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“Non volevo morire vergine”, le difficiltà di una donna nel riappropriarsi della propria vita

Il romanzo “Non volevo morire vergine”, edito da Piemme nel marzo 2017 con prefazione di Daria Bignardi è l’esperienza autobiografica di Barbara Garlaschelli, una donna, già nota scrittrice, che ha sentito il bisogno di raccontare le difficoltà a cui è andata incontro e il lungo faticoso cammino per riappropriarsi della vita in ogni suo aspetto. Il tutto è affidato a una storia che, già dal titolo, non lascia dubbi nel lettore facendo comprendere la chiarezza di idee e la volontà ferrea da parte dell’autrice di non lasciarsi dominare dagli eventi che l‘esistenza riserva.

E’ appena quindicenne l’autrice quando, per un dannato tuffo in mare, rimarrà tetraplegica. Un’età in cui ti prepari ad andare incontro a quello che la gioventù prevede: battiti accelerati per amori passeggeri, delusioni, conquiste e scoperta del sesso. Questo, almeno ciò che ogni ragazza si aspetta con trepidazione, ma cosa può passare nella mente di chi, all’improvviso, si trova nella condizione di considerare il suo corpo come estraneo ed è costretta a rimpiazzare le gambe, lunghe, belle, toniche, affusolate con le meno attraenti due ruote di una carrozzina? Il corpo, unico elemento che ti appartiene interamente, che ti segue e diventa segno del tuo cammino è, in questo caso, un ostacolo, quel qualcosa di ingombrante che, tutto a un tratto, dirotta dal percorso della mente e ti abbandona. Negli anni trascorsi fra dolori fisici e dello spirito, fra terapie interminabili e attese, una lucida determinazione sorregge l’autrice, quella di non voler morire vergine. Sa che ci sono ostacoli da superare, tutti non facili. Anche se la vicinanza dei genitori e degli amici rappresenterà un aiuto insostituibile, sarà lei, in prima persona, a dover lottare giorno dopo giorno, prendere confidenza con quel nuovo corpo che sembra opporsi a ogni suo volere, imparare a conoscerlo, a non odiarlo, persino a trasformarlo in oggetto di seduzione. Alti e bassi, conquiste e sconfitte la porteranno a perdere la verginità, a raggiungere la meta prefissata ma ormai insufficiente per farla sentire donna realizzata. Ora è il lavoro che ha sempre desiderato fare e l’incontro con la persona giusta, quella della sua vita, a rappresentare i futuri traguardi. Nel frattempo ha imparato che attribuire al dolore il merito di aiutare a crescere è pura invenzione, un tentativo per renderlo meno amaro, più accettabile, in realtà è solo impedimento, ed è grazie alla caparbia determinazione di essere protagonista della sua vita che riesce a realizzare il sogno di diventare scrittrice di successo e trovare l’Amore.

Chi ha la fortuna di leggere il romanzo capisce quanto non debba esser stato facile mettersi a nudo in questo raccontarsi e come sia riuscita, usando intelligenza e ironia, a non cadere nel pietismo, sempre in agguato nel narrare una storia come la sua. Quest’ultima non è solo un esempio di straordinaria forza, di caparbia ribellione a un destino non benevolo, è la voglia matta, e un invito a tutti noi, a entrare nella vita stessa, condividerne gli aspetti dolorosi e quelli lievi, capire quanto sia comunque importante assaporarla fino in fondo e sentirla propria.

Carla Magnani

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