1946 e il 1964, affrontare scenari tecnologici estremamente distanti, se non impensabili, rispetto alla società in cui sono cresciuti.

Adattarsi al moderno contesto tecnologico non è però una sfida facile. Gli sfottò di figli o nipoti sono spesso ingenerosi, per quanto inevitabili. Per questo, Babbel ha voluto stilare un glossario dei termini da social, ovvero una panoramica delle parole e dei neologismi digitali più usati sulle piattaforme virtuali, soprattutto dalla Generazione Z.

Il significato dei meme più famosi

La nascita del tormentone “Ok, boomer” è dovuta anche al relativo meme. Ma di cosa si tratta? Tale termine deriva dal greco mímēma, significa “imitazione” e serve per indicare un contenuto divertente o bizzarro, che può essere un’immagine, un video, una foto o anche una frase, che in poco tempo si diffonde in maniera virale, diventando un vero e proprio tormentone. I più giovani apprezzano particolarmente l’ironia che spesso ne scaturisce, tanto che alcuni meme diventano dei veri e propri simboli dell’attuale cultura giovanile. Uno dei più diffusi è quello che ritrae l’attore Jackie Chan con l’acronimo WTF.

Da "cosa" a "tutto", le 50 parole più utilizzate della lingua italiana

Da “cosa” a “tutto”, le 50 parole più utilizzate della lingua italiana

La lingua italiana è ricca di vocaboli ed espressioni, ma spesso, soprattutto nel linguaggio parlato, tendiamo ad usare sempre le solite parole. Ecco le più comuni

Questa abbreviazione deriva dall’espressione inglese “what the fuck”, una maniera non molto elegante per esprimere perplessità e disaccordo su un certo argomento. I personaggi famosi diventano spesso meme, tanto che il volto di Yao Ming, uno dei giocatori di basket più noti della sua generazione, viene spesso usato per comunicare una forte risata. In questo caso si utilizzano le espressioni LOL, che è l’acronimo di “laughing out loud”, letteralmente significa “ridere ad alta voce”, oppure LMAO, l’abbreviazione di “laughing my a** off”, ovvero “morire dalle risate”.

Leoni da tastiera, troll e flamer: le insidie del web

Internet è spesso fonte di dibattiti e per affrontarli serenamente bisogna cercare di difendersi dai cosiddetti “keyboard warriors” che in italiano prendono il nome di “leoni da tastiera”. Con questa espressione ci si riferisce a coloro che approfittano dell’anonimato online per esprimere giudizi aggressivi e criticare incessantemente tutto e tutti. Spesso questi utenti, deboli nelle argomentazioni, puntano sul creare confusione e fanno “trolling”, termine inglese usato per indicare l’invio di parole e messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi. Non vi è un equivalente italiano, ma una delle regole d’oro web è quella di non “farsi trollare”.

Diverso è invece il “flaming”, dall’inglese “fiamma”, termine che nel gergo delle comunità virtuali indica un messaggio deliberatamente ostile e provocatorio inviato da un utente alla comunità o a un altro individuo specifico. “Flaming” è l’atto di inviare tali messaggi, “flamer” chi li invia, e “flame war” (“guerra di fiamme”) è lo scambio di insulti che spesso ne consegue, paragonabile a una rissa virtuale.

Per evitare di scadere in inutili polemiche è consigliabile mantenere un tono diplomatico. Se qualcosa non è chiaro si può scrivere “ELI5”, dall’inglese “explain like I’m five”, ovvero “spiegami come se avessi 5 anni”. Se invece non si condivide l’opinione di qualcuno, si può introdurre le proprie argomentazioni con “IMHO”, abbreviazione di “in my humble opinion”, traducibile in italiano con “secondo la mia modesta opinione”. Quando proprio non si riesce a far cambiare idea al proprio interlocutore, si può sempre cambiare argomento con “BTW”, l’abbreviazione di “by the way”, che significa “ad ogni modo”. Se invece le discussioni riguardano argomenti delicati allora è meglio non discuterne in pubblico. Su Facebook si manda una PM, ovvero “private message”, mentre su Instagram un “direct”.

Il linguaggio degli influencer

Su Facebook e Youtube si “lascia un like” o si “spollicia”, ovvero si mette mi piace a post o a video creati dagli influencer. Su Instagram invece si “followa”, ovvero si comincia a seguire regolarmente i contenuti proposti da una determinata pagina. Mentre su Twitter si retwetta, ovvero si risponde al tweet di qualcuno con un proprio commento. In tutti i social, la regola d’oro dei creatori di contenuti rimane sempre “sharing is caring”, che in italiano si può tradurre con “condividere significa tenerci”. Ci si riferisce all’azione di pubblicare direttamente sui propri profili un certo contenuto, per garantire allo stesso una reach maggiore e sostenere l’autore dello stesso.

I contenuti e le parole che hanno maggior successo online sono spesso quelli più genuini. A volte sono accompagnati dalla frase “true story” (“storia vera”), proprio per sottolineare la veridicità di quanto si è reso pubblico. All’estremo opposto ci sono invece i contenuti “clickbait”, traducibili in italiano con “acchiappa-click”. Sono ad esempio i titoli ingannevoli dei giornali online, oppure la denominazione di un video completamente diversa dal suo contenuto. In questo caso l’unico obiettivo è fare aprire un certo link. Quando gli strafalcioni vengono da realtà grandi e importanti, generano i cosiddetti “epic fail”, termine che in italiano si traduce con “fallimento epico”. Esso può portare al “facepalm”, un inglesismo atto a descrivere il gesto fisico che consiste nel porre una mano aperta sopra il viso o nell’abbassare il viso all’interno di una o due mani in segno di vergogna.

Il linguaggio dei videogiochi

I videogiochi stanno diventando sempre più un business per “grandi”. Anche tra i gamers si è diffuso un vocabolario ad hoc. I più bravi vengono chiamati “L337”, che in lettere diventa “Leet”, un termine gergale derivato dalla parola “elite”; i meno capaci invece vengono etichettati come “n00b”, che si rifà invece a “newbie” che significa “principiante”. Laggare è invece un’italianizzazione che deriva da “lag” – “ritardo” e significa che la propria connessione è lenta e il gioco va a scatti; questa espressione è spesso usata come scusa per giustificare una sconfitta; “IRL”, l’acronimo di “in real life” – “nella vita reale”, si usa invece per evidenziare scenari di gioco eccessivamente irrealistici. Quando ci si prende una pausa si può scrivere ai propri compagni di partita “BRB”, acronimo di “be right back”, ovvero “torno subito”. Mentre per complimentarsi si può scrivere semplicemente “GG”, ovvero “good game” – “bella partita”.

© Riproduzione Riservata