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Pasolini, Penna e quel paragone con Rimbaud

E’ evidente dalla letture delle carte che li riguardano la stima e la consonanza di vedute fra questi due poeti. L’approccio alla realtà delle cose e degli esseri umani è il medesimo. Entrambi rivestono di grazia l’esistenza semplice popolare, restituendole una verità assoluta che si oppone allo snaturamento in atto a causa di un ambiguo progresso. Il tutto è provocato dalla loro volontà e necessità di esprimere la loro tensione poetica che è pregna di un amore straripante di vita, e che non solo non può contenersi, ma che va, in direzione ostinata e contraria, a difesa dello stesso sentimento di vita.

Il rapporto Penna-Pasolini fu un lunghissimo e fraterno rapporto di amicizia vera e di scambio reciproco di idee e riflessioni. Penna più sornione e santo, quasi un mentore vero e proprio per  l’autore de Le ceneri di Gramsci, Pasolini più vitalistico e corsaro, accomunati entrambi dall’amore per la vita e le passioni che i poeti sanno cogliere anche nelle piccole cose esprimendo il mistero e l’assoluto della purezza degli oggetti che l’ispirano.

Nel 1950 in occasione della tanto attesa uscita della raccolta poetica di Penna, Appunti, giovedì 28 settembre apparve sul Popolo di Roma il primo articolo di Pasolini sul poeta umbro, sulla cui opera, il poeta di Casarsa, scriverà successivamente altre volte, pezzo in cui provava a cogliere l’immagine vera della poesia di Penna. La difficoltà di descriverla era ben espressa in questo scritto di giornale  perché Pasolini sapeva bene di trovarsi di fronte a dei versi così puri e  restii ad una definizione critica, in quanto riteneva la sua poesia inafferabile.

Pasolini parlava nell’articolo più che di felicità di Penna, della sua grazia poetica: noi vorremmo intanto spostare il significato di felicità, verso quello più vago di gratitudine. E’ quasi sempre un moto di gratitudine che spinge Penna a scrivere i suoi versi-sensuali, ma senza il peso della sensualità, appunto perché la sensualità è vinta da quel dolcissimo patetico che è la gratitudine per una vita sempre sorprendente: prodiga, tutta già predisposta al rimpianto.

Pasolini descrive questo libretto di Appunti come appunti d’esistenza d’amore. Un lungo monologo di un poeta condannato alla felicità allargandone i confini, dandole quelle risonanze che sono la sua nascosta autentica ricchezza, ed anche se la tecnica di Penna è descritta come inimitabile, Pasolini volendogli trovare una figura cui assimilarlo, sceglie Rimbaud, ma il Rimbaud ragazzo, con tutto il suo dérèglement ancora potenziale, e magari con una vena melodica ancora più fluida e tersa. Come Rimbaud, Penna è, nelle lettere italiane, il ribelle infantile e assolto. Naturalmente anch’egli giunge spesso, nel suo quotidiano delirio, a un’illogica saggezza, a un’acerba e ingenua maturità.

Di seguito a questo mio articolo lascio agli amici di Libreriamo l’intero pezzo in prima assoluta e che ho trascritto, per la  videoteca Pasolini, spazio diretto dallo stimato Bruno Esposito.

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