Dopo, ben quasi quindici anni dalla sua prima uscita in lingua tedesca, arriva in libreria il 3 ottobre 2025 l’edizione italiana di Shanzhai. Pensiero cinese e decreazione (Nottetempo, 2025), il libro filosofico di Byung-Chul Han che rivoluziona le categorie fondamentali dell’intero pensiero occidentale, il rapporto tra originale (o vero), e copia (o falso, affermando che la società occidentale, ha iniziato ad assorbire nel proprio vissuto quotidiano, modi di agire e di pensare sempre più condizionati dal pensiero cinese.
Non dimentichiamo che siamo in un’epoca in cui tutto può essere replicato, imitato, manipolato. Si parla di decreazione, dove le opere, i prodotti, le creazioni sono sottoposte ad un continuo processo di “falsificazione”, che con il tempo finisce, in alcuni casi, per migliorare l’originale. Non solo i prodotti, ma anche le notizie, le identità, perfino le emozioni circolano come copie e versioni senza fine. Siamo entrati nell’”era del “fake”, dove ciò che prima era considerato inviolabile e l’autorialità era sacra, oggi anche in Occidente tutto sembra poter essere violato, copiato, falsificato.
In Shanzhai. Pensiero cinese e decreazione, il pensatore tedesco-coreano, mette al centro esplicitandolo il concetto di “Shanzai“, permettendo di analizzare ciò che sta accadendo al livello mondiale da una prospettiva radicalmente diversa, quella della cultura cinese, dove la copia non è inganno ma processo creativo.
Shanzhai. Pensiero cinese e decreazione di Byung-Chul Han
Il libro di Byung-Chul Han parte dal termine shanzhai (山寨), oggi usato in Cina per indicare il “falso” e ne mostra la portata ben oltre la contraffazione. Shanzhaismo (山寨主義), cultura shanzhai (山寨文化) e spirito shanzhai (山寨精神) definiscono una grammatica creativa che attraversa tecnologia, arte, mercato, politica e linguaggio. Non è il falso contro il vero, ma la variazione contro l’originarietà: la copia come atto che continua e ricrea.
Il filosofo illumina il cuore di questa logica con casi concreti. I telefoni shanzhai, copie di modelli Apple, Nokia o Samsung vendute come Nokir, Samsing, Anycat, non sono imitazioni rozze, ma aggiungono funzioni nuove (es. il riconoscimento delle banconote false), adattano il design ai bisogni locali, accorciano i cicli di risposta al mercato. Nel fashion e nel branding, la variazione diventa un gioco “dadaista”: per fare un esempio, Adidas scivola in Adidos, Adadas, Adadis, Adis, Dasida…. Ogni volta il marchio si sposta di un millimetro, e in quella micro-differenza nasce un nuovo originale.
Per spiegare perché tutto ciò non sia semplice “plagio”, Byung-Chul Han introduce la categoria di “decreazione“, che possiamo considerare in opposizione alla creatio ex nihilo (creazione dal nulla) occidentale. La creazione si trasforma in un processo infinito di smontaggio e ricomposizione che non conosce un punto d’arrivo.
Da qui l’impianto filosofico del libro:
1. Occidente
Centralità dell’essere, dell’origine e dell’autenticità. L’originale è un feticcio inviolabile, la copia è subordinata.
2. Pensiero cinese
Centralità del divenire, della situazione e della variazione, non esistono originali assoluti, ma catene di versioni.
La pittura tradizionale cinese è la prova storica di questa ontologia della variazione. Copiare i maestri (fuzhi) è metodo di apprendimento e ri-animazione dello spirito dell’opera. Collezionisti e intenditori appongono sigilli e note sui dipinti antichi, trasformando l’opera in palinsesto, cioè in una storia condivisa di continui interventi. Non vandalismo come saremmo indotti a pensare in occidente, ma valore aggiunto che prolunga la vita dell’immagine.
Shanzhai come spiegazione dell’“era del fake”
Da qui Byung-Chul Han allarga il campo. La logica shanzhai modula il potere come efficacia situazionale (più che comando sovrano), ridefinisce il rapporto con la legge e con la proprietà intellettuale (meno centrata sull’aura dell’origine, più sulla funzione sociale della variazione), e consente persino di leggere il maoismo come un “marxismo shanzhai”, ovvero un adattamento radicale di un’ideologia europea al contesto cinese. Per questo Han parla di fenomeno autenticamente cinese. Non per essenzialismo culturale, ma perché nasce dal massimo sfruttamento della situazione (rapidità, ibridazione, funzionalità, accessibilità).
Nell’ultima parte implicita del ragionamento, il libro diventa una lente per il presente. Se lo shanzhai mostra che la copia è già creazione, allora l’”era del fake” non è solo il regno dell’inganno, ma il nostro modo attuale di produrre senso. Qualsiasi produzione si evolve per micro-variazioni, meme che riscrivono all’infinito i loro modelli, remix continui, persino IA generativa che lavora per iterazioni. In questo scenario, Shanzhai non celebra la falsificazione, ma demistifica l’originale e costringe a riconoscere che la creatività contemporanea è, in larga parte, arte della variazione.
Shanzhai può essere letto come il saggio che fornisce una rappresentazione filosofica di ciò che stiamo vivendo, ovvero l’affermazione dell’”era del fake”. Invece di vedere la proliferazione di copie, remix e falsi come una degenerazione, Byung-Chul Han mostra che si tratta di un cambiamento di paradigma, del quale non si può n0n tener conto. La copia non sottrae valore, ma lo moltiplica, trasformandosi in un processo creativo collettivo.
Per questo, Shanzhai può essere considerato non solo una riflessione sulla cultura cinese, ma anche una vera e propria diagnosi dell’”era del fake”: un mondo in cui i meme, le fake news, i profili digitali multipli e persino i contenuti generati dall’intelligenza artificiale non sono deviazioni patologiche, ma le forme naturali della creatività e della comunicazione contemporanea.
Critiche all’opera di Han: limiti, tensioni e riserve
Se Shanzhai è stato accolto come un saggio provvidenziale per scuotere le certezze del pensiero occidentale, non è sfuggito ai critici che molte delle sue mosse concettuali sollevano interrogativi — talvolta seri — che meritano attenzione.
Il saggio filosofico del pensatore tedesco-coreano va considerato come un contributo essenziale alla comprensione della post-verità, dove le categorie occidentali di “vero/falso” e “originale/copia” perdono la loro forza. Lo stesso Han sottolinea che forza dello shanzhai sta proprio nella sua capacità di rendere visibile la variazione, più che nell’illusione dell’autenticità.
Una delle critiche più ricorrenti riguarda il rischio di essenzialismo culturale. Han tende a contrapporre un “pensiero cinese” fluido e aperto a un “pensiero occidentale” chiuso e logocentrico, ma molti osservatori obiettano che questa dicotomia rischia di semplificare troppo. La Cina possiede molte tradizioni filosofiche, tensioni e contraddizioni interne che non si adattano facilmente a un’immagine monolitica. In altre parole, usare la Cina come specchio “altro” dell’Occidente può diventare una strategia concettuale affascinante ma fragile.
Alcuni critici hanno sollevato anche il pericolo di una romanticizzazione dello “shanzhai creativo”, ossia il fatto che Han sembri privilegiare aspetti virtuosi, variazione, flessibilità, rottura, trascurando le concrete dimensioni economiche, normative e morali legate alla contraffazione: sfruttamento del lavoro, violazioni della proprietà intellettuale, impatti sulla concorrenza globale. In questo senso, lo shanzhai filosofico rischia di oscurare le ombre del fenomeno reale.
Da un punto di vista filologico, la critica ha individuato una certa mancanza di rigore storico nei riferimenti cinesi. Han a volte muove da concetti cinesi, li interpreta in chiave decostruttiva (per rimanere in tema) e poi li riallinea subito alla sua diagnosi filosofica occidentale. Secondo alcuni specialisti del pensiero cinese e sinologi, queste operazioni critiche sarebbero meno rigorose delle letture “sul testo” tipiche della filologia comparata, e più vicine al “pensiero filosofico occidentale che attinge all’estremo Oriente” come risorsa simbolica.
Un esempio specifico di critica testuale si trova nell’articolo “On Jacques Derrida’s ‘Theory and Practice’ and Byung-Chul Han’s Shanzhai: Deconstruction in Chinese” su LA Review of Books, dove si sostiene che la lettura derridiana è piegata da Han alla logica di shanzhai, con il pericolo che la decostruzione venga assimilata semplicemente alla creatività variante cinese, perdendo in profondità teorica.
In generale, le critiche all’opera di Han non ne negano l’importanza, ma invitano alla prudenza interpretativa. Il potere provocatorio di Shanzhai sta nel costringerci a ripensare le nostre categorie di copia, originalità e legge, ma per renderlo davvero fecondo, serve affiancare la lettura filosofica con l’analisi storica, economica e critica che smascheri le zone grigie del “falso creativo”.
Chi è Byung-Chul Han
Byung-Chul Han (Seoul, 1959) è un filosofo e teorico culturale sudcoreano naturalizzato tedesco, oggi considerato una delle voci più lette e influenti della filosofia contemporanea. Professore alla Universität der Künste di Berlino, è diventato celebre per i suoi saggi brevi e incisivi che analizzano con lucidità le patologie della società tardo-moderna, dal capitalismo neoliberale alla rivoluzione digitale.
Il suo stile di scrittura è riconoscibilissimo, aforistico, essenziale e chirurgico, capace di condensare riflessioni complesse in testi snelli che hanno trovato grande eco anche fuori dall’accademia.
Il pensiero filosofico dell’autore
Il filosofo è noto per la sua capacità di diagnosticare con precisione le contraddizioni della società contemporanea. Al centro del suo pensiero c’è l’analisi delle patologie del capitalismo neoliberale e della rivoluzione digitale: la stanchezza, il burnout, l’ossessione per la performance, la trasparenza assoluta che cancella ogni mistero, la perdita dei riti e dei legami comunitari.
Con uno stile aforistico, breve e tagliente, Han intreccia filosofia europea (da Heidegger a Foucault, da Hegel a Benjamin) e suggestioni orientali, offrendo un lessico nuovo per descrivere il nostro tempo. Le sue opere mostrano come il potere non agisca più attraverso divieti e repressione, ma attraverso la seduzione e l’auto-sfruttamento, trasformando la libertà in obbligo di auto-ottimizzazione.
Il suo pensiero è oggi una bussola indispensabile per comprendere l’era digitale e neoliberale: un mondo che promette libertà e trasparenza, ma che in realtà genera ansia, omologazione e perdita di senso collettivo.
Ecco alcuni temi chiave della sua filosofia:
La società della stanchezza
Han rilegge l’eredità di Foucault e mostra come siamo passati dalla società della disciplina (basata sul divieto) a una società della prestazione, dove ciascuno è imprenditore di sé stesso. Non è più il “devi” a dominarci, ma il “puoi fare tutto”. Un imperativo che porta non alla libertà, ma a burnout, depressione e ansia da prestazione.
Trasparenza e digitale
Nella società iperconnessa, la trasparenza diventa un dogma. Han la definisce una forma di pornografia sociale: tutto è esposto, niente resta nascosto. Ma così vengono cancellati alterità, negatività e mistero, e il controllo diventa più pervasivo di qualsiasi panopticon.
Crisi dei riti e della comunità
Han osserva come la scomparsa dei riti collettivi e delle forme simboliche stia frantumando i legami sociali. L’individuo, isolato nel proprio narcisismo, perde la capacità di vivere esperienze condivise. La conseguenza è una società disgregata, priva di senso comune.
I libri del filosofo
Byung-Chul Han è un pensatore diagnostico, capace di fotografare con parole taglienti la condizione contemporanea: una società stanca, trasparente e narcisista, che ha smarrito l’alterità e i riti, e che trova nello shanzhai la chiave per capire perché viviamo nell’era del fake.
Ecco alcune delle sue opere pubblicate:
La società della stanchezza (Müdigkeitsgesellschaft, 2010 – Ed. italiana: Nottetempo, 2012)
Il saggio che lo ha reso celebre: analizza la transizione dalla società disciplinare a quella della performance, dove l’imperativo non è più “devi” ma “puoi”, generando burnout e depressione.
La società della trasparenza (Transparenzgesellschaft, 2012 -Ed. italiana: Nottetempo, 2014)
Una critica alla cultura digitale della trasparenza totale: Han la definisce pornografia sociale che elimina mistero, alterità e fiducia.
Nello sciame. Visioni del digitale (Im Schwarm, 2013 – Ed. italiana: Nottetempo, 2015)
Riflessione sul comportamento collettivo nell’era dei social media: l’individuo si dissolve nello “sciame digitale”, privo di distanza critica.
Psicopolitica. Il neoliberismo e le nuove tecniche del potere (Psychopolitik, 2014 – Ed. italiana: Nottetempo, 2016)
Il potere non agisce più con la repressione, ma con la seduzione e l’auto-sfruttamento: il neoliberismo colonizza emozioni e psiche.
L’espulsione dell’Altro (Die Austreibung des Anderen, 2016 – Ed. italiana: Nottetempo, 2017
Analisi della perdita di accettazione della diversità nella società contemporanea, ridotta a un “inferno dell’uguale” dominato dall’omologazione.
Eros in agonia (Agonie des Eros, 2012 – Ed. italiana: Nottetempo, 2017)
Riflessione sulla crisi del desiderio e delle relazioni: in un mondo dominato dall’efficienza, l’eros perde forza vitale.
La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite (Die Palliative Gesellschaft, 2020 – Ed. italiana: Einaudi, 2021)
Critica alla società contemporanea che vuole eliminare il dolore a ogni costo, perdendo però il senso della profondità umana.
Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete (Infokratie, 2021 – Ed. italiana: Einaudi, 2022)
Analisi del potere dell’informazione nell’era digitale: la democrazia rischia di degenerare in pura “infocrazia”.
La scomparsa dei riti (Undinge. Umbrüche der Lebenswelt, 2020 – Ed. italiana: Einaudi, 2021)
Denuncia della dissoluzione dei riti collettivi e della conseguente perdita di senso comunitario nella società individualista.
Shanzhai. Pensiero cinese e decreazione (Shanzhai: Dekonstruktion auf Chinesisch, 2011 – Ed. italiana: Nottetempo, 2025)
Il saggio che ribalta le categorie occidentali di originale e copia, mostrando come la creatività cinese si fondi sulla variazione continua e sulla “decreazione”.