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La stupidità del male, secondo Ermanno Bencivenga

Che cos'è il male? È la tentazione della stupidità, il rifiuto di pensare. Ermanno Bencivenga ragiona sulle origini del male

MILANO – Che cos’hanno in comune Adolf Hitler e Dracula, Maldoror e i personaggi del marchese De Sade, Michael Corleone e i terroristi jihadisti? Reali o immaginati, sono tutti uomini molto cattivi. E attraverso le loro storie, le loro motivazioni e perfino le loro teorizzazioni morali Ermanno Bencivenga ci conduce in un viaggio senza ritorno nel regno del male e delle sue (presunte) giustificazioni.

La stupidità del male

Il titolo del libro di Ermanno Bencivenga, professore professore ordinario di Filosofia all’Università della California, è un chiaro omaggio a uno dei testi più importanti nella letteratura filosofica sul nazismo, La banalità del male di Hannah Arendt. «L’omaggio è dovuto – scrive Bencivenga nella Premessa –  a questa nobile Jewish princess non solo per l’ammirazione e il rispetto che le porto, ma soprattutto perché qui mi metto al servizio della tesi che lei ha espresso, che in generale non è stata capita e che io cerco di illustrare nel modo più chiaro possibile». 

La Arendt ha raccontato nel suo libro il processo Eichmann a Gerusalemme, e ha delineato un profilo chiaro del gerarca nazista: non un uomo dalla crudeltà demoniaca, non un pazzo, non un ignorante. E, attenzione, nemmeno uno stupido. È troppo semplicistico, avverte Bencivenga, pensare che il male enorme generato dal nazismo sia stato messo in atto a causa della follia o della stupidità. Eichmann era semplicemente un burocrate, un uomo che ha eseguito gli ordini che gli venivano dati, senza che la coscienza del male e l’empatia nei confronti degli ebrei perseguitati scalfissero in alcun modo il suo agire. Come è stato possibile? Come è stato, e come è tuttora, possibile disumanizzare l’umano?

L’inspiegabilità del male

«Chi voglia dar conto di un suo atto malvagio lo farà usando frasi tautologiche, opache, prive di contenuto e digiune di informazioni, inette a crescere e a svilupparsi in un senso qualsiasi». Chi fa il male, secondo Bencivenga, lo fa per quattro ragioni: faccio il male perché mi serveperché mi piaceperché è male o perché non posso farne a meno. Delle non-ragioni, insomma, prive di umanità e statura intellettuale: «il malefico agente ne riceve la medesima statura intellettuale di un rubinetto che perde o di un bambino che fa i dispetti». Cos’è il male allora? Forse è il rifiuto di pensare, il rifiuto di ampliare il proprio orizzonte di pensiero fino alla comprensione di chi è altro da noi.

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