”Pantani era un dio”, il ciclista romagnolo raccontato dai gregari, gli unici a non averlo mai abbandonato

16 Aprile 2019

In dieci anni di professionismo Marco Pantani ha vinto poco più di una trentina di corse, un bottino modesto se paragonato a quelli di Coppi o Merckx, Moser o Cipollini. Eppure il Pirata ha conquistato la storia e il popolo del ciclismo come da tempo nessuno riusciva a fare...

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Il giornalista della Gazzetta Marco Pastoresi parla dello sfortunato scalatore e presenta il suo libro “Pantani era un dio”, scritto a dieci anni dalla scomparsa del campione romagnolo

MILANO – In dieci anni di professionismo Marco Pantani ha vinto poco più di una trentina di corse, un bottino modesto se paragonato a quelli di Coppi o Merckx, Moser o Cipollini. Eppure il Pirata ha conquistato la storia e il popolo del ciclismo come da tempo nessuno riusciva a fare. Perché era uno scalatore che veniva dal mare. Perché è decollato sul Mortirolo e sul Galibier ma è precipitato nella cocaina e nella depressione. Perché inseguiva l’amore ma finiva a puttane. Perché era un uomo solo. Nel decennale della scomparsa, Marco Pastonesi ricostruisce la carriera di Pantani nel libro ‘Pantani era un dio‘, raccogliendo le testimonianze inedite di chi lo ha frequentato da vicino, in particolare i gregari, e ripercorrendo i luoghi che lo hanno reso sportivamente immortale. Una polifonia di voci che raccontano anche la sua Romagna, le montagne che lo hanno consacrato a mito, gli scalatori del passato e le debolezze dell’uomo: il doping e la droga.

Da cosa nasce l’idea di questo libro?
L’idea nasce dalla casa editrice in occasione dell’anniversario dei dieci anni dalla scomparsa di Pantani. Di solito scrivo libri di mia iniziativa, in cui parlo di personaggi minori, in particolare gregari, ciclisti africani. Stavolta ho usato un approccio diverso, ed ho accettato la sfida di parlare di Marco Pantani. Su di lui si era scritto già tanto e sotto diversi punti di vista: illustrativi, celebrativi, storici, biografici, come nel libro-inchiesta di Philippe Brunel sulla sua morte. Quindi mi sono chiesto: cosa posso aggiungere di nuovo? Ed ho voluto quindi documentarmi ed ho trovato due filoni: il primo rappresentato dai luoghi, la strada, le salite, capaci di raccontare le storie; il secondo da chi correva con Pantani, insieme a lui, cioè i gregari. Qui ho trovato un terreno vergine, raccogliendo storie inedite. Pochi vanno dai gregari e scoprono i loro punti di vista, spesso insoliti.

Quali sono le testimonianze inedite contenute nel libro?
Mi viene in mente l’episodio di Ermanno Brignoli, un oscuro gregario di Pantani. Di poche parole come tutti i bergamaschi, Brignoli gli è stato vicino soprattutto nel periodo più difficile. Una volta si trovavano a Cesenatico al mare in pedalò quando incontrarono, casualmente, Savoldelli in compagnia della sua futura moglie. Si sono salutati, riconosciuti, quindi Pantani, rivolgendosi a Brignoli, indicando Savoldelli ha detto “Vedi, il nuovo ed il vecchio ciclismo”. E’ stata una sorta di passaggio di consegne. Ci sono poi altre testimonianze ed episodi, che non hanno voluto che io scrivessi all’interno del libro.

Puoi dirci quali?
In particolare episodi appartenenti al periodo in cui Pantani non era più un corridore, ma correva dei rischi, una sfida infernale con se stesso. Eppure a volte i gregari erano li e cercavano di portarlo via, di trattenerlo, di distrarlo, riuscendoci il più delle volte. Ma poi c’era sempre il momento in cui tornava a casa, e rientrava in quei giri loschi, di qui è stato vittima. La mia tesi è la stessa di Philippe Brunel, ovvero che Marco Pantani “è stato suicidato”, indotto a farla finita.

Nel libro emerge anche il Pantani-uomo amato dalla gente, non solo per le sue imprese ciclistiche?
Il Pantani campione, vincente, scalatore, è ben presente a tutti. Il Pantani che a inizio salita lancia la bandana, saltava sui pedali e se ne andava staccando tutti. Nel libro viene fuori il Pantani “giù dalla bici”, un uomo generoso, semplice, di popolo. E’ anche un uomo indifeso, fragile, indifeso. Tanto era spavaldo sui pedali, tanto era timido e riservato fuori dalle corse. Un uomo però allegro, simpatico, di gruppo. Marco Pantani l’ho incontrato di persona, ma non l’ho mai conosciuto fino in fondo. Erano gli anni finali, e lui era diffidente verso tutti i giornalisti. Li trattava con freddezza. Ho comunque provato una sorta d’affetto verso questo Pantani, raccontato dai suoi gregari.

12 febbraio 2014

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