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Valerio Massimo Manfredi, “Il mio libro è una storia vera di fede e violenza”

Quinto comandamento è il nuovo libro di Valerio Massimo Manfredi. La storia vera di un sacerdote a capo di un gruppo di mercenari in Congo

Congo, 1964. La guerra civile scoppiata dopo l’indipendenza dal Belgio sta straziando l’intero paese e miete vittime nelle maniere più efferate. Stupri, mutilazioni, torture, violenze indicibili su civili e membri di ordini religiosi sono diventati all’ordine del giorno. Padre Angelo Pansa, un missionario saveriano ora ottantasettenne, capisce che la preghiera non basta più: bisogna agire. A capo di un gruppo di mercenari armati di mitra, inizia a mettere in atto blitz notturni per salvare gli ostaggi dei ribelli, e – all’occorrenza – aprivano il fuoco. La Chiesa finge di chiudere un occhio, il nunzio apostolico dà il suo tacito assenso. In tre anni, più di 1400 vite sono state salvate da Padre Angelo e dai suoi mercenari.
Da questa pagina di storia recente Valerio Massimo Manfredi ha tratto il suo ultimo romanzo, Quinto comandamento. L’autore di numerosissimi bestseller di carattere storico racconta l’avvincente storia di Padre Angelo (il cui nome nel romanzo è modificato in Padre Marco Giraldi), seguendo le sue avventure sia in Congo sia nella sua missione successiva in Amazzonia, dove sarà coinvolto nella lotta ai distruttori della foresta amazzonica.

Come hai conosciuto Padre Angelo Pansa, e perché hai deciso di raccontare la sua storia?

«Per puro caso, eravamo tutti e due invitati a Scanno a ritirare il Premio Scanno. Io ero premiato per la letteratura, lui per l’ambiente.  Dopo il Congo, infatti, Padre Angelo è andato in Amazzonia, dove si era battuto contro quelli che defogliavano la foresta, uccidendo animali e distruggendo la vegetazione. Ci siamo presentati, abbiamo cominciato a chiacchierare, e quando ho sentito che parlava di mercenari mi son detto “ma come, mercenari?”.  Allora gli ho chiesto di più, ci siamo incontrati di nuovo a casa mia, e mi sono reso conto che la sua era una storia formidabile. Ho subito deciso di raccontarla».

È diverso scrivere di personaggi attuali e viventi rispetto a quando scrivi di personaggi storici antichi?

«Tutti i miei libri sono diversi  e tutti sono originali, la metà delle mie storie è  ambientata in epoche prossime e presenti. Dopo che ho scritto Alexandros sono legato all’antichistica nell’immaginario del pubblico, ma quello che importa è la storia da raccontare».

Quanto c’è di romanzesco in questo romanzo?

«100%. Io ho dato una veste epica a questa vicenda, che pure è realmente accaduta,  e l’epos è una narrazione letteraria. I pilastri della letteratura occidentale sono due romanzi storici, l’Iliade e l’Odissea, e l’Odissea è la più grande storia che sia mai stata raccontata. La storia di Padre Angelo è indubbiamente una storia epica».

Come mai chiami Padre Angelo “il Templare del nostro secolo”?

«Padre Angelo si è realmente comportato in quel modo lì. Lui è un religioso che ha impugnato e imbracciato le armi perché non c’era altra via, non rimaneva che quella, ma la scelta di sparare era sempre l’ultima. Quando il problema si pose nel tredicesimo secolo, ci fu un consiglio a Troyes in Francia per capire come si poteva regolamentare un ordine religioso che combatteva, i bellatores. Ci volle un concilio, e la regola fu scritta San Bernardo. Padre Angelo si scrisse la regola da solo, perché si è trovato davanti a tali atrocità che ha pensato che occorreva agire. Il nunzio apostolico gli chiese se se la sentiva di fare qualcosa, ma poi gli disse  “Io e te non ci siamo parlati, anzi non ci siamo nemmeno visti”. Padre Angelo fu lasciato completamente solo. E faceva dei blitz, velocissimi nella notte, per salvare gli ostaggi. Tutto doveva essere fatto in pochissimo tempo in maniera tale che nessuno facesse in tempo a svegliarsi e ad accorgersi della fuga degli ostaggi».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«Questo libro è appena uscito e ora sarò impegnato nelle presentazioni. Non è una fatica per me, anzi, è un piacere poterlo raccontare al pubblico. In questo periodo sono legato a questi personaggi, per poter parlare di altro devo staccarmene e avere tempo di volgermi a un altro tempo, un altro luogo, a un’altra storia. Credo che le possibilità della letteratura siano infinite ed è per questo che ne abbiamo bisogno. Perché tanta gente ha una vita tutta uguale, fatta sempre delle stesse cose, degli stessi gesti, degli stessi luoghi. Ricordo sempre quella volta in Francia a una presentazione di Alexandros mi si avvicina un uomo e mi dice: “Io sono un contabile, e per otto ore al giorno trecento giorni all’anno io passo tabulati. Lei mi ha fatto cavalcare Bucefalo. Grazie.” E se ne è andato. Questa è la grandezza della letteratura».

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