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Veronica Roth, ”La sfida della mia eroina è quella di ogni adolescente: capire chi è e cosa vuole dalla vita”

''Divergent'' era destinato a diventare un libro per ragazzi, perché tocca tematiche particolarmente sentite dagli adolescenti: la sfida di trovare la propria identità e la propria strada. Ad affermarlo è Veronica Roth, autrice del libro, il primo di una trilogia che porta lo stesso titolo, di cui è già uscito nel 2012 il secondo episodio, “Insurgent”. La vicenda è ambientata in una distopica società futura, a Chicago...

L’autrice di “Divergent” spiega com’è nata l’idea della trilogia e perché la sua storia sia particolarmente adatta al pubblico dei ragazzi

MILANO – “Divergent” era destinato a diventare un libro per ragazzi, perché tocca tematiche particolarmente sentite dagli adolescenti: la sfida di trovare la propria identità e la propria strada. Ad affermarlo è Veronica Roth, autrice del libro, il primo di una trilogia che porta lo stesso titolo, di cui è già uscito nel 2012 il secondo episodio, “Insurgent”. La vicenda è ambientata in una distopica società futura, a Chicago: la città è divisa in cinque fazioni, i cui membri sono accomunati dal fatto di possedere un valore dominante – per gli Intrepidi è il coraggio, per gli Eruditi la sapienza, per i Pacifici l’amicizia, per gli Abneganti l’altruismo e per i Candidi l’onestà. La protagonista della storia, la sedicenne Beatrice, deve scegliere di quale fazione far parte, ma in lei non c’è solo un carattere dominante, bensì tre: è una Divergente.

Da dove arriva la passione per i libri e la scrittura?
Quando ero bambina, mia mamma mi leggeva ogni sera delle storie: direi che il mio amore per i libri affonda ai tempi della mia infanzia. Se poi mi lamentavo di essere annoiata, lei mi rispondeva: “Annoiarsi non è permesso!” Credo si possa affermare che le regole vigenti in casa mia mi imponessero di essere creativa. Ha funzionato: quando ero piccola uscivo sempre in guardino a giocare e creavo nella mia testa questi elaborati scenari, questi mondi fantastici, poi, una volta diventata troppo grande per passare il tempo a sognare a occhi aperti, ho iniziato a scrivere.

Com’è nata l’idea di “Divergent”?
Ai tempi in cui mi venne l’idea per questo libro, stavo facendo degli studi sulla terapia di esposizione nel trattamento delle fobie, che consiste nell’esporre ripetutamente una persona, in un ambiente protetto, agli stimoli che provocano l’insorgere della fobia. Ecco da dove ho tratto ispirazione per il rito di iniziazione alla fazione degli Intrepidi – volevo scrivere di una subcultura intenzionata a sradicare la paura dagli animi delle persone. Sempre in quel periodo, mi stavo anche occupando di psicologia sociale e degli esperimenti di Milgram sull’obbedienza, il che mi portò a riflettere su quanto diventino malleabili in certe condizioni i nostri codici morali, idea che ha a che fare con i Divergenti. Ma quel che mi indusse a scrivere di fatto questa storia, fu un’immagine che mi venne in mente ascoltando una canzone mentre guidavo: mi immaginai una persona che si lanciava da un edificio, ma non per una ragione autodistruttiva. Mi chiesi perché qualcuno avrebbe mai dovuto farlo, e la risposta era sconfiggere la paura attraverso l’esposizione. Ecco che era nata la fazione degli Intrepidi.

“Divergent”, uscito nel 2011, è il primo episodio della trilogia omonima: nel 2012 è seguito “Insurgent” e nel 2013 verrà pubblicato il terzo volume. Quando questo primo libro ha preso forma, aveva già un’idea di come si sarebbe evoluta la storia, o i giochi sono ancora aperti?
Ancora prima che “Divergent” uscisse, ho dovuto presentare un abbozzo del secondo volume ed esporre una vaga idea su come sarebbe proseguita la storia nel terzo. Quando mi misi a scrivere “Insurgent” però, mi resi conto che molto sarebbe cambiato rispetto al progetto originale: non sono mai sicura di quello che succederà finché inizio a scrivere, anzi, finché non arrivo alla stesura definitiva. Il mio motto quando scrivo è che niente e nessuno può sentirsi al sicuro, tutto può succedere!

Perché a suo parere i libri che parlano di società distopiche piacciono così tanto al pubblico?
Ci sono molte ragioni, ma in particolare penso che i libri distopici siano perfetti per persone che amano chiedersi “e se…?”, ma vogliono veder rappresentata la risposta a questa domanda in un mondo regolato dalle stesse leggi del nostro, contrariamente a quanto accade nel paranormale o nel fantasy, dove le leggi naturali – in termini fisico-biologici – sono differenti. C’è poi qualcosa di molto affascinante nel guardare al mondo come è ora, leggere di un futuro possibile e immaginare tutto quello che sta in mezzo.

 

La storia era già originariamente concepita per un pubblico di ragazzi?
Cerco di non pensare a chi leggerà i miei libri o in che categoria saranno catalogati finché non ho finito di scriverli, altrimenti mi distraggo dal mio obiettivo, che è di scrivere una storia credibile, se non realistica. Ma Beatrice è pur sempre una sedicenne e molte delle sue battaglie sono quelle che si trova a combattere una persona della sua età. “Divergent” era destinato a essere un libro per ragazzi credo, e penso che una delle ragioni che lo rendono adatto al pubblico dei più giovani sia proprio che Beatrice deve affrontare la sfida tipica dell’adolescenza: decidere chi è e cosa vuole fare della sua vita. Questo non significa che gli adulti non dovrebbero leggere libri che trattano tali tematiche, ma credo che queste siano particolarmente adatte per i lettori più giovani. Io del resto sono una fan dei libri per ragazzi da quando ero adolescente a mia volta! Trovo che scrivere questo genere di libri sia particolarmente impegnativo, perché bisogna saper incontrare il gusto del pubblico facendo molta attenzione a non essere inverosimili: i ragazzi fiutano le forzature a chilometri di distanza!  

 

19 ottobre 2012

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