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“Anime Nere”, un romanzo che condanna a tutto ciò che ruota attorno alla violenza

Anime Nere” è l’opera d’esordio dello scrittore Gioacchino Criaco e al pari di ogni “opera prima”,contiene in sé i germi di tanti temi futuri nei quali si rispecchia la poetica di ogni narratore ma anche i limiti. Il romanzo è stato il manoscritto primo di un avvocato quarantatreenne che decidendo di tornare verso Sud dal settentrione ha rivolgo lo sguardo verso il fenomeno della malavita organizzata in maniera disincantata abbracciando l’intera penisola e descrivendone i complessi meccanismi di radicamento.

E’ un romanzo con tre protagonisti, legati tutti a doppio filo alla criminalità calabrese presente in Lombardia con importanti legami internazionali così come viene descritta da tanti giornalisti. Commercio di droga, ingenti flussi di capitali derivanti dai sequestri di persona, corruzione e Milano, microcosmo di una città assediata dalle cosche che stentiamo a riconoscere come la città colta ed evoluta che altri scrittori contemporanei descrivono e che corrisponde, nell’immaginario di tanti italiani, all’unica città veramente cosmopolita dell’intera Italia. Proprio per lo squarcio che Criaco ha aperto, sulla Milano della malavita organizzata e per l’uso di talune espressioni, contenenti un richiamo alla Calabria mitica ed alla cultura bizantina, è parso che l’autore abbia espresso una sorta di assoluzione verso il fenomeno criminale.

In realtà la lettura del romanzo reca una ferma condanna a tutto ciò che ruota attorno alla violenza, alle faide ed al malaffare e l’unico autocompiacimento dell’autore riguardo l’Aspromonte luogo di origine dei pastori, che solo inizialmente cooperano con i sequestratori di tanti industriali settentrionali, ma anche luogo di romitaggio dei monaci ortodossi che, permearono, di influenze ellenistiche il territorio, già legato sin dalle origini alle colonie della Magna Grecia. Rilevantissimo è il contributo che l’autore dà al superamento degli stereotipi relativi alle donne.

Nel romanzo difatti campeggia anche se non da protagonista, Claudia stretta in un impermeabile color ghiaccio, di professione biologa, la prima donna “normale” del protagonista che lo trascina in una Milano “fatta di mercatini, musei, concerti, di gente semplice con problemi reali, piccole pizzerie dai prezzi contenuti”. È lei che di mattina prima di rinchiudersi in bagno, non lesina all’amato il bacio al “sapore di miele selvatico” e suggella con quel gesto, solo apparentemente sentimentale, un vero e proprio patto nei riguardi del proprio uomo. È la ferma decisione di far assaporare, a colui che è avvezzo più alla polvere da sparo che alla tenerezza, il miele della libertà e l’intensità del sentimento amoroso in contrapposizione ad altri e più negativi sentimenti quali la vendetta e la brama di denaro.

È proprio questa donna che abbandona la propria dimensione cittadina, per seguire il compagno in Aspromonte divenendo: “moglie, madre, sorella, amica” è proprio Lei, amata senza limiti, a rappresentare il perno su cui ruota l’intera famiglia. La voce narrante afferma: “(…) per ciascuno di noi divenne la persona più importante, nessuno osava contraddirla”. Rivisitazione del fenomeno delinquenziale chiamato “n’drangheta”, comprensione degli investimenti nella droga da parte della malavita organizzata capace di imbastire traffici internazionali, ruolo delle donne nella trasmissione dei disvalori e nell’interruzione delle logiche mortifere, sono queste le direzioni essenziali del romanzo.

Maria Zappia

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