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“Cristo si è fermato a Eboli”, uno sguardo intelligente sul nostro passato non lontano

Cristo si è fermato a Eboli è un romanzo autobiografico, pubblicato nel 1945. L’autore, condannato per antifascismo, descrive nel libro la sua vita da confinato politico in un piccolo paese della Lucania durante gli anni 1935-1936. Grazie alla sua professione di medico, Levi entra immediatamente in contatto con i contadini del luogo, che a lui si affidano istintivamente e con il quale sentono di condividere la condizione di “vittima” dello Stato.

L’opera di Levi è in realtà più di un romanzo autobiografico: alla cronaca del soggiorno nel paese di Aliano (nel libro “Gagliano”, nome ripreso dal suono del dialetto locale), si alternano riflessioni personali, pagine in stile memoir, parti redatte sotto forma di saggio politico e sociologico.

Trovo eccezionali le descrizioni dei personaggi. Le parole utilizzate dall’autore-pittore Levi paiono pennellate precise, vigorose che offrono con esattezza al lettore una chiara e vivida immagine della persona descritta.

Don Luigi Magalone “È un giovanotto alto, grosso e grasso, con un ciuffo di capelli neri e unti che gli piovono in disordine sulla fronte, un viso giallo e imberbe da luna piena, e degli occhietti neri e maligni, pieni di falsità e di soddisfazione.”

Don Pasquale Cuscianna “Era un vecchio grasso, pesante e sordo, goloso e avidissimo come un enorme baco da seta.”

Giulia “Fredda, impassibile e animalesca, la strega contadina era una serva fedele.”

Dalla penna di Levi, emergono con evidenza:

– uno Stato assente, del quale i contadini diffidano perché “quelli di Roma non avevano l’abitudine di far qualcosa per loro”;

– una piccola borghesia che detiene il potere, ma lo utilizza solo a proprio favore. Secondo Levi questa piccola borghesia rappresenta il problema principale dei paesi rurali come Aliano e la descrive in questo modo nelle sue pagine:
“(..) i signori, li avevo ormai fin troppo conosciuti, e sentivo con ribrezzo il contatto attaccaticcio della assurda tela di ragno della loro vita quotidiana; polveroso nodo senza mistero, di interessi, di passioni miserabili, di noia, di avida impotenza, e di miseria.”;

– una classe contadina forte e rassegnata, costretta a vivere in condizioni estreme, in balìa di una natura spietata, di una terra per lo più brulla, i cui unici campi da coltivare si trovano in piccole zone paludose infestate dalla malaria e i cui pochi frutti vengono tassati da uno Stato per il resto assente. Leggendo il libro è facile comprendere come mai questi contadini, che lottano quotidianamente per la sopravvivenza, siano più vicini al mondo animale e pagano che a quello organizzato della religione o dell’attività politica: per loro sovrana è la legge misteriosa e spietata della natura.

“Tutto, per i contadini, ha un doppio senso. (..) La ragione soltanto ha un senso univoco e, come lei, la religione e la storia. Ma il senso dell’esistenza, come quello dell’arte e del linguaggio e dell’amore, è molteplice, all’infinito. Nel mondo dei contadini non c’è posto per la ragione, per la religione e per la storia. Non c’è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magia naturale. Anche le cerimonie della chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indifferenziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi del villaggio.”

Un libro che in gioventù non avrei apprezzato e che sono contenta di aver letto in un’età più matura. Ricco di intuizioni sulla realtà del sud Italia che trovo purtroppo attualissime. Assolutamente da leggere e da consigliare ad ogni politico italiano, per uno sguardo intelligente e ben esposto sul nostro passato non così lontano.

 

Alessia Volonteri

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