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5 parole della lingua italiana che non usiamo quasi più

In questo articolo rispolveriamo 5 bellissime parole della lingua italiana che ormai vengono usate pochissimo sia quotidianamente che in via formale.

La lingua italiana, come tutte le lingue vive, è soggetta a cambiamenti costanti: alcune parole emergono, altre cadono in disuso. Tra queste, ve ne sono molte che, pur avendo una storia nobile e un significato preciso, oggi vengono raramente utilizzate, spesso sostituite da termini più comuni o semplificati. In questo articolo esploreremo cinque parole quasi scomparse dall’uso quotidiano: “cruore”, “esornare”, “ferace”, “repleto” e “specioso”.

5 bellissime parole che è bene salvaguardare

Cruore: il sangue che sgorga

Il termine “cruore” deriva dal latino “cruor”, e indicava il sangue che fuoriesce dalle ferite, differenziandosi da “sanguis”, che designava il sangue all’interno del corpo. In passato, era un termine molto usato in ambito poetico e letterario per descrivere scene di battaglia o situazioni tragiche. Oggi il suo utilizzo è pressoché scomparso, soppiantato dal più comune “sangue”.

Ad esempio, nei poemi epici medievali e nelle tragedie rinascimentali, si parlava spesso di “cruore versato in battaglia” o “cruore innocente” per sottolineare il sacrificio e il dolore. Oggi, tuttavia, il termine risulta arcaico e viene usato quasi esclusivamente in contesti letterari o accademici.

Esornare: l’arte di abbellire i discorsi

“Esornare” significa ornare o abbellire, soprattutto riferito a testi scritti o orali. Deriva dal latino “exornare”, che significa adornare, decorare. Nel passato, questo termine era utilizzato dai retori e dagli scrittori per indicare l’arricchimento stilistico di un discorso o di un’opera letteraria.

Ad esempio, un critico del Seicento avrebbe potuto dire: “Il poeta ha saputo esornare il suo componimento con metafore raffinate”. Oggi, il verbo “esornare” è stato sostituito da espressioni più comuni come “abbellire”, “arricchire” o “ornare”, e il suo utilizzo è praticamente scomparso dalla lingua parlata e scritta corrente.

Ferace: sinonimo di fertilità e abbondanza

Il termine “ferace” indica qualcosa di estremamente fertile, produttivo, ricco di risorse. Deriva dal latino “ferax, feracis” e in passato veniva spesso usato in riferimento ai terreni agricoli, alle menti brillanti e persino alle idee innovative.

Un poeta ottocentesco avrebbe potuto descrivere “le feraci terre della Sicilia”, alludendo alla straordinaria capacità produttiva dei suoli dell’isola. Oggi il termine è stato sostituito da “fertile”, “rigoglioso” o “abbondante”, risultando ormai relegato a contesti arcaizzanti o poetici.

Repleto: colmo fino all’orlo

“Repleto” significa “gonfio”, “pieno”, “sovraccarico” e deriva dal latino “repletus”, participio passato di “replere” (riempire). Un tempo era usato per indicare non solo la pienezza fisica, ma anche un’abbondanza figurata, come una mente repleta di pensieri o un’anima repleta di gioia.

Esempio di utilizzo antico: “Il banchetto era repleto di ogni leccornia”. Oggi, termini come “pieno”, “saturo” o “colmo” hanno preso il sopravvento, relegando “repleto” a un uso letterario o ironico.

Specioso: l’apparenza ingannevole

“Specioso” è forse il termine più insidioso di questa lista. Deriva dal latino “speciosus”, che significa “di bell’aspetto” e un tempo aveva una connotazione positiva. Tuttavia, nel tempo ha assunto un significato più vicino a “ingannevole”, “appariscente ma privo di sostanza”.

Un autore del passato avrebbe potuto scrivere: “Il discorso del politico era specioso: elegante e raffinato nelle parole, ma privo di contenuti reali”. Oggi termini più diretti come “ingannevole”, “fallace” o “illusorio” hanno reso “specioso” quasi obsoleto.

Lo scrigno della lingua italiana

Le lingue evolvono costantemente e, con il tempo, alcune parole si perdono nel lessico attivo di una comunità. “Cruore”, “esornare”, “ferace”, “repleto” e “specioso” sono solo alcuni esempi di termini che un tempo arricchivano la lingua italiana, ma che oggi sono caduti in disuso. Tuttavia, riscoprire e riutilizzare queste parole può essere un modo per arricchire il nostro vocabolario e mantenere viva la straordinaria ricchezza della lingua italiana, anche perché, le parole desuete non sono residui fossili inutili, soppiantate né, tantomeno soppiantabili, dato che ogni parola porta con sé un significato preciso, non posseduto da nessun’altra parola.

 

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