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Perché il fantasy è stato un genere letterario sottovalutato in Italia

Vanni Santoni, autore de "L’impero del sogno", analizza lo stato e lo sviluppo del genere fantasy in Italia e sottolinea come nel nostro Paese sia sempre mancato un lavoro serio di critica sul fantastico

MILANO – I “generi” ed il fantastico in particolare, nonostante una tradizione portentosa che passa da gente come Dante o Ariosto, è spesso stato visto come un genere minore. Oggi questo immaginario è diventato mainstream grazie a serie tv e film come Il trono di spade, Il signore degli anelli ed Harry Potter, recuperando anche piena dignità culturale. E’ questa l’analisi di Vanni Santoni, autore de “L’impero del sogno“, un romanzo fantasy che sfugge alle definizioni, un sogno con degli elementi di fantasy, contro una realtà con tutta la desolazione della provincia. In questa intervista l’autore analizza lo stato e lo sviluppo del genere fantasy in Italia e sottolinea come nel nostro Paese sia sempre mancato un lavoro serio di critica sul fantastico, che unisse spessore e attitudine divulgativa.

 

Come nasce questo tuo nuovo fantasy? Come si inserisce all’interno della saga di Terra Ignota?

L’impero del sogno è un romanzo autonomo, del tutto autoconclusivo. Ha però una relazione con i due Terra ignota, dato che racconta, oltre alle mirabolanti avventure di Federico Melani e Livia Bressan tra il mondo reale e quello onirico, anche le origini di un personaggio – l’Imperatrice – molto importante nella saga che citi.

Al di là di questo, L’impero del sogno, che porta contenuti e figure fantastiche in un’ambientazione del tutto realistica, quella della provincia italiana del 1997, costituisce anche una sorta di “ponte” tra la mia produzione fantasy e quella realistica, chiudendo un arco narrativo che da Gli interessi in comune abbraccia anche Muro di casse e La stanza profonda. In effetti L’impero, con la sua esplorazione combinata dei mondi immaginari di sogni e videogiochi, si lega molto anche a questi ultimi due miei libri, dove si raccontavano le “bolle” psichedeliche che si potevano esperire nelle zone temporaneamente autonome dei rave e gli universi condivisi dei giochi di ruolo, anch’essi esempi di mondi dotati di regole proprie e esterni alla realtà comune.

 

Da cosa hai tratto ispirazione per il personaggio di Federico Melani?

Il Mella, al secolo Federico Melani, viene, come lo Iacopo Gori di Muro di casse e il Paride di La stanza profonda, dal mio primo romanzo Gli interessi in comune, uscito per Feltrinelli nel 2008. Quando lavoravo a Muro di casse capii che uno dei protagonisti avrebbe potuto essere lo stesso Iacopo già visto negli Interessi, e da lì è partito un discorso più ampio, la creazione di una continuity – o, se vogliamo, di un macro-romanzo che unisce molte delle mie opere. Se ho scelto Melani per L’impero del sogno, è perché aveva determinate caratteristiche, fra tutte una pervicace ostilità nei confronti della realtà, che lo rendevano adatto a un romanzo del genere. Inoltre nel suo arco narrativo c’erano dei “ganci” che sembravano fatti apposta per l’Impero del sogno, mentre altri ne ho creati appositamente altrove (il personaggio compare anche nella Stanza profonda, dove è protagonista di una scena apparentemente inspiegabile, la quale si chiarifica proprio nell’Impero del sogno, dove la si vede ma dal suo punto di vista, N.d.A.). Ma come detto L’impero del sogno è un romanzo a sé stante, fruibile tranquillamente senza sapere da dove viene il Mella, dato che il personaggio è qui presentato ex novo, calato nella sua realtà quotidiana del Valdarno degli anni ‘90.

 

In questo libro, ci sono richiami al mondo dei videogame e del cinema anni ’80 e ‘90. Come mai questa scelta stilistica?

Anche se con strumenti narrativi diversi – L’impero del sogno è un fantastico avventuroso, laddove il mio libro precedente era un ibrido tra un saggio e un romanzo realistico –, l’Impero continua il lavoro fatto nella Stanza profonda. Se nella Stanza si esploravano il mondo dei giochi di ruolo e i loro immaginarî, nell’Impero del sogno il riferimento principale, oltre alla dimensione onirica, sono i videogiochi. Il libro si svolge negli anni ’90, un momento chiave per la storia dei videogame, in cui i PC vedevano la prima epoca d’oro degli adventure e dei GdR, i bar e le sale giochi proponevano titoli decisivi, e le console cominciavano a imperversare. Il protagonista dell’Impero del sogno crea il proprio mondo fantastico a partire dai propri desideri e dalle proprie paure, ma anche dagli immaginarî in cui è stato immerso. Oltre alle letture, i videogiochi hanno avuto un ruolo importante, e così li ritroviamo nel suo sogno che si fa realtà – specie nella costruzione della struttura dell’avventura che si troverà a vivere in prima persona.

 

Qual è lo stato del genere fantasy in Italia? Quali sono analogie e differenze con il mercato estero?

In Italia c’è sempre stato un pregiudizio nei confronti dei cosiddetti “generi” e del fantastico in particolare, nonostante una tradizione portentosa che passa da gente come Dante o Ariosto. Io stesso ne ho scritto in un paio di occasioni. Le ragioni sono molte – c’è addirittura lo zampino di Benedetto Croce, che aveva condannato questo tipo di narrativa – e non banali (è innegabile infatti che sia sempre mancata, nel canone italiano, un’opera di fantastico popolare di grande impatto: anche nel Novecento, chi si è confrontato col genere, come Buzzati, Calvino o Landolfi, lo ha fatto sempre secondo modalità più intellettuali, in cui l’elemento fantastico difficilmente è lì solo per divertire o ispirare meraviglia, ma nasconde sempre una dimensione allegorica o filosofica) ma è vero anche che le cose stanno lentamente cambiando. Oggi, molto semplicemente, questo immaginario è diventato mainstream – tutti guardano Il trono di spade; tutti sono andati al cinema a vedere Il signore degli anelli; tutti i bambini leggono Harry Potter – e quindi non essendo più “nicchia” sta recuperando anche piena dignità culturale. Del resto fino a qualche anno fa la candidatura al Premio Strega di un libro dedicato ai giochi di ruolo sarebbe stato impensabile… Questo sdoganamento è dimostrato anche dal fatto che grandi autori “letterari” si cimentano col genere: l’ultimo Nobel, Kazuo Ishiguro, ha scritto, oltre che un distopico come Non lasciarmi, anche un fantasy puro come Il gigante sepolto; l’ultimo Pulitzer, Colson Whitehead, dietro l’apparenza di un romanzo storico sullo schiavismo, La ferrovia sotterranea, ha nascosto elementi ucronici e addirittura steampunk; e si potrebbe continuare, mettendo in conto anche il fatto che il più avanzato fronte d’onda del romanzo si sta confrontando in modo nuovo con le metafisiche e tale processo passa anche dall’ibridazione dei generi.

In Italia il pregiudizio era più radicato che nel mondo anglosassone, e quindi lo sdoganamento del fantasy sta avvenendo più lentamente, ma altrettanto inesorabilmente. In epoca recente hanno fatto molto gli studi effettuati da Wu Ming 4, autore di un libro cruciale come Difendere la terra di mezzo, i simposi coordinati da Silvia Costantino, che hanno prodotto anche una delle prime raccolte di saggi divulgativi sul fantasy, Di tutti i mondi possibili, e soprattutto gli articoli di Edoardo Rialti, già biografo di Tolkien e traduttore di Abercrombie, che ha cominciato un lavoro di sistematizzazione del fantastico italiano su Prismo e sull’Indiscreto, e adesso sta scrivendo, a puntate, l’intera storia del genere. Sono tutte cose importanti, perché all’Italia è sempre mancato un lavoro serio di critica sul fantastico, che unisse spessore e attitudine divulgativa. A questo, e parallelamente a questo, ovviamente va affiancato un analogo lavoro di rinnovamento degli immaginari da parte degli autori di fiction, al quale spero di aver dato un piccolo contributo.

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