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“La mela e altri peccati poco originali”, un libro che risponde a tanti interrogativi

Pianto e riso, attesa, oblio. Questo è possibile vivere, ed è stato vissuto, leggendo La mela e altri peccati poco originali, dove le storie si inseguono e sembrano spingersi vicendevolmente come scaglie di serpente, con pressione pulsata, mentre l’intero corpo del testo scivola con sibilo atavico e attualità quasi insostenibile.

Ci si potrebbe aspettare un morso, da un momento all’altro, come poteva essere all’inizio di tutto, in Genesi. Ma il morso, anche questa volta, non arriva. La prima storia, la testa, abbraccia la prima, la divora e così ne è divorata. L’ouroboros, già stemma della città domiciliare dell’autore, riemerge dall’antichità in brevi racconti urbani, in forma di titolo di uno di essi.

Un inedito connubio di perfezione e d’incompiutezza permette a donne, medici, scrittori di liquefarsi con distacco a fine racconto per comparire sotto mentite spoglie in quello successivo. Siamo intanto condotti in autobus e treni, stanze dai contorni impalpabili, aule e conventi mentre la nostra natura ci interroga impressa in copertina.

Quanto è male il male? Fino a che punto dobbiamo resistere? In quale misura è nostra essenza? Come conoscere senza peccare? Qual è il punto in tutto ciò? Leggendo questo secondo libro di Massimiliano Colucci è possibile incontrare simili interrogativi, e sono stati incontrati. Ma è anche possibile semplicemente piangere, ridere, attendere, dimenticare. Anche questo è stato fatto. Anche questo, con gratitudine.

 

Nicola Amoruso

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