Grave e acuto: sono questi i due tipi di accento utilizzati nella lingua italiana. Spesso vengono confusi e utilizzati in modo sbagliato; molti, infatti, credono che non ci sia differenza tra un tratto “rivolto a destra” è un altro che “punta a sinistra”.
Raccogliendo una serie contributi, facciamo chiarezza sul suo corretto uso, quali funzioni svolge questo particolare segno linguistico e infine quali sono gli errori da evitare.
Cos’è l’accento
In italiano l’accento consiste nell’aumento dell’intensità con cui viene pronunciata una sillaba (detta sillaba tonica), che acquisisce così maggior rilievo rispetto alle altre sillabe della stessa parola. Le parole si distinguono a seconda della sillaba sulla quale cade questo tratto linguistico.
Esistono in lingua italiana due principali tipi di accento: acuto e grave: scopriamo la loro differenza grazie all’Accademia della Crusca.
La differenza tra acuto e grave
Esistono due diversi tipi di accento che possono caratterizzare le parole. Quello di perché, per esempio, non è lo stesso di caffè: il primo, che va dal basso verso l’alto, si chiama acuto, mentre il secondo, che va dall’alto verso il basso, si chiama grave.
In genere, quando si scrive, non si fa attenzione al tipo di accento, e lo si segna come un trattino obliquo da appoggiare distrattamente sulla vocale finale. Ma nell’uso veramente corretto le cose non stanno così: con quello acuto (‘) indichiamo la e chiusa di perché, con l’accento grave (`) indichiamo la e aperta di caffè.
Se si vuole scrivere un maniera impeccabile, occorre rispettare queste differenze: soprattutto se non si scrive a mano, ma si utilizza una macchina per scrivere o il computer, occorre distinguere fra la é e la è: sulla tastiera c’è un tasto apposta per farlo.
Alcuni esempi e dubbi
Di seguito, un l’elenco della parole più comuni che richiedono l’accento acuto sulla e finale: affinché, benché, cosicché, finché, giacché, né, nonché, perché, poiché, purché, sé (quando è pronome: “Marco pensa solo a sé”), sicché, ventitré e tutti i composti di tre (trentatré, quarantatré, centotré, ecc.); infine, le terze persone singolari del passato remoto di verbi come battere, potere, ripetere, ecc.: batté, poté, ripeté, ecc.
In tutti gli altri casi, l’accento sulla e finale è grave. Occorre ricordare, in particolare, di segnarlo sulla terza persona del presente indicativo del verbo essere: è, su tè e su caffè.
A questo link, è disponibile una lista di termini dall’accentazione “dubbia”, per i quali gli accademici della Crusca propongono l’accentazione (più) corretta.
I vari tipi di accento
Non solo acuto e grave: esistono altri tipi di accento e ulteriori classificazioni esistenti di questo segno grafico, in base alla sua funzione, che in molti non conoscono. Scopriamoli insieme grazie a Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche.
Quando, in lingua, si parla di accento si intende quello ‘tonico’ che è quello per eccellenza in quanto, come dice la stessa parola, dà il “tono” alla parola medesima. Ma, come probabilmente tutti non sanno, non è l’unico. Oltre a quello tonico (che non si segna graficamente) ci sono quelli grafici (acuto, grave e circonflesso, quest’ultimo adoperato, per lo più, nelle lingue straniere) e quello… “logico” (anche se ‘misconosciuto’ e, quindi, non registrato dalle grammatiche e dai vocabolari).
Come la modulazione della voce, “posandosi” su una sillaba della parola (accento tonico), dà maggior risalto e colorito a questa sillaba, così in un periodo la modulazione della voce si ‘posa’ in modo particolare e determinante su una sola parola fra le tante per darle maggiore evidenza, per “distinguerla”, insomma, da tutte le altre.