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“Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, la risposta alle domande che l’uomo nei secoli si è posto

La lettura dell’ultimo scritto di Pirandello è sempre un po’ particolare. Quando il lettore, attento e vigile alla scelta delle tematiche affrontate e alle parole utilizzate, si accosta ad un capolavoro del genere -che nella piccolezza materiale forse potrebbe ingannare- non può non rimanere con l’amaro in bocca e chiedersi come un uomo, senza nessun tipo di dono trascendentale, sia riuscito a scoprire la verità dell’esistenza umana. Lungi da coloro che dicono che l’autore Siciliano abbia aperto la strada all’esistenzialismo Novecentesco, Pirandello in realtà non ha trovato una verità, ma la verità. Uno, nessuno e centomila rappresenta di per sé la risposta alle domande che l’uomo nei secoli si è posto: chi siamo noi? E soprattutto, gli altri ci vedono come noi vediamo noi stessi?

La domanda se la pone anche Vitangelo Moscarda, il quale, poiché la moglie gli fa notare una leggera pendenza del suo naso verso destra, inizia un dialogo ininterrotto tra sé e il lettore. Le domande che si pone sono tante, e sono tante anche le risposte che egli non riesce a trovare, almeno quasi fino alle fine del romanzo. Capisce che in effetti nessuno è la stessa persona uguale per tutti, ma una diversa per ognuno e arriva addirittura ad odiare ”se stesso” per il motivo che la moglie non si è certamente innamorata di lui, ma di un certo Gengé. Si guarda allo specchio, scava nei cantieri del proprio animo, interroga se stesso e interroga il lettore per cercare di capire chi è. Ma chi è, quindi, Moscarda, il cui nome ricorda il ronzio delle mosche? E come appare agli occhi della gente di Richieri? Ecco, Richieri, che assomiglia molto alla Girgenti di Pirandello e alla sua villa ”caos”, è una piccola cittadina e, come tale, è quasi un luogo di ritrovo in cui tutti conoscono tutti, e di questi tutti si conosce il lignaggio, l’indole e soprattutto chi si è per gli altri.

Di questo Moscarda ne è consapevole e riconosce di aver ereditato, dal padre, la fama di essere un usuraio, malgrado di fatto egli non abbia mai esercitato nemmeno la professione di banchiere. In questa realtà quasi idealizzata, in cui inevitabilmente entrano squarci di storia e gli amari commenti dell’ormai anziano Pirandello, le parole del protagonista rimangono impresse sulla mente, e anche sul cuore, del lettore, come forgiate e quindi intoccabili; il lettore che non può certamente rimanere indifferente dinanzi ad una tale verità; il lettore che dopo aver letto l’ultima riga, ritorna a rileggere le stesse pagina già lette per poi pentirsi, forse, di averlo letto e di scoprire ciò che forse era meglio non scoprire.

Sì, il monologo del protagonista del libro, aldilà dell’elevato lirismo, porta con sé parole aride, struggenti, di una struggente verità che prende e forma e parola, ed è per questo motivo che può definirsi anche immortale. Immortale è il personaggio di Moscarda, immortale è ”l’anti-romanzo” Pirandelliano, immortale è l’invincibile verità che tutti, lungi da ogni tipo di premessa storica-sociale-politica, sono Uno, nessuno e centomila.

 

Christian Kotorri

 

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