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“Omicidio all’italiana” di Maccio Capatonda, comicità demenziale ispirata alla grande letteratura italiana di genere irriverente

Maccio Capatonda, nei panni di Piero Peluria, sindaco di Acitrullo, immaginario paese sperduto dell’entroterra molisano tagliato fuori da tutto, è il regista ed attore principale del suo nuovo film, Omicidio all’italiana, sua seconda lunga pellicola dopo quella di Italiano Medio. In questo paesino, dall’età media di circa 70 anni, quando la Contessa Incazzati muore in seguito ad un incidente poco chiaro e che sarà svelato solo alla fine, decide con suo fratello Marino, un eccellente Herbert Ballerina, di simulare un omicidio ispirato dalla trasmissione Chi l’ha acciso, condotta da Donatella Spruzzone, impersonata da Sabrina Ferilli.

Tutto questo per attirare l’attenzione dei media su questo paesino altrimenti destinato al dimenticatoio e all’abbandono delle ultime sue anime che lo popolavano. Il sindaco Peluria capisce infatti che Cogne ed Avetrana non hanno nulla di meno di Acitrullo e che il suo paese può e deve diventare un’oasi turistica del crimine, pronta ad ospitare visitatori sulla scena del delitto.

La sua idea funziona alla grande, se non fosse che la poliziotta Sandra Pertinente, voce della ragione di fronte alla deriva di una nazione guidata da tv spazzatura, politici e funzionari incapaci, nonché mode imposte, cerca, con tutta se stessa, contro tutto e tutti, di dare un senso al misfatto.

La poliziotta ci riuscirà solo in parte, e solo nel finale, a dare un filo al non senso, un filo che però ha il sapore ironico di adattamento per non impazzire nella stupidità e anormalità dilagante. La verità la fa la televisione, la meta realtà ha ricreato la realtà, la connessione con il reale cede il passo all’idea di realtà artificiale imposta, e il tutto avviene in un degradamento della socialità. Se Checco Zalone a nostro avviso ci pare raccontare gli italiani medi con ironia, quasi assolvendoli nei loro difetti, Maccio sembra farne un ritratto spietato, senza una vera e propria soluzione/assoluzione.

Omicidio all’Italiana di Maccio è un film imperdibile perche è originale, è simpatico, e fa ridere quanto fa riflettere.  Maccio è un intellettuale molto fine, una vera mosca bianca, a nostro modo di vedere, nel cinema italiano. Il film diverte con una comicità demenziale ispirata alla grande letteratura italiana di genere irriverente, anti letteraria, grottesca, a partire da Cecco, passando per Teofilo Folengo, fino ad arrivare alle deformazioni linguistiche di Gadda.  Maccio non è un improvvisato. Non è mai volgare, e l’aggettivo deforme non era ancora entrato nel lessico del cinema italiano con questo spessore letterario da grande epica grottesca.

Gerolamo Folengo, più conosciuto come Teofilo Folengo poeta e scrittore italiano vissuto a cavallo del ‘500, tra i principali esponenti della scrittura maccheronica  sembra essere il padre putativo della lingua del soggetto di Maccio.

Folengo coltivò coscientemente il genere maccheronico goliardico, molto in voga nella cultura veneta popolana, riscattandone il carattere minoritario ma innalzandolo a strumento stilistico letterario vero e proprio. Attraverso questo impasto misto fra lessico latino e lessico dialettale, questo grande scrittore riuscì a fornire un ritratto assolutamente anticonvenzionale della realtà sociale del suo tempo. La sua grandezza è testimoniata anche dall’influenza che ebbe sulle celebri opere dell’autore francese Rabelais.

La particolarità di Maccio è proprio, come in Folengo, in questo uso sapiente e giullaresco di una lingua a nostro avviso puramente letteraria e maccheronica, che unendo lessico italiano e lessico dialettale, racconta divertendo l’impietosa realtà. Per non risultare pesante, per essere attrattivo, per comunicare la sua visione, Maccio adopera questa arma, la lingua, cui fanno conseguenza abiti e scene che vi si adattano, per sorridere mentre nel cinismo più irriverente viene raccontato un paese alla deriva e quasi oggetto di un degrado culturale irreversibile.

Maccio con Omicidio all’Italiana descrive in modo deforme quella nostra nuova forma democratica occidentale di governo, descritta in 1984 da Orwell, non facilmente riconoscibile d’impatto come imperfetta, e che si riflette “dalla televisione”.

Quella televisione che per conto di salotti trasversali occulti di finanzieri, banchieri, petrolieri tiene i cittadini dentro un grande laboratorio. E ci fanno vivere in un gigantesco Matrix, nel quale i mass media, Big Brother, eseguono le direttive affinché la grande trappola si preservi costantemente. Ci dicono cosa dobbiamo fare, pensare, mangiare, bere, ci mettono l’uno contro l’altro, ci tengono ignoranti, ci inducono nella direzione che loro indicano, come in quel momento sia quella che si debba percorrere. Ci tengono dopati di sensazioni al fine di non sentire più e di abituarci a tutto, abituarci alla mancanza della necessità di sentire che abbiamo bisogno di un altro modo di vivere, più leggero, più a nostra dimensione, più pulito!

Queste sono le riflessioni che mi nascono dopo aver visto questo film che, attraverso la lingua maccheronica e la deformazione, tiene sveglia la ragione in questa decadenza culturale dominante e senza soluzione, e come già espresso nella chiosa del suo primo film capolavoro Italiano Medio, invitandola a provare a non impazzire facendo danzare gli opposti al limite dell’onirico e di una follia rivelatrice.

Carlo Picca

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