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La storia della lingua italiana in sessanta oggetti

Il Museo della lingua italiana di Giuseppe Antonelli racconta la storia della nostra lingua attraverso 60 oggetti iconici. Lo abbiamo intervistato per saperne di più

MILANO – Esistono musei di ogni tipo al mondo: musei d’arte, musei di design, musei di storia naturale, musei della scienza, fino ad arrivare ai musei più strani, come quello della birra a Praga, o quello degli Ufo nel New Mexico o quello delle patatine fritte di Bruges (ebbene sì, è vero). Un museo della lingua italiana, però, non esiste. Per adesso.

Giuseppe Antonelli, ordinario di Linguistica all’Università degli Studi di Cassino, ha provato a creare un ideale museo della lingua italiana, con l’auspicio che un giorno possa diventare un luogo fisico, tangibile, dove i cittadini possano imparare non solo la storia di una lingua, ma la storia di un popolo, di un’identità che è mutata e cresciuta nel tempo.

Il Museo della lingua italiana è un libro articolato come un vero e proprio museo: ci sono diversi piani (macrocapitoli), le sale (capitoli), e tanti oggetti esposti: sessanta per la precisione. Sessanta oggetti che raccontano le diverse tappe della storia particolarissima della lingua italiana. Una lingua nata ben prima, caso unico in Europa, che esistesse uno stato politico. Una lingua rimasta per secoli solo letteraria, parlata dai poeti e dagli scrittori, ed entrata a far parte della vita quotidiana solo recentissimamente grazie alla televisione. Una lingua che ora prende in prestito l’inglese, fa uso delle emojii e si apre agli utilizzi più svariati e interessanti. Abbiamo intervistato l’autore Giuseppe Antonelli per saperne di più sul suo splendido museo, e sulla storia affascinante della nostra lingua. Perché, come dice lui stesso, la lingua non è uno strumento neutro, ma rivela un’identità sociale, una visione del mondo. Se conosciamo la nostra lingua conosciamo di più noi stessi.

Come nasce l’idea di questo libro?

L’idea è nata quindici anni fa, quando – sotto la direzione di Luca Serianni – mi ritrovai a collaborare con Matteo Motolese, Lucilla Pizzoli e Stefano Telve alla realizzazione di una grande mostra sulla lingua italiana ospitata alla Galleria degli Uffizi. La mostra si chiamava Dove il sì suona ed ebbe grande successo: a un certo punto, però, venne il momento in cui tutto quello che avevamo messo insieme – oggetti, documenti, pannelli, didascalie, giochi interattivi – venne smantellato. Lì cominciai a pensare che la lingua italiana meritava di avere un vero museo. Un grande museo stabile, come quello che a San Paolo del Brasile è stato realizzato per la lingua portoghese; anche se poi distrutto, purtroppo, da uno spaventoso incendio. Da quell’incendio, avvenuto il 21 dicembre 2015, prende le mosse l’introduzione del mio libro.

Perché c’è bisogno di avere consapevolezza della storia della nostra lingua?

La lingua non è uno strumento neutro: rivela la nostra visione del mondo, il nostro stile di vita; plasma la realtà che ci circonda, modificando valori e significati. La lingua è da sempre lo specchio di una società e l’italiano non fa eccezione. Porta in sé – stratificati – secoli e secoli di storia, ma continua a riflettere – giorno per giorno – l’evoluzione del nostro costume, della nostra mentalità, delle nostre abitudini. L’italiano siamo noi. Conoscere il passato della nostra lingua aiuta a evitare allarmismi ed errori di valutazione. A ricordarci, ad esempio, che le parole nuove o straniere ci sono sempre state e fanno parte di una sana evoluzione di ogni lingua e di ogni cultura; che la grammatica cambia nel tempo; che per secoli sapersi esprimere in lingua – e non in dialetto – è stata una conquista faticosa. Ne resta testimonianza nei tentativi di chi sapeva a malapena scrivere: come le lettere degli emigranti o dei soldati, in cui si sente ancora tutta la fatica fatta per riuscire a comunicare in situazioni di grande urgenza.

La storia della lingua italiana in sessanta oggetti. Se dovessi sceglierne tre, per simboleggiare i tre momenti più importanti per la storia della nostra lingua, quali sarebbero?

Tutto il libro è costruito intorno a quei sessanta oggetti: alla loro selezione e disposizione, alla loro spiegazione. Ogni capitolo, infatti, prende spunto da un oggetto per raccontare un evento o un momento decisivo della nostra storia linguistica. Raccontare può voler dire – ad esempio – mettersi nei panni di una popolana accusata di stregoneria che, ai primi del Cinquecento, scrive di proprio pugno una confessione nel tentativo di sottrarsi al rogo. O immaginare di essere, un secolo prima, in mezzo alla folla che ascolta – all’alba, nella piazza del campo di Siena – una predica di San Bernardino. O ancora: veder arrivare a Firenze la carrozza che porta Alessandro Manzoni, venuto – con la sua numerosa famiglia – a «sciacquare i panni in Arno». Tre oggetti? Dipende da quale storia si vuole raccontare. Potrebbero essere i tre oggetti relativi a Dante, Bembo e Manzoni: le tre tappe fondamentali che hanno portato l’italiano a essere quello che oggi parliamo o scriviamo. Ma potrebbero essere anche una lettera, un telefono e un emoji: tre modi diversi di comunicare tra le persone. O – ancora – l’armatura, il divano e la canoa: simboli delle parole che tra medioevo ed età moderna ci sono arrivate rispettivamente dalla Francia, dall’Oriente, dal Nuovo mondo. O – al contrario – il fiorino, lo spartito di Mozart con le notazioni in italiano e la lattina di spaghetti Heinz, per raccontare la fortuna dell’italiano nel mondo. E così via. Il bello di questo Museo è che intreccia tantissimi percorsi diversi.

Qual è la particolarità della lingua italiana rispetto ad altre lingue nazionali, come ad esempio inglese e francese?

A differenza di quanto è accaduto per altre grandi lingue di cultura, la fisionomia dell’italiano è stata determinata soprattutto dallo stretto legame con la tradizione letteraria. A porre le basi della nostra lingua sono – nel Trecento – i capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio. Quelli che oggi chiamiamo Divina commedia, Canzoniere e Decamerone vengono guardati da subito come nuovi classici e già alla fine del secolo le opere delle cosiddette «tre corone» risultano conosciute in tutta Italia. È grazie a quei modelli che s’impone progressivamente tra i letterati un’idea di lingua ricalcata sul fiorentino trecentesco. Idea destinata a diventare norma, quando – nel Cinquecento – cominciano a essere pubblicate le prime grammatiche del volgare. Una lingua italiana, insomma, è esistita molto prima che esistesse un’Italia politica. Già Dante parlava della «lingua del sì»; già nel 1612, la nostra lingua fu la prima ad avere un grande vocabolario come quello degli Accademici della Crusca.

L’italiano è stata una lingua solo letteraria per tanti secoli. Questo ha compromesso la sua capacità di adattarsi alla realtà quotidiana?

L’attenzione maggiore, nel libro, è rivolta proprio all’attrito tra modelli letterari e la lingua comune. L’intenzione è quella di valorizzare le diverse forme in cui il volgare prima e l’italiano poi hanno via via guadagnato terreno nella comunicazione di tutti i giorni. Attraverso la lingua, infatti, non passa solo la cultura intellettuale di un popolo: passa anche – in un certo senso, soprattutto – quella materiale. Passa l’intera vita di una comunità; passano i cambiamenti sociali e i rivolgimenti politici, l’immaginario collettivo e le abitudini individuali. E allora ecco la lingua dei mercanti e dei predicatori, dei pellegrini e degli emigranti; l’italiano stentato di chi era abituato a parlare il dialetto e di chi a scuola stava sempre all’ultimo banco; l’italiano usato nelle lettere e nelle telefonate delle persone qualunque, digitato nei messaggi e messaggini che ogni giorno ci scambiamo grazie alla rete; quello pop – se non proprio popolare – della radio e della televisione, dei fumetti, della pubblicità, della musica leggera.

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