I serial killer che hanno segnato l’America nell’ultimo libro di Stefano Nazzi

22 Settembre 2025

Il giornalista, specializzato in cronaca nera, ha esplorato e raccontato la realtà dei serial killer negli Stati Uniti nel suo ultimo libro: "Predatori"

I serial killer che hanno segnato l'America nell'ultimo libro di Stefano Nazzi

Stefano Nazzi, uno dei narratori più popolari ed applauditi nel panorama dei podcast, presenta in anteprima nazionale a PordenoneleggePredatori” (Mondadori). Il libro prende lo spunto da cifre precise: tra gli anni ’60 e i ’90 furono oltre duemila i serial killer negli Stati Uniti, un numero altissimo ma non tanto per un Paese molto violento come gli Usa. Il giornalista, specializzato in cronaca nera, ha esplorato e raccontato quella realtà nell’ultimo libro, descrivendo non solo le storie dei protagonisti negativi, ma anche le storie di chi studiò il fenomeno e, in qualche modo, riuscì a fermarlo.

I serial killer che hanno segnato l’America

Personaggi tristemente celebri delle cronache Usa di un tempo in bianco e nero scorrono nelle 244 pagine del volume, che ha tutte le caratteristiche di un romanzo. “Quasi tutti — precisa Nazzi – avevano un elevato Qi, ben sopra la media”. Qualcuno di loro, per confondere le idee, dava risposte più banali d i quelle che avrebbe dato senza un poliziotto davanti. Nazzi fa una serie di esempi.

John Wayne Gacy sotterrò nel giardino di casa decine e decine di ragazzi, un tizio assolutamente insospettabile che all’arrivo nel suo paese della moglie del presidente Carter fu scelto per accompagnarla in giro, essendo uno stimato iscritto del partito democratico.

E ancora Jeremy “Mangiafegato” – il soprannome definiva già chiaramente le caratteristiche di questo serial killer – John Wayne Gacy, che si vestiva da clown alle feste per bambini e seppelliva gli adolescenti sotto casa, Edmund Kemper, gigante gentile che discuteva con gli agenti di Shakespeare e poi tornava a sezionare cadaveri, sono soltanto alcuni protagonisti dell’orrore di quegli anni.

Big Ed, invece, teneva in casa la testa della madre per giocarci a freccette. “Ecco, aggiungo un particolare non trascurabile – dice Nazzi – ovvero la loro incredibile capacità di manipolare le persone. Edmund ispirava fiducia alle vittime”. Guardando l’artista, si può capire l’opera.

John Douglas, uno che studiò a fondo il cervello dei pazzi, suggerì questa metodologia, aggiungendo: “Pensate come loro, entrate nelle loro menti”. Douglas dice a proposito di Big Ed : “Non sarei onesto se non dicessi che mi piaceva: era affabile, aperto, sensibile e con un incredibile senso dell’umorismo.

Vietnam e pornografia alle origini della violenza

Viene da chiedersi cosa accese la psiche dei killer proprio in quel preciso periodo storico della seconda metà del Novecento. “La guerra del Vietnam – spiega l’autore – e il diffondersi della pornografia, diventata più aggressiva nei confronti delle donne accrebbero la violenza già presente negli Stati Uniti portandola ogni giorno nelle case degli americani.”.

Un fenomeno che ebbe il soprannome di “epidemia”, una stagione terribile con numeri incredibili: 605 assassini nei Settanta, 768 negli Ottanta e 669 nei Novanta fortunatamente poi accadde qualcosa per cui fu scoperto una sorta di vaccino e il virus calò d’intensità. Nel decennio 2000-2010 gli sterminatori scesero a 371 e, in quello successivo, a 117.

Il motivo? “La tecnologia – spiega Nazzi – si rivelò essere un ottimo alleato del Fbi.” Compare tra le pagine anche una parola inquietante: “triade oscura”. Un cocktail letale di narcisismo, machiavellismo e psicopatia, ovvero l’assenza di rimorso, che i serial killer amano gustare all’ora del tramonto.

Nazzi ha ricordato anche la “grande notte del blackout” di New York che lasciò al buio tutta la città con migliaia di assalti a negozi e migliaia di arresti. E poi ha rispolverato le figure di due agenti del Fbi, Roberto Ressler e John Douglas, che, insieme con psicologi e studiosi, cominciarono a studiare le scene del crimine ricostruendo le personalità dei serial killer e riuscendo in parte a prevenire i loro crimini. Un fenomeno quasi sconfitto “grazie al fatto che le indagini scientifiche hanno fatto grandi passi in avanti”.

È invece molto difficile – conclude l’autore con la sua riconoscibile voce – prevenire i casi di quelle persone che “entrano in un locale, all’università per esempio, e sparano sulle persone”.

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