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“A vent’anni bisogna sentirsi onnipotenti” Intervista a Elasti, alias Claudia de Lillo, di Caterpillar

Claudia de Lillo racconta in anteprima di cosa parlerà al Festival del ridicolo di Livorno e parla del suo primo romanzo, “Alla pari”, appena uscito per Einaudi

LIVORNO – Chi non sta bene spesso non sa che la sua vita può cambiare, perché semplicemente non rientra tra le opzioni. Forse sta un po’ nel nostro carattere nazionale l’attitudine a resistere alla sofferenza, una sorta di stoicismo di cui sotto sotto andiamo fieri. Eppure Claudia de Lillo è riuscita a cambiare, a dare una svolta alla sua vita, soprattutto grazie alla scrittura. Aveva un lavoro da giornalista finanziaria, figli maschi e un marito altrove. La vita che faceva non la faceva sentire felice. Allora ha aperto un blog dentro al quale ha riversato la sua esistenza e ha ricominciato a stare bene. Oggi, oltre a occuparsi del blog, conduce su Radio2 Caterpillar AM e scrive per D di Repubblica. Claudia de Lillo (conosciuta con lo pseudonimo “Elasti”) è tra i protagonisti del festival “Il senso del ridicolo“, in programma a Livorno da venerdì 23 a domenica 25 settembre. Domenica alle ore 10:30, in piazza dei Domenicani, parlerà a un incontro intitolato “Salvarsi la vita scrivendo (e ridendo) di sé” e presenterà suo primo romanzo, “Alla pari”, appena uscito per Einaudi.

 

Puoi anticiparci qualcosa sull’evento di cui sarai protagonista domenica a Livorno?

Parlerò della scrittura autobiografica e dell’ironia, di come mi abbiano cambiato la vita. Tempo fa lavoravo come giornalista finanziaria, ma avevo voglia di misurarmi con una scrittura diversa. Non avendo una grande fantasia, ho pensato che avrei potuto raccontare il mondo che avevo intorno. Detto questo, la vita quotidiana è una cosa miserabile e noiosissima per chiunque ed è per questo che ho deciso di parlarne con ironia. Ciò che mi piace dell’ironia sta nel fatto che è in grado di trasformare il vissuto e di creare grandissima empatia e condivisione. L’ironia e soprattutto l’autoironia possono essere una chiave veramente efficace, terapeutica e capace di non annoiare. L’umorismo riesce a rendere universali episodi individuali, a creare empatia e di conseguenza identificazione. Il lettore si immedesima in queste storie e si forma una comunità. Questo è successo con i miei scritti, attorno ai quali si è radunata una cerchia di persone sempre più ampia, permettendomi così di cambiare vita. L’ironia e l’autoironia mi hanno davvero rivoluzionato l’esistenza.

 

Qual è il legame tra l’autoironia e la capacità di cambiare?

Secondo me chi è autoironico è disponibile a mettersi in gioco, sempre. E se ti metti in gioco sei anche pronto in qualche modo ad accettare i suggerimenti, i consigli e ad accogliere gli eventi, così come vengono.


È appena uscito nelle librerie il tuo primo romanzo, “Alla pari”. La protagonista, Alice, giovane americana giunta in Italia come ragazza alla pari, offre un punto di vista priviligiato per parlare delle differenze tra la società italiana e quella americana.

Sì, nel romanzo ho cercato di raccontare le grosse differenze culturali tra i due paesi. Gli americani, per esempio, vivono il nostro modo di baciarci sulle guance come una cosa molto intrusiva, anche se loro, in compenso, si abbracciano come noi abbracceremmo il nostro compagno. Poi si stupiscono che in una famiglia italiana si alzi spesso la voce e pensano che una famiglia che urla è una famiglia disfunzionale, perché loro, invece, non urlano mai.

 

“Ho sei mesi per trovare risposte, per elaborare il lutto e dargli un senso, sempre che ce l’abbia”, scrive in una mail Alice. Questa è una delle prime cose che la protagonista fa sapere al lettore. In quale momento della vita hai colto questo personaggio? Di cosa ti premeva parlare?

Ho cercato di raccontare il modo di vedere il mondo di una ventenne. Quell’età è interessante perché, da una parte, si possiede ancora l’incanto dell’infanzia ma, dall’altra, hai una certa saggezza, dovuta al fatto che un po’ di strada è già stata percorsa. E proprio tramite questo sguardo che ho voluto restituire al lettore lo spaccato di una famiglia italiana, con tutte le sue deviazioni, perversioni e follie. La famiglia del romanzo è in un certo senso l’iperbole di quello che oggi vivono le famiglie: le donne sono esaurite e fanno molta fatica a tenere insieme tutti i pezzi; gli uomini faticano a prendersi responsabilità e a misurarsi con compagne sempre più indaffarate, che sempre più spesso guadagnano più del partner maschile. Con qualche speranza sono invece i bambini, grazie al loro bellissimo sguardo, ma fino a un certo punto, perché comunque vivono in un ambiente in cui la pressione è molto forte. Nel libro si salvano i ventenni, i bambini e gli anziani. Quell’età di mezzo a cui io appartengo sembra un po’ perduta. Invece, a vent’anni, le esperienze che fai ti segnano sicuramente anche in negativo ma hai una forza e una capacità di tirarti su e di guardare al futuro che è meravigliosa. A vent’anni si deve essere fiduciosi e bisogna sentirsi onnipotenti. La protagonista è inoltre una donna perché mi piace pensare che a noi donne, nonostante spesso ci vengano tarpate le ali da piccole, sempre di più ci venga data la possibilità diventare quello che sogniamo di essere.

 

Dario Boemia

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