Nella lingua italiana odierna, forme come fàccino e venghino suonano come errori grossolani, al punto che il loro utilizzo è spesso associato a comicità o ignoranza linguistica, in particolare grazie a personaggi come il ragionier Fantozzi creato da Paolo Villaggio. Tuttavia, queste forme verbali, che oggi suscitano una forte sanzione sociale, hanno avuto un ruolo ben diverso nei secoli passati, tanto da essere utilizzate da grandi autori come Dante e Ariosto.
Ecco un estratto di Luca Serianni tratto dal suo Viaggiatori, musicisti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana:
è tutt’altro che raro che le scritture del passato offrano esempi di forme che oggi risultano devianti e suscitino [sic], anzi, una forte sanzione sociale. Si pensi ai congiuntivi analogici in ‑i dei verbi irregolari della prima classe vadi, vadino, facci, faccino […]
Sono forme che, oggi, appartengono alle scritture popolari e che squalificherebbero chi le facesse proprie anche nel parlato informale: negli anni Settanta la fortunata serie del Fantozzi di Paolo Villaggio faceva leva tra l’altro su forme come vadi o facci per ridere alle spalle dello sfortunato ragioniere.Eppure, in passato, forme del genere erano abbastanza frequenti anche in scrittori di raffinata cultura: da Dante ad Ariosto. Dalla LIZ 2.0 ricaviamo che vadi, vadino, facci, faccino sono largamente attestati dal Duecento (Guittone d’Arezzo e Novellino) al Leopardi delle Operette morali. I grammatici ottocenteschi prendevano le distanze da congiuntivi del genere ma, trovandone qualche esempio nei classici, non li consideravano (come avverrebbe oggi in qualsiasi scuola da Chiavenna a Sciacca) errori marchiani.
Paolo Villaggio, Fantozzi e l’italiano substandard nei suoi film
Questa dicotomia tra il passato prestigioso di certe forme linguistiche e il loro attuale declassamento rende evidente come la lingua sia un’entità in continuo mutamento, soggetta a evoluzioni che possono trasformare elementi un tempo accettati o addirittura normali in segnali di sgrammaticature.
Le forme verbali fàccino e venghino appartengono a una categoria di congiuntivi definiti “analogici” perché si formano secondo la logica che associa le desinenze comuni ai verbi regolari anche a quelli irregolari. Ad esempio, verbi della prima coniugazione come amare danno origine a congiuntivi regolari come amino, mentre il verbo irregolare fare presenta oggi forme corrette come facciano. Tuttavia, nei secoli passati, il principio dell’analogia rendeva perfettamente accettabile anche il congiuntivo fàccino.
Come sottolinea il linguista Luca Serianni, queste forme erano comunemente presenti nelle opere dei più grandi scrittori della nostra letteratura, da Guittone d’Arezzo e il Novellino fino a Leopardi, passando per Dante e Ariosto. Non erano percepite come errori, ma come alternative perfettamente plausibili all’interno di una norma meno rigida rispetto a quella attuale.
Il progressivo disuso di forme come fàccino e venghino è strettamente collegato all’evoluzione della grammatica normativa. Con il consolidarsi di una standardizzazione più rigorosa, soprattutto tra Ottocento e Novecento, alcune forme sono state escluse dal repertorio accettabile, anche se continuavano ad apparire nei testi dei classici.
I grammatici dell’Ottocento, come ricorda Serianni, si mostravano comunque cauti nel dichiarare errate queste forme. Sebbene prendessero le distanze dai congiuntivi analogici, il fatto che si trovassero in autori di grande prestigio culturale impediva loro di condannarli con severità. Tuttavia, con l’affermarsi di un’educazione scolastica nazionale uniforme nell’Italia unificata, si è imposta una grammatica prescrittiva che relegava fàccino e simili nell’ambito degli errori marcati e da evitare.
L’uso comico e popolare nell’Italia contemporanea
Oggi, forme come fàccino e venghino sono percepite come segnali di un livello basso di istruzione, un po’ come il vadi o il facci del ragionier Fantozzi. Villaggio utilizza queste sgrammaticature non per caso: diventano infatti simbolo di un’inadeguatezza sociale e culturale che contribuisce alla comicità del personaggio.
Tuttavia, al di fuori di contesti volutamente umoristici, queste forme si incontrano ancora nella parlata colloquiale e nelle produzioni linguistiche spontanee, specialmente in aree dove l’italiano è parlato come seconda lingua accanto a un dialetto o dove la conoscenza grammaticale non è particolarmente approfondita. Questo fenomeno dimostra come la percezione di “errore” non sia uniforme, ma legata al livello di formalità e al contesto sociale.
Al di là della loro attuale percezione negativa, fàccino e venghino sono esempi preziosi del funzionamento e della trasformazione della lingua italiana. La loro presenza nei testi di autori del passato testimonia l’importanza della flessibilità linguistica e dell’analogia nel modellare il sistema verbale italiano.
La lingua non è mai statica, ma evolve attraverso spinte creative e standardizzanti che riflettono i cambiamenti sociali e culturali. Forme un tempo comuni possono diventare arcaiche o volgari, mentre altre acquisiscono prestigio o neutralità. Questa dinamica rende la lingua uno specchio fedele della società, con i suoi valori e i suoi mutamenti.
Studiare le forme oggi considerate “devianti” ma accettate nel passato offre un’opportunità per riflettere sull’importanza della storia della lingua e sull’arbitrarietà di molte norme grammaticali. Dietro ogni “errore” si nasconde spesso una stratificazione di usi e significati che meritano di essere compresi e valorizzati.
Accettare che la lingua sia fluida e in perenne movimento è fondamentale per approcciarla con curiosità e rispetto, evitando rigidità eccessive che spesso finiscono per impoverirne la ricchezza. E forse, guardando al passato, possiamo scoprire che anche nei dettagli apparentemente sbagliati risiede una parte della bellezza della nostra lingua.