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“Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, la verità dell’esistenza umana

La lettura dell’ultimo scritto di Pirandello “Uno, nessuno e centomila” è sempre un po’ particolare. Quando il lettore, attento e vigile alla scelta delle tematiche affrontate, si accosta ad un capolavoro del genere – che nella piccolezza materiale forse potrebbe ingannare – non può non rimanere con l’amaro in bocca e chiedersi come un uomo, senza nessun tipo di dono trascendentale, sia riuscito a scoprire la verità sull’esistenza umana.

Lungi da coloro che dicono che l’autore Siciliano abbia aperto la strada all’esistenzialismo Novecentesco, Pirandello, con o senza una licenza filosofica, in realtà non ha trovato una verità, ma la verità. Accusato di monotonia, Pirandello, che ormai alla stesura di questa piccola perla era già un autore celebrato e amato quasi da tutti, adesso esaspera il rapporto tra Vita e Forma, giungendo definitivamente al rifiuto della vita stessa, per cui la risposta che egli riesce a dare anche al Mattia/Adriano è ‘’vivere, per continuare a vivere, senza sapere di vivere’’. Uno, nessuno e centomila rappresenta di per sé la risposta alle domande che l’uomo nei secoli si è posto: chi siamo noi? – il che potrebbe richiamare alla memoria il ‘’Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?’’ del francese Gauguin; e soprattutto: gli altri ci vedono come noi vediamo noi stessi?

La domanda se la pone uno degli ultimi personaggi della penna di Pirandello, Vitangelo Moscarda, il quale, poiché la moglie gli fa notare una leggera pendenza del suo naso verso destra, inizia un dialogo ininterrotto tra sé e il lettore. Le domande poste sono tante, e sono tante anche le risposte che egli non riesce a trovare, almeno quasi fino alle fine del romanzo. Capisce che in effetti nessuno è lo stesso meccanismo di organi, muscoli e ossa uguale per tutti, ma una maschera diversa per ognuno, e arriva addirittura ad odiare ”se stesso” (da non sottovalutare le virgolette) per il semplice motivo che la moglie non si è certamente innamorata di lui, ma di un certo Gengé. Si guarda allo specchio, scava nei cantieri del proprio animo, interroga se stesso e interroga il lettore per cercare di capire. Capire cosa? Ma chi è, quindi, Moscarda, il cui nome ricorda il ronzio delle mosche? E come appare agli occhi della gente di Richieri? Richieri, che assomiglia molto alla Girgenti di Pirandello e alla sua ”caos”, è una piccola cittadina e, come tale, è quasi un luogo di ritrovo in cui tutti conoscono tutti, e di tutti si conosce il lignaggio, l’indole e soprattutto chi si è per gli altri.

Di questo, Moscarda ne è dolorosamente consapevole e riconosce di aver ereditato, dal padre, la fama di essere un usuraio, malgrado di fatto egli non abbia mai esercitato nemmeno la professione di banchiere. Tuttavia Moscarda non suscita nel lettore allo stesso tempo sia un riso sia pietà, quale la vecchietta che indossa abiti non consoni alla sua età per aggrapparsi miserabilmente alla giovinezza del suo compagno; in questa realtà quasi idealizzata, in cui inevitabilmente entrano squarci di storia e gli amari commenti dell’ormai anziano Pirandello, le parole del protagonista rimangono impresse sulla mente, e anche sul cuore, del lettore, come forgiate e quindi intoccabili; il lettore che non può certamente rimanere indifferente dinanzi ad una tale verità; il lettore che dopo aver letto l’ultima riga, ritorna a rileggere le stesse pagina già lette per poi pentirsi, forse, di averlo letto e di aver scoperto ciò che doveva essere messo a tacere, ripetendo il proprio tramandato mantra ‘’Qui auget scentiam, auget et dolorem’’.

Sì, il monologo del protagonista del libro, aldilà dell’elevato lirismo, porta con sé parole aride, struggenti, di una struggente verità che prende e forma e parola, ed è per questo motivo che può definirsi anche immortale. Quindi immortale è il personaggio di Moscarda, che semplicemente insieme a molti altri, quali l’adultera Marta Ajala, scosso da questa smania di infinito, aspetta una risposta. Come immortale è l’invincibile verità che tutti, lungi da ogni tipo di premessa storica-sociale-politica, sono Uno, nessuno e centomila, perché d’altronde, come suggerisce il titolo dell’ultimo libro, la questione, forse, ‘’Non conclude’’.

Christian Kotorri

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