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Peter Panton di English Bookshop, ”Chiudo la mia libreria per colpa di internet”

Dopo trentacinque anni di servizio, English Bookshop chiuderà i battenti a fine giugno. La storica libreria, la prima di Milano specializzata in testi in lingua inglese, lascerà così un vuoto enorme nella città, dove ha rappresentato un luogo di incontro e scambio per persone di ogni provenienza, tra cui anche famosi attori e musicisti. Il titolare, Peter Panton, ci spiega il perché di questa decisione...
La storica libreria milanese, specializzata nella vendita esclusiva di libri in lingua inglese, chiuderà a fine mese. Il titolare ci spiega le ragioni che hanno portato a questa decisione

MILANO – Dopo trentacinque anni di servizio, English Bookshop chiuderà i battenti a fine giugno. La storica libreria, la prima di Milano specializzata in testi in lingua inglese, lascerà così un vuoto enorme nella città, dove ha rappresentato un luogo di incontro e scambio per persone di ogni provenienza, tra cui anche famosi attori e musicisti. Il titolare, Peter Panton, ci spiega il perché di questa decisione. Fino al momento fatidico, intanto, tutti i libri sono acquistabili al 50%.

Quando è nata la libreria e cosa ha rappresentato nella vita culturale di Milano?
La libreria è nata nel 1978, trentacinque anni fa, ed è stata la prima a vendere esclusivamente libri in lingua inglese a Milano. Ce n’erano altre che trattavano anche testi inglesi – come Hoepli e Messaggerie Musicali –, ma non esistevano librerie specializzate in questo settore, noi siamo stati i primi.
Io sono sempre stato coinvolto in attività culturali di largo respiro: ho inventato la rivista Speak Up, sono sempre stato in contatto con autori – dagli scrittori best seller, come John Grisham, ad autori come lo storico Denis Mack Smith, professore di Oxford. La libreria era diventata un punto di incontro, dove i visitatori potevano sempre avere notizie fresche di quello che stava accadendo nel mondo dell’editoria inglese e americana. Tra i nostri clienti c’erano anche attori noti e musicisti – come Ornella Muti e Mina.
Le cose sono andate avanti così per i primi venticinque, poi negli ultimi tempi la situazione è cambiata.

In che modo? Quali sono le difficoltà che oggi vi spingono a chiudere?

Allora non c’era internet: le persone compravano e leggevano molto di più libri, giornali e riviste in carta. Oggi è cambiato il modo di leggere. I giovani navigano sullo smartphone o al pc, acquistano ebook on line e li scaricano sui loro device. Da quando c’è internet le librerie hanno iniziato a soffrire, perché è molto più facile reperire le informazioni per altra via.  La vita oggi è diventata molto più frenetica, tutto si gioca sulla velocità, le persone tendono a uscire sempre meno di casa per fare le loro spese. Perché dovrebbero, quando è così comodo comprare on line?
Ormai anche le scuole stanno entrando in questo mondo: è sempre più diffuso l’uso dei tablet.
È capitata la stessa cosa anche in altri campi: i negozi di musica hanno chiuso quasi tutti, perché il pubblico preferisce comprare i brani musicali e gli album da i-Tunes, così come i negozi di video – Blockbuster non esiste più in Italia. Tutto questo a causa di internet e delle nuove tecnologie. Nel settore dei libri al momento Amazon è il numero uno, ma sono sicuro che nasceranno altri concorrenti.
Devo dire poi che in Italia non c’è una grande cultura del leggere, le statistiche dicono che il Paese ha uno degli indici di lettura più bassi d’Europa.

C’è una nicchia di mercato ancora libera?

Se oggi si vuole portare avanti un’attività di libreria, secondo me bisogna trattare libri antichi: forse in questo settore c’è ancora un mercato. Non è scontato però che si riesca a sopravvivere, con le spese e gli affitti troppo elevati. In Inghilterra ormai anche chi vuole vendere libri antichi lo fa on line.

Come ha reagito la città alla notizia della vostra chiusura?

Ricevo ogni giorno molte telefonate, la gente mi dice che non possiamo andarcene, che siamo una pietra miliare della città. Mi incitano a tenere aperto il negozio fino ai cinquant’anni di attività – mi sarebbe piaciuto arrivare a questo traguardo, ricevere una bella targa celebrativa. E poi mi sarebbero mancati solo quindici anni… Ma chi lo paga l’affitto? Ormai si è fortunati se si va in pareggio. Forse in Inghilterra, a Londra, avrei potuto resistere, perché le abitudini lì sono differenti. Un cliente entra in libreria non per comprare un libro, ma per acquistarne almeno quattro o cinque. Qui se va bene il cliente esce con un solo libro in mano, o addirittura entra solo per curiosare ed esce senza acquisti. Ho sentito che a Londra e in altre città stanno prospettando la possibilità di far pagare un prezzo di ingresso al pubblico, per evitare che le persone entrino a dare un’occhiata solo per annotare titoli da acquistare poi scontati su Amazon.  

Visto che abbiamo toccato questo tasto, com’è la situazione in altri Paesi?
Anche altrove le librerie soffrono, le prime che hanno iniziato a chiudere sono state quelle americane. Perfino grandissime catene – come Barnes & Noble e Borders – sono finite con le gambe all’aria a causa della concorrenza di Amazon. In Inghilterra chiude una libreria indipendente ogni settimana. Tre anni fa, nella zona di Charing Cross Road a Londra,
era pieno di librerie, oggi ce ne sono sempre meno. Qui si trova quella che un tempo era la più grande libreria al mondo, Foyles, che si estendeva su tutto un circondario e comprendeva una serie di palazzi – aveva qualcosa come 20 milioni di titoli. Ci sono stato di recente ed è diventata una piccola libreria, hanno venduto praticamente tutti gli immobili. Waterstone’s, una grande catena inglese, è stata acquistata da un oligarca russo, Alexander Mamut – sono molti infatti i russi immigrati in Inghilterra in seguito alla caduta del muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica. Un intero piano delle librerie oggi è dedicato a libri in lingua russa. Non credo comunque che quest’esperienza durerà molto, anche in questo settore finirà con il prevalere la vendita on line. Forse Mamut ha fatto questo investimento perché gli interessava la proprietà degli immobili. In Italia la situazione è più o meno la stessa. Soffrono sia le catene sia le indipendenti.

Quindi la crisi delle librerie indipendenti secondo lei non è dovuta alla concorrenza delle librerie di catena…

Assolutamente no, sono in crisi anche loro! Per sopravvivere sono dovute correre ai ripari: ormai le librerie di catena vendono di tutto, dai libri alle bambole!
Anche alcune librerie indipendenti hanno cercato di adottare soluzioni di questo tipo, ma è complicato. La formula bar-libreria non funziona molto: in pratica in questo modo la libreria diventa una sorta di biblioteca in cui si può prendere a prestito un volume e mettersi a leggerlo davanti a un caffè, magari con il rischio di macchiarlo.

Come vede il futuro delle librerie?

La libreria tradizionale purtroppo sta andando in una direzione di non ritorno, c’è una situazione di totale declino.  

Cosa prova nel vedersi costretto a chiudere l’attività?

Mi spiace dover lasciare i tanti bei libri che abbiamo qui dentro. Sono un po’ preoccupato perché mancano meno di quindici giorni e non so cosa ne farò. Probabilmente farò una grossa svendita a qualche scuola, ma è vero peccato. Vorrei tenerli io, ma non ho più spazio neppure per aprire la porta di casa. Mi spiace poi che venga meno un luogo di ritrovo e scambio. Quando scompariranno le librerie, le nostre città saranno davvero più povere!

19 giugno 2013

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