I seguenti due endecasillabi contenuti nella Divina Commedia di Dante sono di possente memorabilità, destinati ad incontrare enorme fortuna nella tradizione letteraria successiva. Ugo Foscolo li cita all’inizio al suo romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis, rilanciandoli dunque verso l’età risorgimentale, durante la quale Dante avrà una enorme fortuna e assurgerà a pater patriae.
Libertà va cercando ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta
Torniamo al contesto del canto esordiale della seconda cantica: i versi – pronunciati da Virgilio – sono indirizzati a Catone l’Uticense, il custode del Purgatorio, il quale, vedendo i due turisti dell’oltretomba dirigersi verso di lui, li scambia per due anime dannate dell’Inferno che sono riuscite a evadere dal cieco carcere (vv. 40 – 41 «Chi siete voi che contro al cieco fiume / fuggita avete la pregione eterna?»).
[su_posts id=”146379″]
Il poeta latino spiega a Catone chi sono e qual è il senso del loro viaggio. Dante è un vivo al quale è stata concessa la possibilità di esplorare i regni oltretombali per consegnare all’umanità un messaggio di redenzione. A lui spetta il compito di guidarlo nel suo itinerario oltremondano fino alle soglie del Paradiso terrestre. Dante è dunque alla ricerca della libertà, parola di enorme pregnanza semantica ed emotiva, che va correttamente intesa come emancipazione, affrancamento dal peccato, libertà dello spirito insomma. Catone – continua Virgilio – conosce benissimo questa parola: per lei ha sacrificato addirittura la propria esistenza.
[su_posts id=”151207″]
Il sacrificio di Catone
Catone l’Uticense è stato un grande personaggio della storia antica, vissuto nel I sec. a.c., nell’epoca delle guerre civili e fratricide che determinarono il collasso delle istituzioni tardorepubblicane e la transizione verso una nuova forma di governo: il principato. Egli si tolse la vita a Utica, città a nord di Cartagine, dopo che – nel 48 a.c. Cesare aveva definitivamente sconfitto Pompeo nella battaglia di Farsalo. Preferì morire, piuttosto che vivere sotto la tirannide cesariana. La notte prima di compiere il gesto definitivo, Catone rilesse il Fedone, il dialogo platonico incentrato sull’immortalità dell’anima.
L’autore della Commedia aveva a disposizione diverse fonti relative alla guerra civile, la più importante delle quali era il poema di Lucano, Pharsalia, dove la vicenda è narrata in una prospettiva filopompeiana.
[su_posts id=”150949″]
I critici si sono a più riprese domandati come mai Dante non collochi Catone all’Inferno, nella selva dei suicidi.
Il poeta – perfettamente in linea con la morale cristiana – considera il suicidio un gesto gravissimo, punito nelle modalità descritte nel canto tredicesimo della prima cantica. Perché Catone fa eccezione?
Il motivo è il seguente: il suicidio di Catone non è un gesto meschino, egoistico, ma è un’iniziativa dotata di un altissimo profilo ideologico, che lo trasforma in un martire repubblicano: egli volle ribadire con ciò che aveva di più caro – la sua stessa vita – il principio morale più importante e inalienabile: la libertà. Aggiungo inoltre che nella filosofia pagana, sopratutto ellenistica, il suicidio è la prerogativa del sapiens, il quale è il padrone assoluto della propria esistenza e può decidere di uscire dal mondo quando preferisce. Non ha – al contrario del resto dell’umanità – nessun meschino attaccamento ai beni mondani.
[su_posts id=”151469″]
Lo scopo del viaggio di Dante
La Commedia dantesca ha un chiarissimo obiettivo extra – letterario, ossia la renovatio mundi, la palingenesi spirituale del genere umano. Dante è l’everyman, la concrezione individuale del genere umano, in cammino per rinnovare l’umanità dell’uomo sulla terra. Come leggiamo nell’Epistola a Cangrande (lettera nella quale il poeta spiega la finalità della sua opera) l’obiettivo della Divina Commedia è quello di «remore viventes in hac vita de statu miseriae et perducere ad statum felicitatis» (rimuovere gli uomini dalla miseria del presente e condurli verso uno stato di felicità).
Quella di Dante è una delle utopie letterarie più belle di sempre: consiste nella fiducia che un libro possa cambiare il mondo. Come diranno gli umanisti – qualche decennio dopo – litteris servabitur orbis (il mondo sarà salvato dalla Letteratura).
Dario Pisano