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Papà e parità di genere, cosa significa essere padre di una “piccola donna”

Cosa significa, oggi, educare una piccola donna? In vista della festa del papà, abbiamo intervistato Girolamo Grammatico su questi quesiti importanti.

Cosa significa educare una piccola donna? Come si insegna la parità di genere in famiglia? Girolamo Grammatico, Coach esperto, ci risponde ad alcune domande per riflettere insieme su cosa significa essere un padre oggi, soprattutto quando lo si deve essere per una bambina. Il suo libro “Padri e figlie. Allenarsi alla parità di genere“, è – citando lo stesso – un libro di coaching “umanistico” per allenare le capacità dei padri di rendere questa società un luogo che accolga le nostre figlie (e i nostri figli) e permetta loro di sviluppare il proprio potenziale, affinché ognuna realizzi se stessa e possa essere felice, libera e autonoma.

La lettera che Giacomo Leopardi scrisse al padre

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Nella lettera di Giacomo Leopardi al padre emerge un forte contrasto tra il poeta e il suo genitore, poiché Giacomo si oppone alla sua volontà di far rientrare i figli nel rigido piano di famiglia

Essere un padre e un uomo che educa alla parità

Girolamo Grammatico basa il suo lavoro sul raggiungimento di una nuova consapevolezza paterna. Essere padre, oggi, significa portare avanti anche un determinato “modello maschile”. Un modello necessario per educare le giovani donne del futuro e, soprattutto, i giovani uomini. Cosa significa questo? Educare all’inclusione e alla parità di genere. Educare alla libertà. Girolamo ha scritto due libri molto singificativi, affiancati da un ammirevole lavoro di coaching dove si occupa di genitorialità.  I libri in questione sono “#esserepadrioggi. Manifesto del papà imperfetto” e “Padri e figlie. Allenarsi alla parità di genere” (Editi per Ultra) .

L’intervista a Girolamo Grammatico 

Abbiamo posto delle domande e Girolamo Grammatico sul significato dell’essere un padre oggi. È importante la riflessione che viene fatta sull’essere, soprattutto, padre di una piccola donna. 

 

Essere un padre durante una pandemia come è? Cosa è cambiato?

Per molti è stato un dramma, per chi era abituato al vecchio modello che prevedeva la cura dei figl* solo nel week end è stato un duro colpo. Se poi ci mettiamo le preoccupazioni per il lavoro, per la salute e per il futuro, la combinazione è stata esplosiva. Per quanti invece avevano iniziato a costruire una paternità basata su una relazione costante, attenta, fatta di piccoli gesti quotidiani e di tanta tenerezza nei giorni feriali, la pandemia è diventata un’occasione per dare maggiore forza a un cammino già intrapreso.

Tra padre e figlia, quali sono gli stereotipi da abbattere ancora?

Quelli che ho avuto modo di riscontrare per esperienza diretta tramite il mio lavoro sono principalmente due. La figlia è vista come una principessa da “abbellire” e “proteggere” offuscando la possibilità di vedere tutto lo spettro di alternative e l’altro è quello di vederla come futura madre, incorniciandola in un unico ruolo e facendo fatica a considerare che ciò possa non accadere anche come libera scelta di nostra figlia. La sfida è educare e crescere le nostre figlie permettendo loro di autodeterminarsi liberamente.

Festa del Papà: cosa vuol dire essere padre oggi

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Abbiamo intervistato Christian Bergamo, autore di “quasi padre” (Longanesi) sul concetto di paternità e sul ruolo dei papà ai giorni d’oggi.

Cosa significa, per un papà, educare una piccola donna oggi?

Per me significa studiare tanto, leggere, conoscere, informarsi e allenarsi. Sperimentare abilità come l’empatia, la creatività e coltivare un atteggiamento curioso costante, per non cadere nello stereotipo e contrastare gli automatismi. Inoltre significa imparare a confrontarsi con altri papà sulle questioni legate proprio al femminile partendo dalla consapevolezza che abbiamo ereditato dei paradigmi patriarcali di cui spesso non ci rendiamo conto. Per me, come padre e come coach, è stato fondamentale lo studio e la pratica del femminismo intersezionale. Infatti un’educazione autentica si muove da una relazione attenta, da un progetto familiare co-costruito e da un’attenzione alle dinamiche politiche che vogliono fossilizzarci dentro schemi vecchi e che hanno finito il loro tempo.

La cosa più sottovalutata della paternità?

È una domanda complessa. Credo che ci siano tante risposte, tante quante possono essere le prospettive. Da una parte c’è una politica che sottovaluta la paternità (vedi i congedi parentali, solo per citare un esempio) e non si rende conto che non lavorando sulla popolazione di padri non si penalizzano solo questi cittadini, ma anche le madri. Da un’altra parte ci sono molti padri che sottovalutano l’importanza politica e culturale del proprio ruolo e quindi non si battono per alcuni diritti (come appunto il congedo parentale o la possibilità di cambiare i pannolini nei bagni per soli uomini) o per affermare il proprio ruolo genitoriale non solo in società, ma anche a lavoro.

Questo solo per citare due prospettive. Ma potremmo fare lo stesso discorso dal punto di vista economico – la madre è vista come un consumatore più interessante dal mercato con ciò che ne consegue – o dal punto di vista educativo – sono ancora pochi i corsi o i laboratori che allenano le loro competenze genitoriali.

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Perché il tuo libro dovrebbe essere letto da un uomo e perché da una donna.

Al di là del titolo il libro si rivolge ai genitori, cerca di integrare una prospettiva culturale con la metodologia del coaching umanistico. Direi che un uomo può leggerlo per usarlo come strumento di esplorazione dei propri condizionamenti e dei propri automatismi. Il libro offre alcune delle categorie interpretative della società mutuate dal femminismo intersezionale e per questo offre una prospettiva che di solito un’editoria troppo attenta ai follower fa fatica a proporre ai papà. Una donna può leggerlo per verificare quali meccanismi subdoli del patriarcato si sono insinuati in lei (nessuno è totalmente immune, ahimè) e come piccolo prontuario di sostegno al padre dei propri figl*

Secondo te, nella letteratura, perché si è dato poco spazio alla paternità rispetto al percorso della maternità?

Per rispondere a questa domanda consiglierei due libri stupendi: “Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione” della filosofa Adriana Cavarero e “Figlie del padre: Passione e autorità nella letteratura” della prof.ssa Maria Serena Sapegno. In loro ho trovato tante risposte che mi hanno aperto un mondo. Se dovessi azzardare una risposta mia, da aggiungere alle loro, il motivo è determinato da una sorta di male gaze che ha permeato molta letteratura sia maschile che femminile, anche se le cose oggi stanno cambiando molto. Credo che la maternità abbia tante chiavi di lettura che stimolano racconti di ogni tipo e che quindi diventa un terreno narrativo fertile. La paternità oggi ha bisogno di nuove narrazioni, ma per farlo, secondo me, è necessario prima un rinnovamento politico ed educativo per offrire elementi suggestivi nuovi, anche se auspico un percorso inverso e cioè che la letteratura precorra i tempi e offra orizzonti nuovi. Ma attualmente percepisco i padri orfani di sé stessi dal punto di vista letterario.

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3 cose che vorresti dire a tuo figlio attraverso il tuo libro.

La prima è che possiamo davvero realizzare la versione migliore di noi stessi a patto che ci si alleni tanto, che ci si educhi al pensiero critico e che si costruisca una comunità di riferimento basa su valori sani.

La seconda è che sono stato e sono un papà imperfetto.

La terza è che se sono riuscito a migliorarmi è stato merito suo e di sua sorella, con loro ho avuto l’occasione di conoscere e sperimentare parti di me che non avrei avuto occasione di far emergere.

 

 

 

 

Stella Grillo

 

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