Sei qui: Home » Libri » Silvio Saffirio, “Il mondo della pubblicità oggi è peggiorato”

Silvio Saffirio, “Il mondo della pubblicità oggi è peggiorato”

L'esperto di comunicazione pubblicitaria è autore del libro "Graffi ai tempi che corrono", un'opera che mette un dito nelle piaghe del nostro tempo, ponendo l'accento sul mondo pubblicitario

MILANO – Dagli anni ’60 ai ’90 la pubblicità fu un crescendo,  in dialettica sinergia con il marketing. Poi globalizzazione dei mercati, trasferimento delle produzioni, fine delle Imprese con un nome e un volto ha peggiorato le cose, con un’umanità globalmente non all’altezza delle sue conquiste. E’ questa l’opinione di Silvio Saffirio, uno dei “nomi” della pubblicità italiana, fondatore nel 1968 dell’agenzia “Barbella Gagliardi Saffirio”, autore del libro “Graffi ai tempi che corrono“, un’opera edita dalla casa editrice yume Book che mette un dito nelle piaghe del nostro tempo, e che l’autore ha voluto condividere con noi in questa intervista, ponendo l’accento sul mondo pubblicitario di oggi.

 

 

Come nasce “Graffi”?

Nasce dal bisogno di dire qualcosa controcorrente senza sottostare alla logica di un saggio con note, bibliografia e indice dei nomi. Affermazioni senza dimostrazioni. Chi le condivide non ne sente il bisogno. E a chi non è d’accordo non basterebbe nulla per fargli cambiare idea. Sono pensieri quotidiani, meglio: pomeridiano-serali, quando la luce cala e lo spleen del tramonto tonifica le riflessioni. Li ho chiamati nel sottotitolo Post ai posteri da uno scettico della modernità. In effetti sono spesso dei post che ho scelto tra un mucchio di brevi scritti non troppo riflettuti. Prima di pubblicarli ne ho affinata la forma, ma sono quello. Non ho tradito il pensiero iniziale né “aggiornato” il senso. Al contrario, mi sono sorpreso di aver spesso anticipato l’andamento dei fatti. Vorrei chiarire che “Graffi” non è un libro greve. Ha una sua misura di gaiezza, di spensieratezza, di sense of humour. E ogni tanto colpisce con un graffio come un micio in agguato.

 

Qual è il “graffio” contenuto nel libro che più la colpisce?

È difficile sceglierne uno. Sono molti, originano da differenti spunti. Se devo proprio indicarne uno direi allora quello che ha per titolo “Per un saggio uso degli stupidi”.

 

Cos’è la modernità per lei?

Sarebbe meravigliosa se l’umanità non avesse contemporaneamente smarrito il sapere antico.

 

Ha una lunga esperienza in campo pubblicitario, avendo lanciato campagne di successo. Com’è cambiato oggi il mondo della pubblicità?

Dagli anni ’60 ai ’90 la pubblicità fu un crescendo. Era cominciata la sua fase moderna, quasi nell’immediato dopoguerra, con i manifesti di Boccasile e Armando Testa per crescere poi in attrazione, intelligenza e simpatia, attraverso i quotidiani, i periodici e la radio fino al boom televisivo. Era un lavoro bello, e aldilà delle apparenze, molto faticoso. Un lavoro cosmopolita dove ci facevamo un punto d’onore di conoscere i lavori e il pensiero dei nostri miti perlopiù di oltre oceano. In tutto il mondo con sorprendente coerenza la pubblicità creò le sue regole fondamentali in dialettica sinergia con il marketing. Il Festival di Cannes ne rappresentava il simposio annuale.

Poi cambiarono le cose: globalizzazione dei mercati, trasferimento delle produzioni, fine delle Imprese con un nome e un volto. Iniziò l’era dei manager e degli head hunter, delle stock-option e delle famigerate trimestrali. Delle super-liquidazioni a manager che avevano rovinato l’Impresa. Dei giovani che non riescono a iniziare la carriera, della carneficina dei cinquantenni, delle pensioni rinviate a età insensate. A questo si aggiunse il web che non è certo il colpevole ma lo strumento tecnologico di questa apocalisse ancora percepita soltanto confusamente. Cosa vuole che le dica? Sono felice di esser nato in quell’epoca là, tanto diversa, quasi medioevale.

 

Cosa pensa invece pensa sia migliorato?

Nella pubblicità non vedo miglioramenti. Al contrario. Per un’attività che si traduce in messaggi soltanto apparentemente semplici, occorrono persone colte, introspettive, mai soddisfatte. Vedo molta frettolosità nel modo di lavorare odierno, molta omologazione nelle tecniche e negli approcci.

Vedo anche però giovani appassionati, dolci, simpatici e poliglotti che vorrei aver avuto come collaboratori a suo tempo. Con il mio modo di fare da sergente chissà cosa ne sarebbe uscito…

Più in generale vedo un’umanità globalmente non all’altezza delle sue conquiste: abbiamo abolito il dolore, dal parto alla chirurgia; possiamo immaginare imprese e opere impensabili, raggiungere velocità fantastiche, nutrire un pianeta iperpopolato, collegare one-to-one tutta l’umanità. Vi sembra poco? E c’è ancora altro. Ma abbiamo generato problemi ambientali e di risorse di tali dimensioni da mettere in forse la sopravvivenza dell’umanità se non del pianeta. Il progresso ha compiuto un salto in alto sconvolgente ma l’umanità non l’ha accompagnato con un pari sviluppo antropologico. O per meglio dire il salto antropologico c’è stato. Ma di lato.

© Riproduzione Riservata