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”I deragliati”, quando la vita è un viaggio… non sempre rettilineo e regolare

“I Deragliati” è un romanzo di letteratura italiana contemporanea di Alessio Caliandro, pubblicato da “Italic” nel 2013, e appartenente alla collana “Pequod”. Il racconto è ambientato nei meandri della stazione Tiburtina di Roma...

Pubblichiamo la recensione di Emanuela Sgaragli per l’accurata analisi del libro di Alessio Caliandro

 

I Deragliati” è un romanzo di letteratura italiana contemporanea di Alessio Caliandro, pubblicato da “Italic” nel 2013, e appartenente alla collana “Pequod”. Il racconto è ambientato nei meandri della stazione Tiburtina di Roma, dove i protagonisti non vivono, ma sopravvivono, mettendo in scena la loro esistenza, in un teatro fatto di alcool, droga, crisi di astinenza, fame atavica, istinti primari, pazzia, violenza, vagabondaggio, perversione sessuale e mal di vivere.

Essi sono ignorati e schivati dai passanti, emarginati, isolati dal resto del mondo e dalla società che li considera dei rifiuti umani da smaltire nell’unico posto che si addice loro: quella “compostiera” della stazione Tiburtina che, ben presto, decomporrà quei corpi organici e li trasformerà nell’humus che fa da sfondo alle vicende narrate. Figure vaganti per il mondo che sono costrette o scelgono volontariamente di trascorrere un’esistenza che li porterà al “punto di non ritorno”, al di là della “linea gialla”.

I nomi di questi personaggi sono fittizi, dettati dalle loro particolarità fisiche e dall’assenza di qualità morali: Mucca, Animale, Picchio, Gianni l’accattone, Che Guevara, Mortacci Tua, sono solo alcuni nomi dei “deragliati” che compongono lo “zoo di Tiburtina”. Le loro vite sono scandite da un tempo circolare, imperituro, sempre uguale, che si ripete all’infinito nei gesti quotidiani e caratterizzate dalla teoria di “Homo homini lupus” di Thomas Hobbes che li porterà all’autodistruzione.

L’unica fonte di salvezza sembra essere rappresentata da San Luigi dei Francesi che, sopravvissuto al tempo e alle crociate, rivive in quegli ambienti luridi ed insoliti per un santo, con il preciso scopo di liberare il protagonista dai demoni che lo attanagliano quali il dolore, l’eros, la dipendenza, la paura, attraverso un viaggio fisico, spirituale ed onirico. Il cammino iniziatico del protagonista è forse solo una discesa nel baratro della psicosi più totale e irreversibile, anche se, al tempo stesso, vi è un’ascesa verso la perfezione, costellata di prodigi e miracoli, volta a scongiurare il pericolo, sempre imminente, della possessione demoniaca. Il piano della narrazione, quindi, si sposterà da immanente a trascendente.

Il libro è diviso in tre parti, apparentemente non connesse tra di loro: si inizia con un trattato di etologia, in cui si analizzano gli istinti primordiali dell’uomo e gli aspetti più animaleschi dei personaggi; si prosegue con l’agiografia di San Luigi dei Francesi al cospetto del Sultano; infine, vi è un trattato prettamente fantastico di angelologia con un colpo di scena finale. Nel romanzo sono presenti alcuni segni della grande ricchezza culturale dell’autore: citazioni figurative (egli ha scelto un particolare della “Vocazione di San Matteo” del 1599-1600 di Caravaggio, come copertina del libro. Tale scelta non è casuale, e non poteva essere più azzeccata: la funzione di Cristo è rappresentata da San luigi che sceglie fra tutti i “deragliati” proprio il protagonista, paragonabile, quindi, a San Matteo); letterarie (per i deragliati non vi è possibilità di riscatto sociale, essi sono nati miserabili e moriranno miserabili, nonostante l’aiuto del santo. Stesso concetto espresso da Giovanni Verga nel “Ciclo dei Vinti”); filosofiche (il libro comincia con una citazione di Thomas Hobbes: “La vita è un movimento incessante che, quando non può più continuare in linea retta, si trasforma in un moto circolare” e prosegue con una di Friedrich Schiller: “Colui il quale non osi innalzarsi al di sopra della realtà, mai conquisterà la verità”; la teoria dell’“Homo homini lupus”, sempre di Hobbes, alla base della narrazione; i personaggi spiccatamente hegeliani, a tratti, sembrano incarnare il dettato pirandelliano dell’erma bifronte; la morte di San Luigi è la morte di Dio in chiave nietzschiana; la frustrazione del corpo e l’ascesi, intesi come la noluntas schopenhaueriana, ovvero la liberazione dalla volontà e dal desiderio che corrisponde alla liberazione dal corpo); religiose (agiografia di San Luigi dei Francesi); autocitazioni (vi è un estratto del saggio “I Demoni di Tiburtina”, idea di partenza del romanzo).

Nell’opera, inoltre, si possono evidenziare tre livelli di lettura. Il primo livello: il dipinto di Caravaggio e il suo significato simbolico. Il secondo livello: il contrasto tra santità e possessione, ovvero tra un “tono alto” (il clima spirituale) e un “tono basso” (il comportamento animalesco dei personaggi). Il terzo livello: l’atteggiamento dei personaggi serve a far emergere la figura del protagonista senza nome, forse l’unico ancora in possesso di qualche valore morale. Solamente se si procede secondo un percorso dialettico hegeliano, prendendo in considerazione il primo livello di lettura (tesi) e il secondo livello di lettura (antitesi) e mettendoli insieme, si può giungere al terzo livello di lettura (sintesi). Se, quindi, allarghiamo ulteriormente il nostro punto di vista, ampliando il contesto e mettendolo in giusta correlazione con il testo, ci renderemo conto che l’autore non ha voluto realizzare un romanzo “splatter”, un “cazzotto in un occhio” al lettore, ma ha voluto parlare di una fetta della società sotterranea, spesso dimenticata, priva di valori morali, poiché dominata dall’istinto di sopravvivenza e lacerata dal degrado esistenziale.
Lo spessore culturale e filosofico, quindi, giustifica il tutto, senza lasciare adito a fraintendimenti. Conoscendo l’autore, si è portati a pensare che il romanzo sia autobiografico, soprattutto per l’ambientazione in cui esso prende forma, ma una volta terminata la lettura, questo pensiero svanisce. La scrittura, come la filosofia, l’arte, il cinema, non lasciano spazio a pregiudizi di alcun tipo; bisogna, quindi, fare una distinzione tra uomo e scrittore, poiché queste due figure non sempre formano un “sinolo” indissolubile. Il registro linguistico presenta termini ricercati (prevalentemente nel trattato di angelologia o nell’agiografia di San Luigi), alternati ad uno “slang underground” ed è il protagonista stesso che racconta in prima persona ciò che accade. In altre occasioni vengono utilizzati termini più comuni, ma ad effetto (soprattutto nei racconti del protagonista).

Da notare e apprezzare è l’utilizzo particolareggiato degli aggettivi scelti per descrivere le caratteristiche fisiche e psichiche dei personaggi e degli ambienti che mettono in luce l’ambiguità del “sentire” umano (puzzolente/miracoloso); il lettore viene immerso nell’atmosfera descritta e sembra assistere allo svolgimento della vicenda accanto ai personaggi, in quegli stessi luoghi. Per quanto riguarda la struttura dei periodi, viene privilegiata la paratassi, con proposizioni coordinate semplici, anche se non mancano periodi ipotattici complessi che, a volte, necessitano di una seconda lettura. Quello di Alessio Caliandro è un romanzo fuori dagli schemi, che già dal titolo accattivante lascia intuire quale sarà l’argomento della narrazione senza, però, essere scontato.

L’autore è stato così abile da saper spaziare tra l’atmosfera buia e tetra della perdizione morale per arrivare all’esaltazione di una dimensione spirituale, alla ricerca di Dio, passando per un interessante approfondimento storico. Un esordio innovativo, un “trip” allucinante e fantastico che conduce il lettore in una realtà nuda e cruda attraverso una climax di situazioni impensabili e, a volte, inconcepibili per il genere umano. Amletico e filosoficamente umano è il finale: l’anima sopravvive al corpo…? Nel panorama della letteratura contemporanea, il romanzo brilla per la sua “unicità”, per la visione “aliena” e “alienante” ma, paradossalmente, concreta della società odierna che, faticosamente “arranca” nella spasmodica ricerca di una vita che valga la pena di essere vissuta, con l’amara consapevolezza che viaggiare e, quindi, vivere è inferno e paradiso insieme.

6 novembre 2013

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