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Tommaso Randazzo, ”Nel mio libro analizzo il degrado emotivo della nostra società”

L'autore nel libro racconta la storia di un ragazzo costretto a una giovinezza inclemente e violenta che lo porterà a comprendere il senso della schiavitù, della morte e, soprattutto, della vita

MILANO – Far conoscere alcune tematiche sociali attraverso un romanzo emotivamente forte, coinvolgente. Nasce così “Mancu li cani“, il nuovo libro di Tommaso Randazzo. L’autore, impegnato da dieci anni in svariati servizi sociali come insegnante di italiano ai migranti ed educatore professionale, racconta la storia di un ragazzo costretto a una giovinezza inclemente e violenta che lo porterà a comprendere il senso della schiavitù, della morte e, soprattutto, della vita. Una lucida analisi del degrado emotivo e affettivo che caratterizza la società in cui viviamo.

 

Come nasce l’idea del libro “Mancu li cani”?

L’idea del libro nasce dalla voglia di far conoscere alcune tematiche sociali non attraverso un saggio, ma con un romanzo emotivamente forte, coinvolgente. In grado di toccare i lettori nel profondo. Siamo anestetizzati dal modo asettico in cui i telegiornali ci riportano notizie estremamente drammatiche. Gli sbarchi e le morti dei migranti nel Mediterraneo, i bombardamenti in Siria, i disastri ambientali, le minacce nucleari di due folli. Subito dopo parte la pubblicità del panettone. Sembra che niente ormai ci scalfisca. Forse dobbiamo cambiare il modo di narrare, partire dal basso, riscoprire l’empatia, sentire quello che sentono gli altri, vivere le loro storie attraverso i loro occhi. E serve una scrittura che possa essere d‘impatto, che prenda spunto da altre forme di espressione artistica, come il cinema ad esempio.

 

A cosa ti sei ispirato per la caratterizzazione di luoghi e personaggi?

Alle persone, alle realtà sociali e ai luoghi che ho conosciuto in oltre dieci anni di lavoro in svariati servizi sociali come insegnante di italiano ai migranti ed educatore professionale. Mi sono liberamente ispirato ai diari che ho scritto sul campo mentre lavoravo nei centri di accoglienza per persone in condizione di esclusione sociale, nei centri diurni per giovani di periferia, nei progetti di inserimento lavorativo per donne migranti vittime della tratta. Nel romanzo ho riportato il linguaggio della strada, lo slang della marginalità, i dialetti delle varie regioni d’Italia che si mescolano fra di loro nell’incontro-scontro delle persone seguite dai servizi sociali. Ho cercato di raccontare l’estetica del disagio, il fascino conturbante che il confronto con l’abisso e con l’autodistruzione può emanare.
Un’altra grande fonte d‘ispirazione proviene dal cinema neorealista, pulp, sociale. E mentre lo dico penso ai film di Pasolini, di Tarantino, di Jacques Audiard. Immagini e situazioni che vengono raccontate in modo creativo e poetico, senza perdere l’odore e il sapore della realtà.

 

Il libro racconta la storia di chi vive ai margini delle metropoli contemporanee. Quali sono le maggiori problematiche che emergono in questi contesti?

Emerge in modo evidente il degrado emotivo e affettivo che caratterizza la società in cui viviamo e che in altri contesti rimane soltanto celato. I personaggi del romanzo sono poveri di relazioni, di amicizia, di amore. Questa mancanza li rende fragili, nudi, incapaci di sottrarsi agli inganni e alle facili illusioni delle dipendenze. Nico, il protagonista, è un ragazzo schiavo del gioco d’azzardo e ciò lo trascina sempre più in basso, dentro un incubo metropolitano in cui la sua storia si intreccia con quella di tanti altri esclusi e addicted non solo al gioco, ma anche agli psicofarmaci, all’alcol e alle droghe. L’aspetto più tragico è che alcune dipendenze sono sponsorizzate dallo stato che ha dei proventi enormi, per fare un esempio, dalle tasse su slot machine, lotterie, scommesse eccetera. Per cui intorno a questa piaga sociale c‘è molta ipocrisia e indifferenza, così come riguardo allo sfruttamento delle donne migranti per la prostituzione – altro leitmotiv del romanzo – che continuano ad essere trafficate e vendute come fossero merce. Anche se ciò è ormai sotto gli occhi di tutti. Se ne parla da un pezzo nei reportage giornalistici, nei documentari e persino in diversi libri autobiografici.
Infine, la dipendenza dalle slot diventa nel romanzo una sorta di emblema del legame uomo-macchina, il cui rapporto di utilizzo, di pari passo con l’impoverimento delle relazioni umane, si sta gradualmente invertendo. Siamo dominati sempre di più dagli schermi virtuali, siano essi videopoker, cellulari o computer.

 

Cosa occorrerebbe fare per migliorare le condizioni di vita di giovani come Nico?

Occorrono un lavoro di rete e delle politiche integrate fra scuola, servizi sociali e istituzioni per contrastare il gioco d’azzardo e l’abuso di psicofarmaci, alcol e droghe. A fronte della larga diffusione di queste sostanze, bisogna prevenire il consumo e allo stesso tempo, nei casi in cui questo non è verosimile, educare a un uso moderato, consapevole e responsabile. Occorrono poi degli spazi di socializzazione legati alle attività sportive, artistiche e culturali, promossi e valorizzati dagli enti locali. Occorrono dei modelli sociali positivi che non siano né i poliziotti supereroi e inimitabili, né i gangster impuniti, “stilosi“ e carismatici delle serie televisive. Dobbiamo riscoprire il valore della semplicità e della bellezza del quotidiano, proporre eroi della vita reale, autorevoli, che si assumono delle responsabilità verso gli altri, hanno spirito di sacrificio e allo stesso tempo sanno apprezzare i piaceri e le gioie della vita. Come nel romanzo l’allenatore sportivo di Nico.

 

Quanto lettura, cultura ed istruzione possono essere un’opportunità in tal senso?

Lettura, cultura e istruzione svolgono senza dubbio un ruolo fondamentale nella prevenzione del disagio sociale. Va però aggiornato il modo in cui vengono fruite. Per intensificare il piacere della lettura, soprattutto nei più giovani, è necessario scrivere in modo accattivante, guardare a come parla la  gente, a come continua a inventare e scoprire nuove espressioni, nuovi modi di dire, di interagire. I miei alunni migranti dei corsi di italiano, ad esempio, sono portatori sani di una creatività linguistica infinita. Nella fase di apprendimento mescolano e arricchiscono le strutture e il lessico della lingua italiana con la loro lingua madre e con gli altri idiomi che hanno imparato nel corso della migrazione. Oggi i libri devono competere con i video di youtube o con i post dei social network. Devono vincere la sfida senza arrendersi alla desertificazione linguistica delle chat, senza abbassare il livello culturale e di ricerca espressiva. Questo scatto d’orgoglio deve partire anche dalla scuola, dai sistemi e dalle modalità di insegnamento, che vanno rinnovati. Basta insegnanti nevrastenici, sergenti, poco preparati sul piano umano e poco alfabetizzati emotivamente. I docenti vanno pagati di più, ma selezionati meglio.

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