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Psiche e letteratura: l’inizio del viaggio

Ho scritto nel precedente post che la libroterapia è un viaggio, quindi come ogni viaggio ha bisogno di una cartina che descriva il territorio e di un mezzo che ci permetta di spostarci. Per questo ho deciso di iniziare proponendo una sintesi dei concetti di base che stanno alla base della mia visione della libroterapia...

”L’essenza dell’opera d’arte, infatti, non consiste nell’essere carica di singolarità personali (quanto più questo avviene, tanto meno può parlarsi d’arte), ma nel fatto d’innalzarsi al di sopra di ciò che è personale e di parlare con lo spirito e con il cuore allo spirito e al cuore dell’umanità. Ciò che è personale è limitazione, anzi vizio dell’arte”

Carl Gustav Jung, Psicologia e poesia (PP), in Opere vol. 10-I,  Civiltà in transizione: Il periodo fra le due guerre, Boringhieri, Torino, 1985, pp. 373-374.

Ho scritto nel precedente post che la libroterapia è un viaggio, quindi come ogni viaggio ha bisogno di una cartina che descriva il territorio e di un mezzo che ci permetta di spostarci. Per questo ho deciso di iniziare proponendo una sintesi dei concetti di base che stanno alla base della mia visione della libroterapia.

La libroterapia rischia continuamente di essere confusa da un lato con l’approfondimento letterario (quindi una disquisizione intorno al significato dell’opera dato dall’autore o alla ricerca della sua cornice storica) e dall’altro con un lavoro volto solo a confrontare le proprie opinioni riguardo il libro letto.  Il mio approccio non è questo, io considero l’arte, e quindi anche la letteratura, come una espressione della psiche. Nella mia prospettiva, innanzitutto, la lettura di un testo ci permette di avviare un dialogo molto profondo, quello con il nostro ‘inconscio’. Cosa intendo con questo termine? Nella cornice della psicologia analitica, intendo sia l’inconscio individuale (è formato essenzialmente da contenuti che sono stati un tempo consci, ma sono poi scomparsi dalla coscienza perché dimenticati o rimossi) che quello collettivo. Questo concetto, formulato originariamente da C.G.Jung, merita una spiegazione più approfondita.

Esistono fenomeni, situazioni psicologiche che non si possono spiegare in base alla storia personale; si tratta di fenomeni psichici che non possono essere ricondotti ad alcuna esperienza reale e che presentano delle straordinarie concordanze da un individuo all’altro. Addirittura popoli diversi e distanti tra di loro hanno espresso idee molto simili tramite la loro tradizione culturale. Questo per Jung ha a che fare con l’attività spontanea della psiche che si esprime tramite modelli comuni a tutto il genere umano (e che quindi crea un filo rosso tra noi e le generazioni che ci hanno preceduto, prescindendo dalle distanze geografiche o di tradizioni).

L’inconscio collettivo ha dei contenuti specifici, che sono gli “archetipi”: con questo termine Jung indica l’esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque, “un modello innato di reazione psicologica a situazioni tipiche, una modalità che nelle sue linee essenziali, nella sua struttura, è identica in tutti gli esseri umani e in ogni tempo, ma che si adegua nella sua forma esteriore alle Condizioni storiche in cui viene attivata” (Carotenuto A., Rivista di Psicologia Analitica N. 30/84).

Facciamo un esempio per chiarire la questione: pensiamo a due fiabe, che sembrano molto diverse e appartengono a due tradizioni culturali differenti. In una il principe buono deve lottare contro un drago per salvare la sua promessa sposa, nell’altra il guerriero deve sconfiggere un enorme leone per garantire la sopravvivenza al suo villaggio. Le immagini descritte sono diverse, ma la struttura delle fiabe è comune: in entrambe si parla di un eroe che deve lottare contro un mostro. Questo è il messaggio archetipico: abbiamo davanti l’archetipo dell’Eroe e quello del Mostro.
Gli archetipi hanno una doppia natura: svelano le istanze collettive (e per ricaduta anche le istanze individuali del nostro inconscio personale), esprimono i nostri bisogni profondi e al contempo sono minacciosi, ci mettono di fronte alle nostre paure, ai nostri blocchi, al nostro senso di inadeguatezza.

 Ora che abbiamo chiarito quale sia il dialogo che si avvia, cosa ne facciamo in un incontro di libroterapia? Nella clinica analitica, “il rapporto terapeutico consente perlopiù oggi di depotenziare la natura minacciosa degli archetipi e di svelarne, sempre più, la terapeuticità, mediante un lungo lavoro mirante a far emergere dal sintomo il complesso, dal complesso  il simbolo, da questo l’evidenza della forma strutturante che è l’archetipo” (Carotenuto A.1977, p. 87). Nel gruppo di libroterapia si cerca di esplorare il senso profondo che ognuno ha rintracciato all’interno del testo letto: si sondano i significati per dialogare sulle istanze archetipiche emergenti, in modo che ogni partecipante possa confrontarle (più o meno apertamente, a seconda del suo grado di disvelamento nei confronti del gruppo) con i propri bisogni e le proprie paure. La meta, dunque, è quella di permanere in quel dialogo con l’inconscio elicitato dalla lettura, evitando di lasciarlo velocemente alle spalle, che è quello che nella vita quotidiana capita fin troppo spesso di fare. Lavoriamo in gruppo sulla lettura di un libro come potremmo lavorare sui sogni, con la differenza che la lettura è stata condivisa, quindi ognuno ha avuto modo di confrontarsi con le stesse immagini e gli stessi contenuti. In questo senso si applica il “fare anima”, dando al nostro inconscio uno spazio di espressione che porta al benessere e alla crescita individuale.

24 settembre 2013

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