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Una volta l’estate, un caleidoscopico universo narrativo

Una volta l’estate” (Meridiano Zero)  è un libro scritto a quattro mani da Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi, due scrittori giovani solo anagraficamente, visto che sembrano aver vissuto decine di vite, nei loro impasti di parole che sanno farsi carne da subito. Con maestosa eleganza.

Nella sfrenata solarità delle sue vacanze al Sud, Maya è una ragazzina con gli occhi aperti sulla bellezza del mare. Accanto a lei c’è una misteriosa bambina dagli occhi celesti, “la regina delle notti stellari”, che compare e scompare. Inizia così un continuo slittamento di tempi e di piani narrativi, che terrà col fiato sospeso fino alla fine.

L’incipit di straordinaria bellezza, infatti, non tradisce le aspettative del lettore che s’immerge  nel caleidoscopico universo narrativo dei due autori. Non si sa dove finisca la penna dell’uno e inizi quella dell’altra: si rivela una perfetta sintonia modulata magistralmente nello scandaglio dell’animo, nei dialoghi, nelle ambientazioni.  Perché anche le quattro mura domestiche possono essere un mondo, per chi ha la stoffa del narratore esperto e non si lascia intimidire dai gorghi interiori. Anzi,si cala con talento da speleologo nel nucleo profondo delle emozioni.

Un’affascinante storia di due funamboli dei giorni nostri: quotidianamente in equilibrio sulla corda tesa delle utopie. Sospesi nel vuoto vedono il nulla, annaspano rovinosamente, eppure in qualche modo vanno avanti, nel mistero umano dell’amore che è conoscenza e impegno. Dopo l’esaltazione del primo incontro, quando il sesso è euforica scoperta dell’altro, resta la scelta di vita e la casa da rimettere a posto, le ore del non-tempo da riempire nelle lunghe assenze di un marito militare in missione in Medio Oriente . In attesa di un figlio che sta per nascere. L’imprevedibilità del destino. O dei mostri che abbiamo dentro.

Ci sono paure che divorano, deviazioni schizofreniche, distanze che scardinano certezze, fantasmi del passato che ritornano e mettono in crisi la coppia di giovani sposi. Eppure, nonostante tutto e tutti, se c’è la voglia di tenersi ancora per mano, si può ancora cercare l’estate. Insieme.

Un buon libro sa regalarti un’altra vita possibile. Sa accarezzarti e ferirti. Portarti dentro di te, anche quando non vuoi. E farti riemergere migliore, dopo la condivisione di un universo segreto. Quando un libro è capace di fare questo, allora diventa tuo amico.

E’ per questo che ora io, Maya, Anya e Edoardo siamo amici, anche se loro non lo sanno. Grandi amici, anzi, visto che ho avuto bisogno di cercare ancora le loro voci, dopo la prima lettura. Resta la voglia di rituffarsi in loro, dopo averli conosciuti, per gustare tutta intera l’intensità delle atmosfere e la caratterizzazione di questi  personaggi.

“-Maya, voglio dirti una cosa, esistono persone con una sensibilità troppo grande. L’essere umano non può percepire la totalità dell’esistente, mi segui? Esistono persone nate con questo fardello, una sensibilità troppo grande e impossibile da gestire: o la si sublima nell’arte, oppure …

-Oppure ti divora.”

Già, ti divora. Lo so, per vocazione, per condanna. E’ così.

Sono rimasta incantata e sconcertata al tempo stesso da questo romanzo. Pochi libri mi sono entrati così, sotto la pelle. Incanto è stato scoprire una scrittura tanto densa da regalare piacere già nel breve spazio di una pagina. Sconcerto si è rivelato arrivare sempre più dentro me stessa, man mano che leggevo.

Una volta l’estate” ti cattura ed è in grado di catapultarti nelle esistenze dei personaggi. Compare una postina, c’è uno psichiatra, c’è un medico. C’è Arturo, il bambino, fin dalla prima pagina.

Sono entrata nella vita di Edoardo e Maya, buttando a terra la porta di casa con una spallata: mi sembrava di vivere tratti della loro esistenza con loro, di vederli litigare e poi fare l’amore. Con naturalezza.

“Una volta l’estate” mi ha regalato uno sguardo lucido e dissacrante sulla potenza delle visioni, quelle che anch’io accolgo di notte e che nego di giorno, tornando al tempo normale. O meglio, cerco di negare, visto che sono lì e chiedono il conto, quando meno te l’aspetti. Come fa la postina Anya con Maya, l’adorabile e imperfetta moglie-bambina, artista che si ritrova a stirare le camicie e tenere segreto il suo magma interiore.

Anch’io come Maya e Edoardo sono salita fino al Castello, oltre al Monastero bizantino, in una Grecia in cui ho ritrovato me stessa e la freschezza di un amore, che sboccia e ricomincia solo  se sappiamo tornare ad ascoltare la parte più selvaggia di noi, ricordandoci che “siamo animali” e che possiamo “scalare le montagne e prevedere piogge portando l’orecchio alla terra.”

Pizzica le labbra la voglia di tornare a correre con i lupi, perché sappiamo che è l’unico modo per sentirci in armonia. E l’estate? Non sia stagione da cercare, ma da portare dentro.

Ovunque e sempre.

 

Maria Pia Romano

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