Sei qui: Home » Libri » Recensioni » “L’altro capo del filo” di Andrea Camilleri, un libro capace di dare benessere mentale

“L’altro capo del filo” di Andrea Camilleri, un libro capace di dare benessere mentale

L’altro capo del filo è l’ultima fatica letteraria di Camilleri, il 25esimo libro sul commissario Montalbano. Basterebbe la recensione dell’esimio professore Salvatore Silvano Nigro, diciamo il recensore per eccellenza dei risvolti di copertina di tutti i i romanzi con Montalbano per racchiudere ogni commento, ma come sottrarsi all’urgenza di esprimere la propria impressione?

In questo ultimo romanzo la storia architettata dallo scrittore si biforca in due direzioni: i migranti che approdano sulle coste siciliane con tutto il loro carico di sofferenze e privazioni e il delitto di Elena, una di quelle figure femminili memorabili uscite dalla penna camilleriana. È un intrecciarsi di fatti che scuotono il sonnolento comando di polizia di Vigàta e mettono a dura prova l’animo e il fisico di Salvo in primis e di tutti gli altri suoi collaboratori. Assistiamo a scene di dolore per i tanti, troppi morti annegati… ‘Nzemmula a quei morti, stava naufraganno macari il meglio dell’omo, masse di uomini in balia del destino e delle onde del mare che può essere infido a chi lo attraversa senza averne “ diritto”. Sembrano pesci spiaggiati, sfiniti e stremati da questi viaggi truffaldini, tendere loro una mano è un dovere sacrosanto. Qui entra in gioco l’intuizione di Montalbano nel regolamentare lo sbarco ed evitare che si trasformi in una sorta di arrembaggio di fortuna, al si salvi chi può nello scansare e superare l’altro e toccare terra fortunosamente.

Camilleri in questi scenari ahimè attuali e reali esprime il suo modo di vedere la faccenda e scevro da ogni buonismo d’accatto vuole restituire dignità umana a coloro i quali rischiano di perderla perchè le situazioni contigenti del loro paese, guerre, fame e violazione dei diritti umani li spingono alla fuga in massa. Nei soccorsi dei migranti, che non impropriamente Catarella li definisce sfollati perchè sfuggono anche loro ai bombardamenti, c’è una logica in questo, riflette Montalbano, nell’ennesimo tentativo di correggere le storpiature linguistiche del suo sottoposto, il commissario può contare oltre che su tutto il commissariato, su volontari e due traduttori di madrelingua, Meriam e il dottor Osman; ma non sono abbastanza, i turni sono massacranti e la fatica spossa tutti, Augello si cataminava coma a un sonnambulo, Fazio era morto di sonno, Catarella era profunnamenti addrumusciuto con la testa appuiata supra al tavolino.

Ma non demordono, i sacrifici hanno un prezzo, ma quando smascherano degli scafisti, giustizia è fatta. Come siamo abituati a leggere, al dramma della vicenda si susseguono anche momenti di piacevolezza come quando Montalbano trova ristoro e godimento dei sensi alla trattoria di Enzo ove si gode ogni muccuni o ai piatti culinari preparati da Adelina; impagabile la scena quando Montalbano non trova una sera il pasto preparato come al solito da lei, è in preda al nirbùso e con la faccia nìvura, grande la gioia poi, quando lo scopre. Quadri da opere dei pupi che prendono vita e ci restituiscono il sorriso. L’altro fatto che si interseca prende l’avvio da Livia che indirizza Salvo da una sarta per un vestito che deve indossare per una cerimonia di matrimonio.

Conoscerà Elena, donna di grande fascino, simpatia e bellezza, la vedrà solo due volte da viva. È come un personaggio di un film in cui compare in scena due volte e poi lo spettatore conoscerà la sua personalità e il suo passato attaverso le indagini in corso. Il luogo del delitto è centrale per la comprensione dei fatti, Camilleri con grande arguzia incastra dei personaggi che sono presenti all’interno delle due storie. Gli sviluppi dell’indagine saranno impervi e appunto come una matassa da sbrogliare, il commissario stenta a trovare il bandolo di essa, alla affannosa ricerca di quella intuizione risolutoria che non riesce subito ad agguantare e si sperde firriando nella sua testa. Non fu capace di mittiri ‘n fila un pinsero che avissi un minimo di logica. Gli pariva che dentro al sò ciriveddro fossi all’improvviso spuntava’na gran foresta di punti ‘nterrogativi… Managgia alle vicchiaglie fottute!

La conclusione, in un certo senso, non sarà prevedibile e nemmeno assolutoria. A mio avviso, lascia con l’amaro in bocca perchè inaspettata, non c’è la soddisfazione di aver trovato un colpevole, ma piuttosto una riflessione sulla vita che fa pareggiare i conti in modo sbagliato. Tutte le volte che si legge un giallo di Camilleri, anche se è riduttivo definirli tali i suoi libri montalbaniani, due sono le sensazioni che prevalgono nel lettore, la scorrevolezza di arrivare alla soluzione e la lentezza di assaporare ogni singola pagina, parola che si traducono in benessere mentale.

 

Arcangela Cammalleri

© Riproduzione Riservata