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Professione ghost writer: conversazione con Susanna De Ciechi

Susanna De Ciechi, milanese, è una ghost writer. Dall’incontro della sua creatività con le storie che altri le raccontano sono nati (oltre a numerosi libri per i quali lei è, appunto, l’autore fantasma) i libri La regola dell’eccesso e Tessa e basta, nei quali il suo nome figura in copertina.

 

Susanna, è un lavoro impegnativo quello del ghost writer?

In un certo senso, fare il ghost writer significa vivere una doppia vita, la mia e quella del mio narratore. Lui rivive la sua storia andando indietro nella memoria, io la ripercorro con lui, procedendo in avanti. Questo per come faccio lo scrittore fantasma io, nella mia speciale modalità. Infatti, ci sono tanti modi di fare il ghost writer anche se, in sintesi, il lavoro consiste nello scrivere storie che altri raccontano. Alcuni miei narratori hanno detto che il mio ruolo sta a metà tra quello del confessore e quello dell’analista ed è una definizione che mi piace molto. Quando scelgo un narratore e una storia accetto una sfida impegnativa. È necessario che si sviluppi una forte empatia tra chi racconta e chi scrive. Il narratore deve sentire di potersi fidare di me perché dovrà “affidarmi la sua vita” e dovremo avviare una collaborazione che durerà mesi e sarà molto stretta. Questo lavoro mi consente di conoscere persone molto interessanti e mi porta a esplorare mondi sconosciuti. Spesso è necessario attraversare esperienze molto dolorose. Non è una passeggiata né per me né per il narratore.

 

Eri una giornalista prima?

Sì. Ho sempre lavorato come free lance, scrivevo per molte testate diverse. L’ho fatto per più di vent’anni e, come giornalista, mi è capitato anche di scrivere le monografie di diverse aziende. Ne ricordo una, in particolare, per cui mi avevano dato carta bianca. È stata la prima storia che ho raccontato a modo mio, un grande successo. Da lì è nato il germe del progetto che ho sviluppato in seguito.

 

Come sei diventata ghost writer?

A un certo punto della vita ho deciso di strambare. Mi è andata bene perché l’ho fatto prima della crisi. Ho tirato fuori dal cassetto un mio vecchio progetto e ho cominciato a scrivere storie basate su vicende reali, romanzandole. Sono molto esigente e ho capito subito che la scrittura giornalistica non era sufficiente per scrivere narrativa a livello professionale. Per formarmi, per arrivare a essere un ghost writer secondo il mio obiettivo, ho frequentato alcuni corsi fino ad approdare alla scuola di un grande scrittore, Raul Montanari, un eccezionale maestro.

 

E ora, come ghost writer, lavori da free lance o per una o più case editrici?

Non lavoro per case editrici. Sai che in origine i ghostwriter li chiamavano negri? Questo la dice lunga. Sono uno scrittore fantasma free lance; scelgo solo le storie e i narratori che mi piacciono. Per parecchio tempo ho lavorato come ghost pura, poi le cose sono cambiate anche se la regola base è sempre la stessa: uno scrittore ombra non può rivelare nulla del suo lavoro neppure sotto tortura. Tuttavia, dallo scorso anno il mio nome è in copertina su un paio di libri che ho scritto come ghost writer, per i quali, per motivi personali legati alla natura delle storie raccontate, ciascun narratore ha scelto di utilizzare uno pseudonimo letterario. Oggi le persone che si rivolgono a uno scrittore fantasma puntano quasi sempre alla pubblicazione e sono sempre meno i narratori che vogliono realizzare un libro privato. È una scelta che deve essere fatta prima di iniziare a lavorare perché se il libro che stiamo scrivendo è destinato a rimanere privato posso concedere alla scrittura un passo diverso e dare più spazio alle esigenze del narratore, entro certi limiti. Se l’obiettivo della scrittura è la pubblicazione allora guido io ogni scelta narrativa.

 

Come vengono pubblicati i libri?

Posso dirti qual è stato il percorso dei due libri usciti nel 2015: La regola dell’eccesso e Tessa e basta, con narratori rispettivamente Renato Tormenta e Tessa Krevic. In genere gli editori non amano granché il genere autobiografico, se il protagonista del libro è uno sconosciuto, tuttavia ambedue i libri citati hanno suscitato l’interesse di alcuni editori NO EAP (cioè editori non a pagamento). Alla fine abbiamo optato lo stesso per il self-publishing poiché le condizioni di contratto non ci convincevano. Autopubblicarsi in modo professionale è un percorso impegnativo, ma consente una grande libertà d’azione e assicura royalties maggiori rispetto a quelle promesse da un editore. La distribuzione attraverso le piattaforme permette al tuo libro di arrivare ovunque, un vantaggio impareggiabile. Però devi calarti nel ruolo di editore, trovare i professionisti giusti con cui collaborare per editing, copertina, impaginati eccetera. La promozione rappresenta una sfida, ogni giorno devi essere attento a ciò che c’è di nuovo. Insomma, se si vuole fare sul serio occorre investire e mettersi in gioco senza risparmiarsi.

 

Ci sono anche dei libri integralmente tuoi, in cui non solo la scrittura e quindi l’elaborazione e rielaborazione sono tue, ma anche la storia?

Io scrivo, lo faccio nei ritagli di tempo e mi serve per decomprimere la pressione che esercitano su di me le storie che raccolgo. Ho parecchi racconti e qualche romanzo nel cassetto. Un paio sono finiti, mancano la revisione e l’editing. Ogni volta dico “lo faccio il prossimo anno, poi…”, resto presa nelle maglie di qualche nuova storia. Di recente ho finito di scrivere un libro ambientato in Sri Lanka che racconta le vicende di un medico, Massimiliano Fanni Canelles, presidente di @uxilia, intrecciate a quelle dei bambini-soldato. Il libro dovrebbe uscire in autunno. C’è anche una prossima storia all’orizzonte, ambientata a New York; una narrazione speciale di cui per ora non posso dire di più.

Per me scrivere è un vizio. Come vedi non faccio altro. Si tratta di una vera e propria dipendenza.

 

Grazie, Susanna, per il tuo tempo e le tue risposte.

 

 

 

 

 

Lia Messina

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