L’etimologia della parola della lingua italiana “lapalissiano” ha un’origine tanto curiosa quanto interessante. Deriva dal nome del capitano francese Jacques de Chabannes, signore de La Palice, un militare vissuto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, noto per il suo coraggio in battaglia. Tuttavia, ciò che ha reso il suo nome immortale nella lingua italiana (e non solo) è una strofetta ingenua e involontariamente ironica cantata dai suoi soldati dopo la sua morte nella battaglia di Pavia del 1525.
Secondo la canzone, composta per celebrarne il valore, si diceva: “Un quart d’heure avant sa mort Il était encore en vie”, ovvero “Un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita”. Questa frase, in sé perfettamente logica, divenne famosa per la sua ovvietà, tanto da essere considerata ridicola. Da qui nacque il termine “lapalissiano”, che oggi indica una verità talmente evidente da risultare superflua o persino comica nel suo enunciato.
Circa cento anni dopo, Bernard de La Monnoye, accademico di Francia, poeta e letterato, intitolò a La Palice una canzone dove lo prendeva in giro come campione per antonomasia della banalità e della scontatezza. Il brano ebbe gran successo, poi finì nel dimenticatoio ma fu recuperato da Edmond de Goncourt nel secolo XIX, che coniò il termine lapalissade. A partire da quel momento, il nome del defunto maresciallo fu ricordato principalmente per l’aggettivo a cui aveva dato vita, senza avervi minimamente dato causa, quindi, se ne deduce, ingiustificatamente.
Lapalissiano: etimologia e uso dell’aggettivo della lingua italiana
In italiano, “lapalissiano” è un aggettivo che descrive un’affermazione ovvia e scontata, una verità talmente manifesta che enunciarla risulta quasi ridicolo. Ad esempio:
“È lapalissiano che il sole sorge ogni mattina.”
“La sua osservazione è così lapalissiana da risultare inutile.”
Si può trovare il termine anche in contesti ironici o sarcastici, per sottolineare l’inutilità di un’ovvietà. Ad esempio, in un dibattito politico, un interlocutore potrebbe dire: “È lapalissiano che il governo debba occuparsi del bene pubblico”, come per dire che si tratta di una verità talmente scontata da non meritare nemmeno di essere sottolineata.
Un uso più raffinato della parola può essere visto anche nel linguaggio giornalistico e letterario. Scrittori e oratori la utilizzano per enfatizzare il carattere banale o tautologico di certe affermazioni, ridicolizzandole sottilmente. Il termine si presta bene anche per il dibattito filosofico, quando si vuole mettere in evidenza la differenza tra una verità profonda e un’ovvietà priva di valore argomentativo.
L’avverbio “lapalissianamente” e varianti linguistiche
L’aggettivo ha anche un uso avverbiale, seppur meno comune, nella forma “lapalissianamente”, che significa “con una chiarezza ovvia ed evidente”. Ad esempio:
“Ha dichiarato lapalissianamente che due più due fa quattro.”
Sebbene non sia una parola di uso quotidiano, “lapalissiano” rimane ben radicato nel vocabolario italiano e compare spesso in contesti accademici, culturali e ironici.
Altri esempi celebri di verità lapalissiane
Oltre alla celebre frase attribuita ai soldati di La Palice, esistono molte altre affermazioni che possono essere considerate lapalissiane. Eccone alcune:
“Chi è nato il 1° gennaio festeggia il compleanno quel giorno.”
“Perdere qualcosa significa non trovarla più.”
Queste frasi esprimono verità talmente scontate che il loro enunciato appare inutile o addirittura comico.
Una lapalissiana conclusione
L’origine della parola “lapalissiano” è una dimostrazione affascinante di come un semplice fraintendimento linguistico possa dare vita a un concetto duraturo e diffuso. Da una frase cantata con intenzioni celebrative è nato un termine che oggi usiamo per indicare l’ovvietà in modo ironico o critico.
Usare “lapalissiano” nel giusto contesto può aggiungere un tocco di raffinatezza e sottile umorismo a una conversazione o a un testo scritto. Per questo motivo, questa parola continua a essere una risorsa preziosa per chi ama giocare con la lingua e sottolineare con eleganza l’inutilità di certe affermazioni.