La lingua italiana è ricca di termini e locuzioni che affondano le loro radici nell’antichità, spesso richiamando usi, tradizioni e costumi delle civiltà classiche. Tra queste spiccano la parola “calende” e l’espressione “andare alle calende greche”, che conservano un forte valore simbolico e culturale. Scopriamo insieme l’origine e il significato di queste espressioni, viaggiando indietro nel tempo fino all’antica Roma e alla Grecia.
Le “Calende” nell’antica Roma
La parola calende deriva dal latino “kalendae”, che indicava il primo giorno di ogni mese del calendario romano. Questo termine è legato al verbo latino calare (annunciare, proclamare), perché durante il primo giorno del mese il pontefice compiva il rito di annunciare le feste del mese a venire e di notificare i giorni di mercato e di scadenza dei debiti.
Nella cultura romana, le calende avevano un’importanza particolare perché segnavano il ciclo temporale e organizzavano la vita pubblica, economica e religiosa. Le calende facevano parte di un sistema di computo del tempo che si articolava in:
Kalendae (Calende), il primo giorno del mese;
Nonae (None), il quinto o settimo giorno del mese;
Idus (Idi), il tredicesimo o quindicesimo giorno del mese.
Questo calendario, basato su cicli lunari, rappresentava un modo sistematico per orientarsi nel tempo e programmare attività e scadenze.
Il concetto di “Calende greche”
L’espressione “andare alle calende greche” ha un’origine piuttosto curiosa. Gli antichi Greci, a differenza dei Romani, non utilizzavano le calende nel loro calendario, il quale era organizzato in modo differente. Da questa assenza storica nasce il significato metaforico attribuito all’espressione: rimandare qualcosa alle calende greche equivale a rinviarlo a una data che non esiste, quindi mai.
Questa locuzione fu resa celebre dallo storico latino Svetonio (I-II secolo d.C.), che nel suo scritto Vita dei Cesari attribuisce l’uso dell’espressione all’imperatore Augusto. Augusto era solito affermare che certi debitori avrebbero saldato il loro debito alle calende greche, sottolineando così l’impossibilità che ciò accadesse.
L’espressione “andare alle calende greche” è entrata nel lessico italiano come metafora per indicare una procrastinazione indefinita, qualcosa che non avverrà mai. È sinonimo di:
Rimandare all’infinito;
Promettere senza mantenere;
Avere scadenze fittizie o impossibili.
Per esempio:
“La riunione è stata spostata ancora: finirà alle calende greche!”
“Promettono sempre riforme, ma finiscono sempre per andare alle calende greche.”
Questa espressione conserva una sfumatura ironica, evocando promesse irrealizzabili o procrastinazioni intenzionali.
L’uso di “calende” nella lingua italiana
Anche se calende non è una parola comune nell’italiano moderno, compare in alcuni contesti, specialmente letterari, con il significato arcaico di “inizio di qualcosa”. Inoltre, esiste un uso metaforico per indicare gli inizi di un periodo, soprattutto con toni solenni o aulici.
Esempio:
“Era giunto il tempo delle calende, il nuovo ciclo che tutti attendevano.”
L’uso di questa parola spesso richiama suggestioni classiche e serve a conferire un tono elevato al discorso.
La persistenza della cultura classica nella lingua italiana
Il mantenimento di espressioni come “calende greche” nella lingua italiana riflette il profondo legame con le civiltà antiche, le quali hanno contribuito in modo sostanziale alla formazione del lessico e del pensiero. Espressioni e parole di origine classica continuano a evocare concetti universali e a offrirci strumenti per descrivere la realtà in modi sfumati e poetici.
La parola “calende” e l’espressione “calende greche” testimoniano il viaggio della nostra lingua attraverso i secoli, un percorso arricchito da influenze storiche, religiose e culturali. Da un termine tecnico del calendario romano fino a una locuzione dal significato ironico e universale, queste espressioni ci ricordano il potere evocativo e trasformativo del linguaggio.
Seppur “andare alle calende greche” significhi non arrivare mai, il fascino di questa espressione continua a trovare spazio nel nostro parlare quotidiano, dimostrando quanto il passato viva ancora nella nostra lingua.