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A caval donato non si guarda in bocca, origine e significato del modo di dire

''A caval donato non si guarda in bocca" è un celebre modo di dire. Ma come nasce tale espressione? Scoprilo in questo articolo.

A caval donato non si guarda in bocca” è un celebre modo di dire che viene tramandato di secolo in secolo: di certo l’avrete sentita dire la prima volta da qualcuno più grande di voi, magari dopo che vi è stato regalato qualcosa che non avete molto gradito. Ma come nasce tale espressione? Cosa indica in particolare la dentatura di questo animale? Scopriamolo in questo articolo.

Il significato di “A caval donato non si guarda in bocca”

La locuzione “a caval donato non si guarda in bocca” viene utilizzata per indicare che non bisogna giudicare un regalo, ma esserne comunque grati a prescindere dal suo valore.

Educazione vuole, infatti, che tutto ciò che viene regalato venga accettato così com’è, perché rappresenta qualcosa di guadagnato; sarebbe cattiva educazione fare commenti negativi sulla qualità del regalo che si riceve.

La celebre espressione è un invito quindi ad essere sempre riconoscenti a chi ci regala qualcosa anche se di scarso valore; come rafforzativo di tale concetto esiste inoltre un altro celebre detto: “quel che conta è il pensiero”. Quindi non lamentiamoci della “dentatura” del regalo che riceviamo, ma apprezziamo il gesto a prescindere dal suo valore e dalla sua utilità.

L’origine del modo di dire

L’espressione “A caval donato non si guarda in bocca”, molto utilizzata, è di origine “equestre”: per valutare l’età e lo stato di un cavallo è necessario guardare lo stato della sua dentatura (non il numero dei suoi denti). Un soggetto giovane, infatti, ha una valutazione superiore a quella di uno vecchio.

Il celebre modo di dire ha un “padre”: San Girolamo. Il celebre biblista, traduttore, teologo e monaco cristiano romano  all’interno della sua Commentariorum In Epistolam Beati Pauli Ad Ephesios utilizza per primo l’espressione latina “Noli equi dentes inspicere donati” il cui significato letterale è appunto “non si devono guardare i denti del cavallo donato”. A San Girolamo si deve, inoltre, la traduzione in latino parte dell’Antico Testamento greco e, successivamente, l’intera Scrittura ebraica.

Il valore simbolico del cavallo

Nell’antichità, il cavallo era fonte di ricchezza e bisognava essere grati se si riceveva l’animale come dono, a prescindere dal suo stato di salute. Nel medioevo, comunque, questo animale raggiunge l’apice della sua notorietà e valore: a quell’epoca i cavalli erano più centrali per la società rispetto alle loro controparti moderne, essendo essenziali per la guerra, l’agricoltura e i trasporti. Essi inoltre differivano per taglia, corporatura e razza dal cavallo moderno ed erano, in media, più piccoli.

Il cavallo ha avuto sempre un valore altamente simbolico nella storia: nelle diverse mitologie, ha sempre rappresentato il simbolo universale di virtù e potere. La sua velocità, forza e maestosità sono caratteristiche che hanno ispirato e continuano a ispirare artisti, poeti e scrittori di tutto il mondo e di qualsiasi epoca. Inoltre, il cavallo è stato spesso rappresentato come l’unione tra il mondo umano e il divino, tra la terra e il cielo, tra la vita e la morte.

Perché diciamo così

Potete ritrovare “A caval donato non si guarda in bocca” e altre espressioni idiomatiche sono protagoniste all’interno del libro “Perché diciamo così” (Newton Compton), opera scritta dal fondatore di Libreriamo Saro Trovato contenente ben 300 modi di dire catalogati per argomento, origine, storia, tema con un indice alfabetico per aiutare il lettore nella variegata e numerosa spiegazione delle frasi fatte. Un lavoro di ricerca per offrire al lettore un “dizionario” per un uso più consapevole e corretto del linguaggio.

Un “libro di società” perché permette di essere condiviso e di “giocare” da soli o in compagnia alla scoperta dell’origine e dell’uso corretto dei modi di dire che tutti i giorni utilizziamo. Un volume leggero che vuole sottolineare l’importanza delle espressioni idiomatiche. Molte di esse sono cadute nel dimenticatoio a causa del sempre più frequente utilizzo di espressioni straniere e anglicismi.

 

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