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“Sempre fiori mai un fioraio”, l’omaggio a Paolo Poli e al cabatet letterario del ‘900

Vi consigliamo il libro di Pino Strabioli che restituisce in maniera autentica lo spirito di Paolo Poli, artista assoluto, "ultimo esempio del teatro all’antica italiana"

Pino Strabioli conta una più che trentennale carriera artistica come attore, regista teatrale, direttore artistico, speaker radiofonico di Rai Radio 2, oggi alla conduzione del programma di diffusione culturale di Rai1 “Il Caffè”.

Esordisce come scrittore per Rizzoli con il libroSempre fiori mai un fioraio”, che restituisce in maniera autentica lo spirito di Paolo Poli, artista assoluto, “ultimo esempio — come sottolinea Pino Strabioli — del teatro all’antica italiana, quello delle tele dipinte, del cielo di carta e delle parrucche di lana, di cui lui è il capocomico, il Maestro.”

Sempre fiori mai un fioraio

“La sua intelligenza era supportata dalla cultura – continua Strabioli durante l’intervista, ricordando varie giornate trascorse assieme e come una semplice passeggiata si trasformava in una preziosa lezione a cielo aperto – era in grado di raccontare approfonditamente la storia arricchita da varie curiosità di ogni antico portone, palazzo, dipinto. Entrare in una chiesa con Paolo Poli, il che potrebbe sembrare un paradosso, invece era una lezione di storia dell’arte di vero e autentico arricchimento culturale. Uno degli uomini più colti che abbia mai incontrato.”

Paolo Poli elegge Pino Strabioli come custode delle sue memorie e questo libro prende forma, grazie ad appuntamenti romani, in una trattoria in Piazza Sforza Cesarini “all’ora in cui gli attori dormono: mezzogiorno.”

Paolo Poli e il teatro

Paolo Poli non ama la confusione e nemmeno raccontarsi troppo ma in quegli incontri ha di fronte Pino Strabioli che da trent’anni è entrato nel suo mondo, fatto di letteratura, irriverenza, libero pensiero e poesia. Grazie alla conoscenza profonda e stima il Maestro permette a Strabioli di accendere la “piccola ladra” (un registratore portatile) lasciandolo entrare, con il garbo ed eleganza che contraddistinguono Strabioli, nel suo paesaggio emotivo, abbandonandosi ai ricordi, per libere associazioni, tra fettuccine con i carciofi, mezza di rosso e, per concludere il pranzo, un caffè che “fa bene ai capezzoli”.

Queste sono occasioni uniche per andare a ritroso nel tempo fino al lontanissimo 1922, quando le signore per bene non potevano lavorare per il cinematografo e lo zio di Paolo Poli tassinaro andava a prendere le donne dalle case di tolleranza per portarle a fare da comparse in un film sulla Divina Commedia. O al 1938, anno in cui in Italia arrivarono in due, Biancaneve nella splendida prima edizione e Hitler che in visita a Firenze sfilò davanti a Paolo Balilla con la bandierina in mano.

Incontri che si rivelano momenti preziosi per parlare di Madame Bovary che inizia col matrimonio e finisce con l’arsenico, di Michelangelo che sullo sfondo del Tondo Doni mise uomini nudi, di sante che pisciano sul rogo, di papi morti ammazzati, di cene alcoliche a casa Fellini e delle avventure galanti del Mago Zurlì.

Grazie ai suoi ricordi e al suo stile dissacrante e di impeccabile eleganza, è un perdersi eccitante nella cultura e nella bellezza del nostro Novecento: spettacolo, vita quotidiana, letteratura, arte, poesia e storia, raccontate abilmente da Strabioli con l’acume e il piglio di un genio. Oggi portate magistralmente in scena dallo stesso Strabioli, con lo spettacolo teatrale che assorbe il nome dall’omonimo libro, in cui restituisce al grande pubblico la memoria di quell’ironia affilatissima di un artista en travesti come Paolo Poli.

Intervista a Pino Strabioli

Ne abbiamo parlato con Pino Strabioli, rievocando memorie ed emozioni mai perdute e fedelmente custodite.

“Sempre fiori mai un fioraio” è un libro nato da un simposio, da momenti di convivialità e condivisone che ha vissuto con Paolo Poli, davanti a un piatto di spaghetti con le vongole come si legge nel suo libro, che emozione e ricordo ma anche aneddoto più caro la legano a quei momenti?

Da ragazzino rimanevo incantato dalle personalità che uscivano dalla quotidiana ordinarietà e Paolo era certamente un indipendente anticonformista. Mi affascinava per la voce, fisicità, per il suo essere asessuato. L’emozione più grande, probabilmente, è stata il nostro primo incontro: mi ha ricevuto nel suo camerino come “finto giornalista” anche se poi i miei articoli venivano davvero pubblicati su ‘l’Unità’. L’emozione nel poter dire che anche questi personaggi che avevo idealizzato pensandoli lontani dalla realtà quotidiana – ride – avessero in fin dei conti una normale quotidianità. – Conclude – I pranzi sono stati circa una quarantina in cui ho raccolto la sua vita, ho fatto una tournee di due anni, la televisione… ho condiviso anni bellissimi che non mi hanno mai fatto perdere l’emozione e una sana soggezione fino all’ultimo progetto che stavamo studiando.

Partendo dallo spettacolo che stai portando nei teatri ricordando Paolo Poli, volevo chiederle cos’è cambiato, nella società italiana, tra la trasmissione televisiva “Milleluci del 1974”, dove Poli è travestito da donna e Mina insieme a Raffaella Carrà da uomini, con per esempio la trasmissione “Propaganda Live” dove sono spesso ospiti le Karma B.?

La televisione di Antonello Falqui e Mina ha scavalcato i tempi in una società in cui forse poteva esserci più resistenza e pregiudizio. Quella televisione, con quegli autori televisivi, erano molto libere. Paolo, partecipò a Milleluci vestendo gli abiti di una donna e la Carrà insieme a Mina vestivano i panni di militari. Lui ricordava sempre con grande divertimento quei momenti, pur non avendo mai amato tanto la televisione, perché il su grande amore era il teatro.

Quest’anno festeggiamo i 70 anni della Rai e per l’occasione ho avuto modo di ricordare in ‘Splendida cornice’, programma di Rai Cultura e condotto da Geppi Cucciari, pagine di televisione meravigliose. Non posso non ricordare, appunto, Vito Manari che è stato uno dei primi registi di quella Rai.

Mi manca Anna Marchesini che è stata una delle ultime che in televisione è riuscita a fare cose formidabili così come Franca Valeri con la quale ho avuto un rapporto di amicizia oltre che professionale. Lei portava in televisione sketch audaci sulla condizione della donna. Oggi – aggiunge nostalgico- mi sembra sia svanito un po’ quell’incanto ed entusiasmo fatto anche di coraggio. Sembra tutto più rassicurante.

Percepisco una televisione pigra nell’individuare talenti socialmente e culturalmente capaci di veicolare messaggi forti e quella televisione di Paolo è stata un po’ compromessa. L’intrattenimento vero, di Tv attuale, lo associo a Virginia Raffaele: donna dall’incredibile talento.

Pensa ci sia un imborghesimento del pensiero televisivo odierno? È un’altra televisione, la sua fisionomia è cambiata così come è un’altra Italia.

Sono orgoglioso, dopo trent’anni, di continuare a lavorare in televisione e in radio occupandomi di programmi di diffusione culturale per la Rai che continua a essere un’azienda leader. Andrea Vianello e Stefano Coletta hanno voluto fortemente riportare Paolo Poli in televisione e – aggiunge – a loro riconosco un atto di stima nei suoi confronti. – e ancora- Chi fa teatro si distingue perché si imprime nella memoria di chi ha visto quegli spettacoli.

Mentre la televisione, per fortuna, affida e conserva la sua memoria nella pellicola. Per cui lo show in otto puntate sui vizi capitali con Paolo, per me rimane il vero fiore all’occhiello. “Ma Paolo perché otto? I vizi, non sono sette?” – chiedeva Strabioli a Paolo Poli, che esilarante rispondeva: – “L’ottavo sono io, sciocchi!”

Si può dire che rivolta e gioia siano stati gli elementi scelti per gli spettacoli di Paolo Poli, un modo per scuotere le coscienze di un pubblico e popolo italiano ingabbiato e assopito da un evidente cattolicesimo?

Ha lavorato nei teatri più importanti di Italia e io con lui ho recitato, per citarne alcuni, al Teatro Regio di Parma, al Carignano di Torino… Lui ha recitato anche al Teatro Eliseo. Attraverso la sua arte ha fatto assolutamente una divulgazione culturale e rivoluzione sociale, definibile in un atto politico in quanto è riuscito a combattere la censura, andando oltre l’ostacolo. È riuscito a veicolare, con leggerezza e spontanea naturalezza, la letteratura con quelle che lui chiamava “cartonacce” facendole amare al grande pubblico elidendo così qualsiasi pregiudizio dagli anni 70 in poi.

Crede che dietro a quella tagliente ironia si celasse un’intima malinconia?

Guardava alla vita con la consapevolezza che questa è un’esperienza di passaggio. Mi torna alla memoria un racconto di Milena Vukotic, che si trovava in compagnia di Paolo, il quale davanti a un affresco meraviglioso disse: “anche solo per questo ne è valsa la pena di vivere.” Paolo aveva questa grazia. “E quando sono triste “- diceva- “io sto con Dante”. Nei momenti di umana malinconia rileggeva la Divina Commedia. Mi diceva “i miei migliori amici sono i libri.” In teatro, invece, si dava completamente e senza riserve al suo pubblico, al contrario nella vita privata. Non era un animale sociale piuttosto era molto selettivo e riservato. Riservava un grande amore per sua sorella Lucia e suo nipote Andrea.

Ha qualche affinità elettiva oltre che professionale con Poli?

Magari! – ride- no no, mi sento piccolissimo rispetto a Paolo. Posso dire che certe visioni e approcci alla vita me li ha insegnanti lui, e non solo in palcoscenico dove era severissimo. Mi ha fatto capire che bisogna combattere e affrontare le frustrazioni, che si deve essere liberi e porsi in una condizione di ascolto nei confronti di se stessi e dell’Altro da Sé.

Grazie a lui ho avuto anche modo di imparare la fondamentale importanza del rispetto verso se stessi e verso l’Altro evitando sempre l’inciucio ma facendo tutto in totale trasparenza. Un altro insegnamento che ho appreso con il suo esempio riguarda la libertà di espressione e quindi di pensiero che non hanno prezzo.

Approdando a farmi capire che non servono molti soldi per vivere con serenità ma che si deve dimostrare a se stessi l’intelligenza di capire la giusta misura senza essere prede dell’accumulo e del protagonismo eccessivo. Questi insegnamenti li ho assorbiti e fatti miei. Paolo Poli, Fò, Carmelo Bene, sono delle personalità inarrivabili.

Cosa ci ha lasciato l’impegno artistico di Paolo Poli?

Ci ha lasciato un patrimonio culturale e artistico enorme, motivo per il quale porto in scena lo spettacolo “Sempre fiori mai un fioraio”. Il 2 febbraio sarò a Castiglion Fiorentino, il 19 – 24 marzo al Teatro Elfo Puccini di Milano.

In eredità ci ha lasciato il motivo principale e ultimo per il quale chi fa teatro dovrebbe sempre perseguirlo e onorarlo: emozionare e vivere il racconto, andando a trovare il pubblico in qualsiasi parte d’Italia dai teatri più piccoli e all’apparenza anonimi a quelli più grandi. Il teatro è uno spazio di grande libertà e quando riesci a instaurare un rapporto autentico e anche empatico con il pubblico, che sta ascoltando e partecipando attivamente alla storia che gli narri, è la cosa più bella e profonda del mondo. Paolo Poli – aggiunge Strabioli- è l’ultimo esempio del capocomico del teatro all’antica italiana.

Ci ha lasciato l’artigianato. I suoi spettacoli avevano i fondali dipinti da Emanuele Luzzati, le maschere, le parrucche di lana, il cielo di cartapesta, gli abiti di Santuzza Calì. Il teatro non verrà mai sostituito dall’automatismo delle macchine, dalla tecnologia o dall’Intelligenza Artificiale. Il teatro è l’uomo.

Le presento la domanda al contrario. Cosa ha lasciato lei a Paolo?

In me ha riconosciuto una verità assoluta, ovverosia che gli volessi bene nella semplicità del rapporto in un’onestà profonda. Ci legava una stima professionale e umana, fatta anche di generosità tant’è che abbiamo scritto il libro insieme e lui mi ha regalato i diritti d’autore, gli ho proposto un programma insieme e ha accettato con propositività ed entusiasmo. Mi ha scelto per fare il coprotagonista con lui in teatro mentre ero alla conduzione di Uno Mattina.

Paolo si fidava di pochissime persone e se apriva la porta di casa sua a qualcuno era un segno di fiducia, e lui di me si è fidato. Si è fidato di me, della mia curiosità. La scelta stessa di portare in scena lo spettacolo è stata maturata nel tempo. La sorella Lucia e il nipote Andrea mi hanno incoraggiato a farlo, e anche ora mi sembra che ricordarlo, onorando la sua memoria, ci faccia bene. È un modo per dire semplicemente: Grazie Paolo.

Da insegnante le chiedo: cosa possiamo fare per offrire ai ragazzi di oggi i giusti strumenti affinché possano essere coscienti di quanto sia fondamentale una convivenza basata sul rispetto di coloro che una distorta e strumentale comunicazione li dipinge come diversi dalla maggioranza?

Paolo riusciva a fare questo. Quando ti trovavi difronte questo uomo meraviglioso, lo accoglievi con naturalezza e senza giudicare.
Il vostro è un lavoro bellissimo.

Ho sempre dichiarato che se non avessi avuto modo di dar forma al mio sogno di diventare attore, avrei conseguito la laurea in Lettere per poter diventare insegnante. Penso rientri nella vostra sensibilità. Ho conosciuto docenti meravigliosi così come ho maturato ricordi tristemente legati al potere esercitato da un’insegnante accompagnato da un falso giudizio nei miei riguardi, non dimostrando attenzione, cura, comprensione e sensibilità.

Solo quando mi sono professionalmente affermato, il suo sguardo cercava di incrociare il mio mentre ero a passeggio per le vie di Orvieto. Dalla mia esperienza scolastica ho capito che non bisogna mai esercitare il potere e forme a esso legate con i giovani. Per farli crescere nell’accoglienza bisogna amorevolmente e pazientemente fargli capire che è un processo molto semplice e naturale.

Attivare azioni didattiche volte a far capire che non si deve fare branco contro la falsa percezione del diverso stereotipato innescando pratiche di emarginazione ed esclusione ghettizzanti, ma fare un gruppo coeso. Elidere il pregiudizio con semplicità e naturalezza senza aggredirli. Credo – aggiunge- che questo sia un lavoro che moltissimi insegnanti, con impegno e sacrificio, portano nelle classi. Quando la scuola accompagna nelle uscite didattiche a vedere il mio spettacolo e vedono nel filmato di apertura Paolo “en travesti” nei ragazzi emerge un’attenzione particolare. Vedono in lui un ribelle rivoluzionario del tempo, un Achille Lauro di cinquant’anni fa.

Prima di diventare un attore stimato, Paolo ha insegnato a fine degli anni cinquanta in un Liceo a Firenze e aveva adottato un metodo per far crescere nei suoi studenti autostima e consapevolezza. Lasciava il registro aperto e li invitava, avviando in questo modo un processo di autovalutazione e più attenta conoscenza di sé, a mettere il voto in autonomia. Ha sempre raccontato a quei ragazzi la realtà con verità e obiettività negando costruzioni fantastiche di una non realtà. – Conclude – Servirsi dei grandi letterati del panorama italiano e internazionale per affrontare temi attuali come ad esempio la sessualità, farlo attraverso le opere di Pascoli o Pasolini… – mai creare un mostro perché il diverso da sé altro non è che un arricchimento naturale del proprio Essere.

Come vede il rapporto attuale tra potere, cultura e intellettuali?

Il rapporto cultura – potere – intellettuali è sempre stato controverso e machiavellico. Ci sono sicuramente intellettuali che snobbano erroneamente la televisione. Non rientro negli intellettuali ma sono una persona che ha sviluppato nel tempo e col tempo curiosità e conoscenza e quando faccio televisione mi rendo conto che è importante. Gli intellettuali dovrebbero avvicinarsi al mezzo televisivo inteso come possibilità di veicolare, attraverso quel linguaggio, messaggi di caratura sociale e culturale.

Quando in televisione si ha modo di rivedere Umberto Eco non si può non rimanere incantati dal suo grande intelletto. Quelle sono pagine di televisione meravigliose dal valore culturale inquantificabile. Il potere e la politica hanno sempre avuto a che fare con lo spettacolo, degli spazi di libertà quindi si possono trovare.

Quali sono altri progetti artistici che ti vedono coinvolto?

Attualmente sono alla regia con lo spettacolo “Perché non canti più” con Syria, un omaggio alla grande figura di Gabriella Ferri. Da aprile sarò in scena con Sabrina Knafiltz con lo spettacolo “Carta straccia” di Mario Gelardi

 

di Maria Laura Chiaretti

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