Sophie Kinsella: il romanzo che l’ha resa una regina

11 Dicembre 2025

"I love shopping", il romanzo rosa che ha reso Sophie Kinsella la regina del romance. Un tuffo nella letteratura "leggera". Ma lo è davvero?

Sophie Kinsella: il romanzo che l'ha resa una regina

La notizia della morte di Sophie Kinsella, scomparsa all’improvviso a 55 anni, ha colpito lettrici e lettori di tutto il mondo; e mare di commenti, molti hanno nominato d’istinto un solo titolo: “I love shopping”, il romanzo che ha inventato Becky Bloomwood e inaugurato una delle serie più amate della narrativa romantica contemporanea.

Pubblicato nel 2000 con lo pseudonimo Sophie Kinsella, “I love shopping” (in originale The Secret Dreamworld of a Shopaholic, poi Confessions of a Shopaholic) è il primo capitolo di una lunga saga chick lit e uno dei libri più famosi del genere.

Etichettato per anni come lettura “leggera”, spesso liquidato come puro intrattenimento femminile, è in realtà un romanzo molto più complesso di quanto lasci intendere la copertina con le borse colorate.

Rileggerlo oggi, alla luce della scomparsa dell’autrice, significa accorgersi di una cosa: “I love shopping” è un libro che parla a tutte le età e che, sotto il tono brillante, nasconde una critica lucidissima alla nostra società dei consumi, oltre a un percorso di crescita emotiva e sentimentale che ha trasformato Becky e Luke in una coppia cult del romance.

“I love shopping” e l’eroina che sbaglia sempre

La trama di base la conosciamo tutti, anche solo per osmosi:

Rebecca “Becky” Bloomwood è una venticinquenne londinese che lavora come giornalista finanziaria per una rivistina dal titolo ironico, “Far fortuna risparmiando” (Successful Savings). Dalla sua scrivania, dispensa consigli di prudenza, investimenti sicuri e buone abitudini di risparmio. Nella vita privata, però, è l’esatto contrario di ciò che predica: il conto in banca è in rosso, le carte di credito sono al collasso, le lettere minacciose del direttore di filiale si accumulano sul tavolo di casa.

Becky è affetta da una vera e propria dipendenza da shopping: ogni vetrina è una sirena, la scritta “Saldi” è un richiamo irresistibile, qualsiasi oggetto – dal maglione color pesca alla crema idratante “di cui non può fare a meno” – diventa nel giro di poche righe un bisogno vitale. Le bugie che racconta a sé stessa (“Mi merito un premio”, “È un investimento per il futuro”, “Se non lo compro me ne pentirò per sempre”) sono le stesse che, in forme diverse, abbiamo usato tutti almeno una volta.

È qui che si vede il talento di Kinsella: Becky è esagerata ma mai caricaturale. Ridiamo dei suoi guai, ma ci riconosciamo nei piccoli autoinganni quotidiani. È pasticciona, infantile, incapace di affrontare i problemi… e proprio per questo irresistibile.

Londra, le vetrine e l’ansia del conto in banca

Lo sfondo del romanzo è una Londra molto concreta, fatta di metropolitana affollata, boutique di lusso, caffè, redazioni e banche. Mangialibri, nella sua recensione, sottolinea come Kinsella riesca a rendere palpabile la routine di Becky: l’appartamento condiviso con l’amica Suze a Fulham, la visita ai genitori nel Surrey, le mail del direttore di banca che diventano quasi un personaggio a sé.

La trama segue Becky fra tentativi falliti di risparmio, piani improbabili per guadagnare di più, gaffe sul lavoro, figure barbine in TV e momenti di intuizione giornalistica che, paradossalmente, la mostrano molto più competente di quanto lei stessa si creda. È un romanzo di situazioni, di accumulo comico: ogni capitolo sembra aggiungere un piccolo disastro alla pila già traballante.

Sotto il ritmo da commedia, però, c’è sempre un’ombra: l’ansia del debito, la vergogna, la paura di essere scoperta come “impostora” sia sul lavoro che nella vita privata. Kinsella, che nella realtà è stata giornalista finanziaria prima di dedicarsi ai romanzi, conosce bene il linguaggio delle banche e lo usa con ironia chirurgica.

Il romance con Luke: dal malinteso alla coppia cult

E il romance? Entra in scena Luke Brandon, affascinante imprenditore a capo di una società di PR, che Becky conosce alle conferenze stampa e alle presentazioni aziendali. Lui è l’uomo che “ha tutto sotto controllo”: brillante, ricco, disciplinato – almeno in apparenza. Lei, il caos fatto persona.

La loro storia nel primo libro è in realtà abbastanza misurata: niente erotismo spinto, niente grandi scene melodrammatiche. È fatta di piccoli incontri, di incomprensioni, di pregiudizi (Becky lo crede uno squalo freddo e arrivista; Luke la vede inizialmente come una buffa giornalista distratta).

Proprio per questo, la loro evoluzione verso una coppia consolidata, romanzo dopo romanzo, è diventata un elemento fondante del culto “Shopaholic”. I lettori li hanno seguiti attraverso fidanzamento, matrimonio, crisi, progetti di famiglia – dal primo romanzo fino a titoli come “I love shopping in bianco” e “I love shopping per il baby”, che mostrano Becky alle prese con l’organizzazione di un matrimonio e poi con la maternità.

Luke non è il classico miliardario dominante da romance contemporaneo: è un uomo che impara, sbaglia, si arrabbia e riprova. Becky non è la ragazza che viene “salvata” dal principe azzurro: sì, lui la aiuta concretamente con il debito, ma il cuore del loro rapporto sta nel fatto che Luke vede in lei un talento, un’intelligenza emotiva e creativa che Becky fatica a riconoscere da sola. È questo equilibrio, più che l’elemento fiabesco, a rendere la loro storia tanto amata.

Non è solo “chick lit”: temi, metafore, corrente

La dipendenza da consumo come malattia sociale

“I love shopping” è considerato uno dei capostipiti della cosiddetta chick lit, quella narrativa leggera e ironica che racconta la vita di giovani donne urbane alle prese con lavoro, amore e amicizie.

Ma, come nota un blog letterario italiano, Kinsella riesce a restituire “l’idea di una società dei consumi malata con il sorriso e la spensieratezza di un romanzo leggero e fresco” – citando Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

La compulsione all’acquisto di Becky non è solo un tic comico: è presentata quasi come una dipendenza, con la stessa dinamica delle altre forme di compulsione. C’è l’euforia iniziale, il momento del “clic” o della carta strisciata, e poi la coda lunga del senso di colpa, della bugia, dell’evitamento. L’oggetto comprato – una sciarpa, un servizio di piatti – non ha valore in sé; è un palliativo emotivo, un anestetico.

In questo senso, il romanzo anticipa molti discorsi che oggi facciamo su shopping compulsivo, credito facile, retail therapy, influencer marketing. Se nel 2000 Becky inseguiva le vetrine di Oxford Street, oggi la immagineremmo a scrollare siti di e-commerce e app di shopping: le dinamiche sono identiche.

Denaro, vergogna e bugie: il debito come tabù

Un altro tema forte, tutt’altro che superficiale, è il rapporto con il denaro. Becky non è povera nel senso tradizionale: è precarissima. Ha un lavoro a tempo pieno ma vive perennemente sopra le sue possibilità. Il problema non è (solo) quanto guadagna, ma l’educazione emotiva al denaro: nessuno le ha insegnato come gestirlo, come dire di no, come affrontare un estratto conto senza sentirsi sbagliata.

Per questo accumula bugie: mente al direttore di banca, ai genitori, a se stessa. Il debito diventa un tabù di cui non si può parlare, un segreto che la isola.

È un tema sorprendentemente adulto, che molti lettori hanno riconosciuto come estremamente realistico – soprattutto in una generazione cresciuta fra carte di credito, prestiti studenteschi, rate e mutui.

Amicizia femminile e crescita emotiva

Accanto al romance con Luke, c’è un’altra relazione fondamentale: l’amicizia con Suze, la coinquilina ricca e affettuosa che lavora in un negozio di articoli di lusso. Suze è spesso la voce della ragione (anche se non sempre ci riesce), quella che ascolta Becky senza giudicarla, ma che, a un certo punto, si arrabbia davvero quando capisce che le bugie stanno danneggiando non solo Becky stessa ma anche chi le sta intorno.

In un panorama di narrativa romantica spesso centrato unicamente sulla coppia, Kinsella costruisce una rete affettiva più ampia: i genitori, la collega Tarquin, perfino il direttore di banca, che da figura minacciosa diventa quasi un antagonista comico e, alla lunga, un adulto responsabile che cerca di farle aprire gli occhi.

La crescita di Becky non è lineare: ricade negli stessi errori, si illude, combina disastri. Ma, poco a poco, impara a riconoscere le proprie zone d’ombra, a chiedere aiuto, a usare il proprio talento per qualcosa di diverso da “comprare cose carine”. Alla fine del primo libro, il cambiamento è ancora fragile, ma è iniziato: ed è questo che rende la storia credibile.

Una satira dolceamara del capitalismo con sorriso incorporato

Alcuni critici, soprattutto negli anni Duemila, hanno liquidato il libro come una celebrazione superficiale del consumismo. Altri blog, più severi, faticano a “relazionarsi” con una protagonista che sembra ridere delle dipendenze.

Ma l’operazione di Kinsella è più sottile: usa la commedia romantica per mettere in scena una forma di alienazione moderna, quella che ci spinge a misurare il nostro valore in base alle cose che possediamo. Il mondo di Becky è pieno di messaggi pubblicitari, di inviti a spendere, di promesse di felicità legate a un brand: la sua ossessione è la versione estremizzata di un bombardamento che tutti subiamo.

La forza del romanzo sta nel non fare mai la predica. Ci mostra le conseguenze del comportamento di Becky – sul conto in banca, sul lavoro, sull’autostima – senza trasformarsi in un manuale di educazione finanziaria. Resta una commedia, sì, ma una commedia che sa ridere dell’ansia che abbiamo tutti di “essere all’altezza” tramite le cose.

Perché parla a tutte le età

La lettrice giovane: riconoscersi nelle prime volte

Per una lettrice o un lettore giovane, “I love shopping” è prima di tutto una storia di prime volte: primo lavoro vero, primo appartamento condiviso, primi veri guai con il conto, primo innamoramento che sembra seriamente promettere qualcosa. Becky, con la sua goffaggine, è la personificazione di quell’età di mezzo in cui non siamo più adolescenti ma non ci sentiamo ancora davvero adulti.

Vederla inciampare, inventarsi scuse patetiche, presentarsi a un’intervista TV senza aver letto il dossier, è liberatorio: normalizza il fatto che nessuno entra nel mondo del lavoro o dell’amore con un manuale d’istruzioni.

La lettrice adulta: rivedere i propri errori con tenerezza

Per chi ha qualche anno in più, il romanzo funziona quasi al contrario: è una macchina del tempo che ci riporta ai nostri vent’anni, con la distanza sufficiente per sorridere dei disastri che siamo stati. Molte lettrici adulte raccontano di aver riletto “I love shopping” dopo una separazione, un cambio di lavoro, una crisi economica, trovandoci un misto di nostalgia e sollievo: “meno male che certe cose le ho capite, prima o poi”.

In più, il proseguire della serie – con Becky che si sposa, diventa madre, cambia città – permette di invecchiare con i personaggi, cosa che ha contribuito moltissimo al fenomeno di identificazione transgenerazionale: chi ha iniziato la saga a vent’anni oggi ne ha quaranta o cinquanta e si ritrova ancora, in modo diverso, nelle sue preoccupazioni.

Anche per chi “non ama lo shopping”

Infine, c’è un punto spesso trascurato: il libro funziona anche per chi lo shopping non lo sopporta. Molti critici dichiaratamente allergici alle vetrine hanno ammesso di aver amato il romanzo nonostante il tema, proprio perché il cuore della storia non sono gli acquisti ma il bisogno di riempire un vuoto con qualcosa di luccicante. E quel vuoto può essere colmato con qualsiasi cosa: lavoro, relazioni, social network, sport estremi.

In questo senso, “I love shopping” è meno un romanzo su una ragazza che ama i saldi, e più un romanzo su una persona che non sa ancora come volersi bene senza comprare niente. E questa, purtroppo, è una condizione piuttosto universale.

Sophie Kinsella: la vita e l’eredità di una regina del romcom

Dalla finanza alla narrativa, sotto due nomi diversi

Sophie Kinsella era, all’anagrafe, Madeleine Sophie Wickham, nata a Londra nel 1969. Prima di diventare la regina della commedia romantica lavorava come giornalista finanziaria, esperienza che le ha permesso di entrare nei meccanismi del denaro con grande familiarità – e che le ha fornito il materiale perfetto per ridere della finanza attraverso Becky Bloomwood.

A 24 anni pubblica il suo primo romanzo con il nome reale, inaugurando una serie di libri più cupi e corali. Solo nel 2000 decide di cambiare registro e di adottare lo pseudonimo Sophie Kinsella per un nuovo tipo di storia: più brillante, comica, centrata su una protagonista femminile unica, raccontata in prima persona. Nasce così “I love shopping”, seguita da numerosi altri titoli della serie e da romanzi autonomi come “Sai tenere un segreto?”, “La regina della casa”, “La ragazza fantasma”.

Il successo è immediato e travolgente: i suoi libri vendono oltre 45–50 milioni di copie nel mondo, vengono tradotti in decine di lingue e, nel 2009, il primo “Shopaholic” diventa un film con Isla Fisher e Hugh Dancy.

Una voce che ha cambiato l’idea di commedia romantica

I necrologi usciti in questi giorni parlano di lei come della “queen of romantic comedy” e di un’autrice capace di coniugare leggerezza e profondità.

Ma forse la definizione più precisa è quella riportata da un articolo che ne celebra l’eredità: in un’intervista del 2018, Kinsella diceva di amare le storie di “donne pasticciate e imperfette, perché la vita è così. Lo shopping è solo il glitter sopra”.

Questa frase riassume benissimo il cuore del suo lavoro: sotto le trame romantiche e le gag da sitcom, i suoi libri parlano di ansia, di identità, di aspettative sociali, di burnout, di rapporti familiari complicati. Negli ultimi anni aveva affrontato anche temi come l’esaurimento professionale (“The Burnout”) e la salute mentale dei ragazzi (“Finding Audrey”).

La sua morte, avvenuta il 10 dicembre 2025 nella casa di Dorset, dopo una battaglia di anni contro il glioblastoma, lascia un vuoto enorme.

Ma la sua eredità è tutta lì, sugli scaffali, pronta a essere scoperta da nuove generazioni.

Le lezioni di Becky Bloomwood oggi

Che cosa ci resta, allora, da “I love shopping”, al di là del divertimento?

  1. Ridere dei nostri autoinganni è già un modo per disinnescarli. Becky è grottesca, ma proprio perché porta all’estremo meccanismi che tutti conosciamo – la scusa del “me lo merito”, la ratifica morale di un acquisto inutile – ci aiuta a riconoscerli in noi stessi senza macigni sul cuore.
  2. Il denaro non è un tema frivolo. Kinsella lo mette al centro di una commedia romantica, mostrando quanto le questioni economiche influenzino la nostra autostima, le relazioni, la libertà di scelta. Parlare di debito in un romanzo “rosa” è stato, a suo modo, un gesto politico.
  3. Le storie d’amore sane non cancellano i problemi, li attraversano. Il rapporto fra Becky e Luke non è basato sulla salvezza miracolosa o sul sacrificio totale di uno dei due. È un percorso in cui entrambi imparano a vedersi davvero, a ridere dei difetti dell’altro, a fare squadra di fronte ai guai.
  4. La leggerezza può essere una forma di profondità. Lo dimostra la fortuna duratura del libro: a distanza di venticinque anni, continua a essere letto da ragazze e donne di età diversissime, spesso proprio nei momenti di crisi. Non perché offra soluzioni, ma perché ci fa sentire meno soli nel casino.

Scrivere oggi di “I love shopping” significa, in fondo, rendere omaggio a una scrittrice che ha saputo dare dignità narrativa a personaggi che la critica “seria” ha spesso guardato con sufficienza: donne comuni, un po’ disordinate, piene di contraddizioni, alle prese con bollette, desideri, sogni e casini sentimentali.

Finché ci sarà almeno una persona che, entrando in libreria, prenderà in mano la copertina colorata e penserà “Ok, ho bisogno esattamente di questo tipo di storia, adesso”, l’universo di Sophie Kinsella continuerà a vivere. E Becky Bloomwood, con la sua carta di credito traballante e il cuore enorme, resterà una delle eroine più umane – e meno superficiali – della narrativa romantica contemporanea.

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