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“Morivamo di freddo” di Rosalia Messina, un libro che ci invita ad accettare ciò che siamo

Morivamo di freddo” di Rosalia Messina è un racconto per immagini  in cui la consequenzialità ha poca importanza. Quindici quadri che mostrano momenti salienti dellla vita di due coppie di amici e del figlio di una di queste, il quale, cominciando una psicoterapia, dà avvio alla storia. Enrico infatti, trait d’union tra i personaggi, si rivolge a uno psicologo per risolvere i suoi disturbi che gli procurano tachicardia, respiro corto e sudorazione. Inizialmente lontano anche da se stesso, raggiungerà con il tempo una maggiore consapevolezza, che non gli permetterà di cambiare, ma semplicemente di vivere conoscendosi meglio.

Attacchi di panico, incapacità di sentire e di riconoscere i sentimenti, difficoltà ad amare: tante le tematiche che appartengono a questi personaggi, che si trovano a vivere varie tragedie, la morte di Guido prima e il suicidio di Mauro dopo e forse, la più grande di tutte, quella rappresentata dall’incomunicabilità e dall’impossibilità di conoscersi veramente. “Tutti vicini e tutti lontanissimi” così definisce le loro relazioni, Loredana, il personaggio al quale appartiene il punto di vista più reale, probabilmente perché più parziale e frammentato degli altri. Loredana è una delle due donne di questo romanzo, che si contrappone a Sandra, dimessa e umile, fino quasi a far innervosire.

E poi gli uomini, più delineati e netti nelle descrizioni: Guido il personaggio più “sano” che ha scelto di vivere rispettando le zone d’ombra, non approfondendo la conoscenza con l’altro, perché è meglio tenere una certa distanza;  e Mauro un uomo che vive nei ricordi, in quello che è stato, in quello che sarebbe potuto essere e che irrimediabilmente non ci sarà più, idealizzando il suo migliore amico fino a sviluppare quasi un ossessione nei suoi confronti, che lo porterà a rinunciare alla sua vita e a vivere nell’ombra di quella di Guido.

“Morivamo di freddo” è un romanzo di poco più di 100 pagine ambientato nella Catania a cavallo tra i due secoli, scritto con uno stile acuto e diretto, ma che al tempo stesso, lascia spazio all’intuito e all’immaginazione. Una narrazione, da fare tutta d’un fiato, che utilizza la parola come unica testimone di esistenze che si scoprono mentre si stanno vivendo: la parola orale di Enrico, narrata nello studio dello psicoterapeuta e quella scritta, del diario di Mauro, che porta sua moglie, Sandra, a scoprire una verità che comunque rimarrà sempre incompleta e limitata.

Un’opera interessante, che lascia intravedere in alcuni attimi che qualcosa potrebbe accadere, che qualcosa, se solo volessimo, potrebbe cambiare. Un libro che quasi ci illude, ci tiene in bilico fino alla fine, quando con una certa ironia, mista ad amarezza, ci mostra che l’unica cosa che possiamo fare, è accettare quello che siamo.

 

 

Barbara Gnisci


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