Esiste un libro “assolutamente inutile”, che sfida ogni definizione di romanzo storico e imita il ‘700. Stiamo parlando de “Il coltivatore del Maryland”, pubblicato con il titolo di un poemetto nel 1960 — “The Sot-Weed Factor”. Un capolavoro assoluto, uno dei pilastri del postmodernismo letterario che a oggi è stato nuovamente tradotto in italiano da minimum fax. Un’opera labirintica e travolgente, che merita di essere riscoperta e che il Time ha inserito nella sua top 100 dei romanzi dal 1923 al 2005, definendolo “Dense, funny, endlessly inventive”.
La grande parodia del romanzo in top 100
Ambientato nel Maryland del ‘600, il romanzo segue le avventure/disavventure di Ebenezer Cooke, il giovane poeta inglese destinato a diventare poeta laureato del Maryland — quello stesso poeta storicamente esistito a cui John Barth andrà a prendere in prestito il titolo del poemetto e l’ispirazione stessa del romanzo.
Per fortuna, ciò che Barth costruisce non è affatto un romanzo biografico, men che meno una riscrittura completa… è una vertiginosa epopea in cui si mescolano satira, pornografia, filosofia, scarti temporali e un lessico sontuosamente arcaico — da qui il suo imitare gli scrittori settecenteschi. Barth scrive come se fosse un autore del XVII secolo, ma con la consapevolezza e l’ironia di chi conosce i loro misteri; un vero e proprio romanzo storico.
Così, il viaggio di Ebenezer tra l’Inghilterra e le Americhe diventa un’odissea esistenziale, un romanzo di formazione e deformazione insieme, dove ogni certezza si dissolve in un gioco di specchi narrativi. Ed è lui, l’autore, ad aver dichiarato di voler scrivere un “romanzo assolutamente inutile”, rendendolo di fatto letteratura pura.
Lodi e riserve della critica americana
“Il coltivatore del Maryland” non fu accolto con unanime entusiasmo al momento della sua pubblicazione. Il New York Times, nel 1960, lo definì “un brillante esercizio specializzato”, lodandone la costruzione intellettuale ma segnalando anche la sua mole “quasi laboriosa da leggere”. E in effetti le oltre mille pagine non si attraversano a cuor leggero: la lettura richiede tempo, attenzione, e un certo piacere per l’eccesso.
Nonostante questo, il tempo ha dato ragione a Barth. Il Time Magazine lo ha definito “Dense, funny, endlessly inventive”, un romanzo denso, divertente, inesauribilmente inventivo.
Kirkus Reviews lo paragonò presto a Rabelais, Cervantes e Voltaire, notando con sguardo acuto la sua capacità di mescolare “il sublime e il volgare”, attraverso una prosa che non teme l’osceno e l’iperbole. James Wood, tra i più autorevoli critici letterari del secondo Novecento, lo ha inserito nella sua lista dei migliori romanzi in lingua inglese post-1945.
E Harold Bloom non esitò a includerlo nel suo Canone occidentale, affermando che nessuno come Barth era riuscito a mettere in crisi la distinzione tra forma e contenuto.
Tra finzione e verità, una risata feroce
Nel mondo di Barth nulla è autentico, e proprio per questo tutto diventa possibile. I documenti che il protagonista legge sono falsi, le identità si moltiplicano e si disfano, la Storia viene riscritta attraverso la lente deformante della finzione. Ma in questa costruzione instabile c’è un’inesauribile energia comica: “Il coltivatore del Maryland” è, prima di tutto, un libro divertente. La sua ironia corrosiva non risparmia nessuno — né la religione, né l’impero britannico, né le mitologie degli Stati Uniti.
Come ha scritto la rivista The Baffler in un articolo recente, la grandezza di Barth risiede nella sua capacità di “mostrare la pornografia del potere senza mai concedersi a un vero centro morale”. L’autore non giudica, non guida: si limita a orchestrare il caos. Per alcuni, questo può risultare estenuante; per altri, un’esperienza estetica totale.
Una nuova traduzione per un nuovo tempo
L’edizione italiana di minimum fax — a cura di Luca Briasco e Andrea Silvestri — ha il merito di restituire l’interezza e la complessità dell’originale, con una traduzione che riesce a mantenere il tono arcaico e barocco senza cadere nell’affettazione. Non è solo una riscoperta editoriale, ma un vero e proprio evento culturale: un’opera-mondo che torna a circolare dopo decenni di assenza in Italia.
Le riviste letterarie italiane hanno accolto con entusiasmo questa uscita. La balena bianca parla di “un’architettura narrativa ariosa, piena di intelligenza e parodia”, mentre Satisfiction definisce il libro “un’esperienza immersiva, travolgente, da cui si esce cambiati”.
Un classico postmoderno che parla al presente
A oltre sessant’anni dalla pubblicazione originale, “Il coltivatore del Maryland” non ha perso un grammo della sua vitalità. È un’opera che mette in discussione la verità, i generi letterari, il ruolo dell’autore e la fiducia del lettore. In un’epoca in cui la narrazione è ovunque, e in cui la realtà è sempre più filtrata da costruzioni linguistiche e mediali, Barth ci ricorda che la finzione non è evasione, ma “rivelazione per vie oblique”.
Non è un romanzo per tutti. Ma per chi ama le sfide, per chi cerca una letteratura che non accarezza ma stordisce, “Il coltivatore del Maryland” è un viaggio necessario.
Un’opera smisurata che va letta oggi
In un panorama editoriale che tende alla sintesi, alla brevità, alla scrittura trasparente e alle narrazioni ad alta fruibilità, “Il coltivatore del Maryland” si impone con la sua massa, il suo stile opulento, la sua ambizione enciclopedica. Un classico moderno che non chiede di essere letto, ma sfidato.