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Perché De André è un maestro della canzone medievale

De André è considerabile maestro della canzone medievale, dal provenzale “canso”, nel senso più letterale e artistico possibile. Alla poesia medievale De André si avvicina magistralmente e anche quando la rovescia prende in maniera sapiente i modi ed i temi della poesia giullaresca o dei miserabondi.  La canzone medievale stilisticamente, dalle sue origini fino a Petrarca, era composta in numero di stanze fra le cinque e le sette, spesso in rima fra loro e scritte in versi molto semplici. E’ da Petrarca che le stanze della canzone divengono rigide nella metrica e nella rima, anche se dal secolo XVII tendono a ridiventare semplici e libere. Successivamente, con Leopardi in particolare, si liberano definitivamente da ogni vincolo. Con De Andrè si misurano ulteriormente con la forma metrica e musicale del genere cantautorale, a mio avviso, proseguendo l’evoluzione stilistica metrica nonché contenutistica della canzone, in particolare appunto di quella medievale.

Sono molti e densi infatti gli anelli che congiungono una parte della produzione lirica di De André a quella dei poeti e cantastorie medievali. Una propensione per questa cultura, quella di De André, che ricorre soprattutto nelle composizioni giovanili. Proveremo qui a fare dei piccoli e semplici accostamenti con temi ed autori, cominciando da uno degli argomenti principali della cultura letteraria cortese ovvero il tema dell’amore.
L’amore angelico e totalizzante, quello per intenderci descritto nella lirica Al cor gentil rempaira sempre amore dal nostro Guinizzelli (1235 -1276) o quello raccontato da Raimbaut de Vaqueiras, sempre vissuto nel 1200, nella sua celebre Domna, tant vos ai preiada o ancora da Bernart de Ventadorn, vissuto anch’egli intorno al 1200, e considerato uno dei più celebri trovatori e che nella sua Quando vedo l’allodoletta muovere  descrive con eleganza e sentimento proprio l’amore puro. Lo stesso sentimento e la medesima concezione di amore profondo sono rintracciabili in molte liriche di De Andrè, nella identica tensione verso la percezione di questo fuoco come una forza mistica che governa gli uomini.

In particolare lo osserviamo ne La canzone di Marinella o ne La canzone dell’amore perduto dove l’amore cantato da De Andrè è una rosa, che quando sboccia infonde a tutti il suo splendore, e strappa i capelli e accarezza il viso. Quello stesso amore che seppur si perderà nella quotidianità, e che come le rose appassirà, non svanirà comunque mai per il ricordo del suo profumo intenso.

La riflessione amorosa e l’inscindibile binomio amore-morte sono temi delicatamente trattati anche da un altro importante trovatore, Folquet de Marselha, nato tra il 1150 e il 1160, quasi sicuramente a Marsiglia.  Nella canzone Tan mou de cortesa razo, Folquet racconta il martirio provocato dal troppo amore per la sua donna. Il tema dell’amante, vinto da amore e dall’estrema fedeltà al suo servizio, dal mondo cortese ha attraversato il tempo e riecheggia anche nelle canzoni di De Andrè, in particolar modo nella Ballata dell’amore cieco. Qui la prova che la donna chiede all’uomo, è quella di rinunciare all’amata fino a compiere il gesto estremo che lo porta alla morte. Un uomo onesto infatti, innamoratosi follemente di una donna sbagliata, asseconda le sue voglie: uccide dapprima la madre strappandole il cuore dal petto, poi, sempre sotto il comando della donna, si taglia le vene.

Un altro tema delle corti riecheggia in De Andrè, ovvero il tema degli ideali e dei valori, i quali muovono gli uomini a grandi imprese ed azioni, come quelli raccontati nella lirica In morte del nobile Blacatz da Sordello da Goito (1200-1269), poeta e trovatore italiano. Infatti questa impeccabilità di spirito è presente ad esempio in Si chiamava Gesù. E come Sordello esalta il mecenate Blacatz, De Andrè fa con un uomo dotato di virtù, e che
ebbe un nome ed un volto: Gesù. Entrambi gli uomini sono tesi e rappresentati dalla stessa forza morale. L’essere nobile d’animo e superiore moralmente, fa infatti entrambi esempio di coraggio per gli uomini imbelli che dal loro cuore dovrebbero cibarsi per riacquistare virtù.
Un altro tema ricorrente nella produzione letteraria medievale è il tema dell’eroe e della battaglia, come quelli descritti ne la Chanson de geste e ne la Chanson de Roland. Vanno in parallelo con questi temi quelli raccontati nelle liriche del cantautore genovese Il Re fa rullare i tamburi o Fila la lana. Quest’ultima racconta le lotte religiose del XV secolo.

Nel componimento La morte di Orlando, di anonimo e scritto agli inizi del XII secolo, si  narra la sconfitta subita dai paladini di Carlo Magno a Roncisvalle sui Pirenei contro i saraceni, e nel quale componimento vi si esalta l’eroico valore di Orlando e la sua anima che in punto di morte va verso Dio. De Andrè nella canzone Re Carlo Martello tornava dalla guerra  riscrive  imprese come queste rivedendole da angolature diverse ed in tono ironico in parallelo con i testi del Roman De Renart, raccolta di racconti medievali in lingua francese del XII e XIII secolo, o in parallelo con i lavori pregni di ricca ironia nei confronti del tono epico come quelli successivi del Boiardo, Pulci e del Folengo.

De Andrè descrive un Re Carlo Martello che tornando dalla guerra, la quale vede vincere i cristiani contro i musulmani andalusi nel 732, viene colto da un urgente bisogno sessuale. De Andrè si prende beffa così del crociato sovrano Carlo Martello. La beffa raccontata sta nel fatto di combattere per  Dio e ritornare con la voglia di andare a prostitute.

Ma ci sono due autori da cui De Andrè prenderà particolarmente spunto. Da  Villon (1431-1463), poeta pitocco, senza eredità, che con il suo Testamento fa elogio a chi muore e scherno a chi resta. E proprio Testamento ha nome un celebre componimento di De Andrè profondamente ispirato al primo. E svariati sono i punti di contatto della poetica di Villon con quella del cantautore genovese. Villon come De André canta i disadattati, i marginali, condannati ad un destino duro.

Villon come De André, prende le parti di quegli uomini colti dalla debolezza della propria condizione sociale. Al pari di Villon è per De Andrè il poeta Cecco Angiolieri (1260 –1313). Cecco scrittore maledetto nostrano che prendeva in giro tutto e tutti, persino chi gli aveva dato la vita, ovvero i suoi genitori come in S’Io fossi Foco, lirica poi musicata e cantata proprio da Faber.

In conclusione Faber lo accostiamo al modo di rappresentare e cantare la vita al tempo delle corti, per la ripresa dei temi e modi della canzone medievale che il cantautore genovese inserisce nella sua produzione con una sua voce originale e al contempo con una peculiare drammaticità ed ironia, tipica del mondo trobadorico proseguendolo in maniera innovatrice.

 

Carlo Picca

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