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”La figlia del boia” di Oliver Pötzsch, superstizioni e follie collettive nella Germania del Seicento

Presentato quale grande evento letterario, in Germania come in Italia, questo libro è diventato un best seller, tanto da dare spazio ad un secondo volume intitolato La figlia del boia e il monaco nero. Il successo si spiega probabilmente...

Presentato quale grande evento letterario, in Germania come in Italia, questo libro è diventato un best seller, tanto da dare spazio ad un secondo volume intitolato La figlia del boia il monaco nero. Il successo si spiega probabilmente col fatto si tratta di un romanzone di facile impatto presso il pubblico, sia per la ricostruzione storica sia (soprattutto, credo) per i risvolti un po’ gialli, un po’ noir e talvolta persino horror che lo caratterizzano.

 
Ambientato a Schongau, in Baviera, verso la metà del Seicento, racconta una torbida storia di pregiudizio e sopruso, in cui emerge la follia collettiva del popolo, scatenato nella persecuzione ai danni della levatrice del paese, presunta strega ritenuta colpevole dell’omicidio di alcuni bambini e causa della serie infinita di eventi nefasti capitati in paese. Se ne pretende la morte violenta, non tanto come atto di giustizia quanto quale superstizioso rito di espiazione. L’ignoranza popolare viene astutamente sfruttata e sobillata da chi conosce la verità ed è tanto potente da riuscire manipolare l’andamento dei fatti: per interesse, per corruzione, per losche ragioni di convenienza politica. Ma poi, grazie alla tenacia del boia Jakob Kuisl e del giovane medico Simon, gli eventi prenderanno un piega diversa…

 
C’è molto di inventato, naturalmente, ma anche molto di vero (o almeno verosimile), perché Oliver Pötzsch, l’autore, discende proprio dai Kuisl, una rinomata dinastia di boia e carnefici realmente esistita, che hanno esercitato il mestiere per ben trecento anni, tramandandolo di padre in figlio, come voleva la consuetudine. Nel libro ha assunto quale protagonista un suo antenato, appunto Jakob Kuisl, trasformandolo fantasiosamente in un eroe senza macchia e senza paura, ma per la ricostruzione complessiva dell’epoca e delle relative usanze si è mantenuto fedele alla realtà, avendo potuto ampiamente documentarsi grazie al ricchissimo archivio conservato presso la sua famiglia.

 
Abbiamo così modo di apprendere molti particolari interessanti e a volte curiosi sulle condizioni di vita e di organizzazione sociale nella Germania del XVII secolo, epoca violenta e piena di contraddizioni, in cui pregiudizio ed oscurantismo ancora dominavano, ma anche si cominciavano ad intravvedere i primi segnali di apertura verso una cultura nuova e diversa. Specialmente riguardo la figura professionale del boia Pötzsch ci svela usanze addirittura incredibili: pur ritenuto assolutamente necessario al ‘buon’ funzionamento della giustizia cittadina, il carnefice pubblico era in realtà temuto ma non rispettato, anzi paradossalmente oggetto di discriminazione ed emarginazione sociale. E con lui tutta la sua famiglia. Insomma, i punti a favore di questo libro non mancano.

 
Eppure, nonostante molti elementi di interesse culturale e un materiale narrativo almeno potenzialmente accattivante, La figlia del boia non mi ha convinto. L’ho trovato superficiale e persino noioso. Colpa della banalità di molte situazioni e azioni che costituiscono la vicenda, dello schematismo manicheo con cui i personaggi sono divisi in buoni e cattivi, della piattezza di alcuni tratti caratteriali. E poi – difetto non da poco – la conduzione del racconto procede in modo lento e inutilmente ripetitivo, con uno stile incolore, non esente, talvolta, da una certa sciatteria. Però, come ho detto all”inizio, pare che sia un best seller, ovvero che piaccia ad un vasto pubblico. Quindi chissà, questa segnalazione potrà sempre essere utile a qualcuno, che ne sia incuriosito.

 

Daniela Palamidese 

 

 
16 aprile 2015

 

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