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“Il tallone di ferro” di Jack London, un libro palpitante di nobile passione

Lo ammetto, è ormai da decenni che trovo la lettura di romanzi una gran rottura di balle. Il feticismo librofilo ci dice che i libri insegnano e rendono più intelligenti, e bisogna leggere libri.

Un tale Umberto Eco ci dice che acculturarsi è leggere dieci libri, o anche leggere per dieci volte lo stesso libro, e che il problema è rappresentato da coloro che non leggono. Gli chiederei, e se quel libro letto dieci volte fosse nientemeno che il Mein Kampf di Adolfino Hitler? E se quei dieci libri letti non fossero altro che dieci libretti Harmony con quelle vistose copertine rigurgitanti palpitante passione quanto piattezza cerebrale e ninfomania sentimentale? Ecco, diciamo che sembrano più slogan e concetti disinteressatamente partoriti dall’industria editoriale che altro. Un contadino analfabeta di per sé sa più di qualcuno che ha letto quei dieci libretti Harmony, ma anche di qualcuno che ha letto per intero Shakespeare, e non ne ha tratto niente – non fosse altro perché sa piantare patate. Oh, e io lo so bene – perché non sono riuscito a spremere nulla da una quantità di rinomati tomi: meglio un contadino analfabeta di me.

Questo, in qualche modo, ci introduce a Il tallone di ferro di Jack London – che leggo solo ora, e leggo senza grossi intoppi, e che, più verosimilmente che altri libri, è un romanzo piuttosto stimolante, se non istruttivo. Per quanto ciò in effetti non significhi molto: 1984 è ormai uno dei libri più popolari e letti, ma ciò non ci impedisce di essere grandi appassionati del Grande Fratello – o di farci spiare per via telematica senza troppa preoccupazione. Quindi, in definitiva, serve davvero a qualcosa leggere? A quanto pare non c’è speranza – quindi perché non procedere oltre con la recensione?

Innanzitutto, i capitoli sono calibrati intorno alle 8 pagine ciascuno aiutano la lettura costituendo delle tappe non affaticanti, ottime per gli ansiosi di giungere da qualche parte, per i deficitari d’attenzione e per gli affetti da sindrome di stanchezza perenne – grazie Jack!

Addentrandosi poi nella vera polpa del libro, ho trovato che le interazioni al suo interno non si limitano all’individuale, anzi, ad essere dominanti le descrizioni di quelle tra classi e fazioni, rendendo il libro non banale e piuttosto interessante, perché allargante lo sguardo alle dinamiche della storia e della manipolazione oligarchica degli strati subalterni – finalmente ridimensionando il romanzo meramente e asfitticamente chiuso nella ristrettezza dei moti individuali, delle relazioni private, o, anche in un contesto storico, del dramma del singolo, o, persino, di una coralità di individui protagonisti che, con il loro clamore in primo piano, ammutoliscono l’intreccio più ampio: l’esistenza del mondo.
Di un intero mondo escrementizio vorticante di masse miserabili che sprofondano, e di vampiri e poiane che di loro si nutrono. Chissà a quale categoria apparteniamo?

“[…]l’abito che indossa è macchiato di sangue. Le travi del tetto che vi ripara gocciola del sangue di fanciulli validi e forti. Mi basta chiudere gli occhi per sentirlo colare goccia a goccia, intorno a me.”

Lo sguardo di London permette di ergersi su un alto picco e osservare il movimento delle masse, avere un senso più vasto e generale delle dinamiche di classe, e delle loro determinazioni economiche – pur integrando ciò con la storia particolare di Ernest Everhard, alla guida dei Socialisti in America, e della moglie – che è la voce narrante del libro, per quanto incorniciata da numerose fittizie note di commento a piè pagina che ci fanno capire si tratti di una pubblicazione di diversi secoli successiva agli eventi narrati. Anzi, in effetti è direttamente esplicitato nell’altrettanto fittizia prefazione.

Già, già già – siamo arrivati al dunque scabroso: è un libro socialista, comunista, il cui protagonista – qualcuno sostiene – ha dato il nome nientemeno che a Ernesto ‘Che’ Guevara. E’ un libro che parla di rivoluzione, e che, pubblicato nel 1907, la immagina, prima che in Russia i Bolscevichi abbattano lo Zar, è un libro che prevede la repressione sanguinosa delle richieste proletarie da parte del Tallone di Ferro delle oligarchie, prima che nella storia reale si verifichi l’avvento del nazifascismo, in cui si parla di agenti provocatori insinuati tra la folla per fomentare proteste e reprimere, di piantare bombe e accusare i socialisti (e perché non gli anarchici?) per poterli imprigionare – problemi ad accettare come realtà assodate la presenza di black bloc governativi a Genova, tattiche cossighiane e strategie della tensione? Ebbene, secondo London, sono trucchi vecchi come i cucchi.

Non avete dubbi sulla sostanziale integrità e obiettività della stampa? Ci pensa il buon vecchio Jack a chiarire le idee:

“La stampa degli Stati Uniti? E’ un’escrescenza capitalistica. La sua funzione è di servire lo stato attuale delle cose, manipolando l’opinione pubblica; e l’esegue a meraviglia.”

E del resto non è forse la stessa stampa che nel 2003 scrisse che la fantasmatica presenza delle armi di distruzione di massa in Iraq era “irrefutable” (The New York Times), promuovendo una guerra da un milione di vittime o due?

Ma nel libro si possono trovare micce per tutte le stagioni e per tutti i settori, che si possono far detonare nei dibattiti e nelle polemiche dell’attualità

I prodotti farmaceutici sono senz’altro clinicamente testati e approvati per garantire la loro efficacia e la nostra sicurezza?
Diamine, quel folle di London in questo suo delirio antiscientifico non ne sembra particolarmente convinto:

“Le medicine brevettate erano veri e propri imbrogli, ma la gente ci credeva come alle grazie e alle indulgenze del Medio Evo. La sola differenza era che i farmaci brevettati costavano di più e erano nocivi”

E magari sarebbe un’affermazione scandalosa se solo, convinte, non sembrano esserlo nemmeno le moderne riviste di medicina – e, nel caso l’informazione mass mediatica abbia sbadatamente dimenticato di martellare questa nozione nella testa del pubblico generalista, ecco un estratto da un articolo del Guardian del 2001 – che documenta un tentativo di insurrezione di suddette riviste di medicina:

“Tredici delle più importanti riviste mediche sferrano un esplicito attacco alle ricche e potenti compagnie farmaceutiche, accusandole di distorcere i risultati della ricerca scientifica per il profitto” […] “le accusano di usare i loro soldi – o la minaccia della loro rimozione – per legare i ricercatori accademici con contratti che impediscono il riportare liberamente e correttamente i risultati dei test clinici”

E che dire di questo articolo da Le Scienze del febbraio 2013?

“Etica medica:
La ricerca farmaceutica è affidabile?
di Charles Seife
Le aziende farmaceutiche pagano scienziati che fanno ricerche che hanno un’influenza sul destino dei loro prodotti, e nessuno può fermarle”

Ma, tornando giù da sopra le righe e rientrando a casa dalle divagazioni, Il tallone di ferro non è un libro freddo e asettico, come dalla descrizione può sembrare, è anzi anch’esso non di rado palpitante di passione, non quella dei libretti Harmony, ma quella nobile, tesa verso un mondo privo di sfruttati e sfruttatori – veicolata attraverso l’umanamente, intellettualmente e fisicamente sana e vigorosa figura di Ernest, uno di quei personaggi in cui London sembra proiettarsi compiacendosi di quanto sia Maschio Alpha, un po’ come in Martin Eden. Insomma, in effetti, a ben pensarci, roba piuttosto impegnativa – forse è meglio limitarsi a cercare qualcuno con cui unirsi carnalmente con tutta l’anima, come nei già multicitati libretti, dopotutto.

 

Umberto Bieco

 

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