Scrivere un libro come se fosse una serie tv: è possibile?

21 Settembre 2025

E' possibile scrivere un libro adottando lo stesso metodo con cui gli sceneggiatori realizzano una serie tv? Ce lo spiega Andrea Frediani, autore del libro "I sette imperi"

Scrivere un libro come se fosse una serie tv è possibile

Quando un autore si approccia a scrivere un libro, pensa non solo a raccontare la storia che ha in mente, ma anche a come arrivare al lettore nel modo più efficace possibile. Capita, quindi, di sperimentare nuove formule di scrittura e applicare strategie originali. E’ questo il caso di Andrea Frediani, divulgatore storico tra i più noti d’Italia, autore del libro “I sette imperi. La stirpe del fuoco“, in cui l’autore narra una sfida millenaria tra due rami dinastici per il controllo della più devastante arma dell’antichità, una saga appassionante ed epica che intreccia libertà e tirannia, ambizione e altruismo e si dipana per due millenni.

Abbiamo chiesto ad Andrea Frediani, maestro del romanzo storico, autore da oltre un milione e mezzo di copie, tradotto in tutto il mondo, di raccontarci la particolarità con cui si è approcciato alla scrittura di questo libro: immaginandolo e strutturandolo come se fosse una serie tv.

I sette imperi: il libro come serie tv

Fin da quando ho iniziato a tracciare il plot de “I 7 imperi – La stirpe del fuoco”, ho avuto la sensazione che la storia contenesse tutti gli elementi cardine di una serie TV: la custodia di un segreto millenario e di un’arma straordinariamente potente, scenari maestosi e suggestivi, una saga familiare, ascesa e declino di grandi imperi, scontri di civiltà. Mi dicevo in continuazione che se il pubblico ha gradito tanto una saga come Il trono di spade, perché mai avrebbe dovuto storcere il naso di fronte a una saga altrettanto epica, ma ambientata nel mondo reale, non in uno fantasy?

Così, ho pensato bene di semplificare le cose al lettore. O meglio, al lettore del 2025, forse più abituato a cibarsi di serie TV che di libri; d’altra parte, diceva un sociologo di cui non ricordo il nome che la mia generazione è cresciuta ragionando col metodo deduttivo, deducendo, cioè, ciò che leggeva nei libri, mentre oggi si ragiona in termini associativi, ovvero, associando le immagini. Pertanto, ho optato per un linguaggio e un’esposizione il più possibile vicini a quelli televisivi e cinematografici.

Innanzitutto, serviva una narrazione in presa diretta. Quindi ho utilizzato per la prima volta, nei miei tanti romanzi, il presente storico invece del passato remoto. In generale, va precisato, quasi tutte le opere di narrativa sono scritte usando il passato remoto, e a maggior ragione i romanzi storici. E’ come se lo scrittore fosse cronista e testimone degli eventi, in sostanza.

Inoltre, come ho fatto in altri romanzi, ho adottato di volta in volta il punto di vista di uno dei protagonisti, senza mai usare una voce fuoricampo. In pratica, una soggettiva continua tra i personaggi, che si passano il testimone. E una narrazione parallela degli eventi, che alterno nel montaggio delle scene. Insomma, un montaggio parallelo, proprio come accade nei film: le vicende dei personaggi esposte alternandole in continuazione.

A tutti questi elementi – narrazione al presente storico, soggettiva, montaggio parallelo – ho aggiunto la scelta di adottare periodi relativamente brevi, per non appesantire la lettura, di fare descrizioni del contesto limitate all’essenziale per non rallentare il ritmo, di scrivere dialoghi con un linguaggio agile e moderno, per rendersi facilmente comprensibili. Il tutto punta a restituire al lettore la sensazione di stare leggendo una potenziale sceneggiatura, più che un romanzo.

Ma tutto questo non basta, per reggere la competizione con le serie tv. Era necessario, a mio modo di vedere, intervenire anche sulla scansione, oltre che sulla forma. Lo sviluppo della vicenda, attraverso duemila anni di storia e luoghi geografici distantissimi l’uno dall’altro, mi ha costretto, ovviamente, ad ampi salti temporali.

Sebbene tutte le vicende siano legate da comuni denominatori, come l’appartenenza dei protagonisti alla stessa famiglia e le lotte per preservare il loro segreto, talvolta tra una storia e un’altra passano secoli. Ci sono ben otto distinte epoche storiche, nel romanzo, comprese tra l’Atene del V secolo a.C. e la Costantinopoli del XV d.C.: otto epoche storiche che possono equivalere alle stagioni di una serie TV. Così, invece di chiamarle parti, o sezioni, come si usa fare nei libri di ampio respiro, le ho chiamate proprio stagioni.

A quel punto, avrei mai potuto suddividere le stagioni in capitoli? Naturalmente no: una stagione è divisa in puntate, e così ho fatto. Ogni mia puntata è un contesto storico, una generazione, un preciso evento storico. Se in un’epoca i rami della mia famiglia agiscono agli antipodi, uno in Europa e un altro in Cina, per esempio, scelgo di volta in volta se farne un montaggio parallelo o due puntate distinte. E tutto ciò è anche utile, al lettore, per imparare un po’ di storia sinottica: spesso si sa cosa succedeva dalle nostre parti in un determinato periodo, ma si ignora a che punto era la civiltà altrove.

Infine, c’è un’altra scansione all’interno delle puntate. Così come i capitoli sono scanditi di solito dai paragrafi, suddivisi da uno spazio, così le mie puntate sono divise in scene, anch’esse divise da una riga a vuoto.

Insomma, stagioni, puntate e scene: non è la definizione di una serie TV ma di un romanzo. Però si può fare. Anche se credo che una cosa così non esista in natura, almeno prima della mia iniziativa…

Photocredits: Giliola Chistè

© Riproduzione Riservata