Non è il solito romanzo, quello di Beatrice Corradini, tiktoker e vincitrice dei Wattys 2020. “Noi che balliamo nel labirinto di spine”, pubblicato da Mondadori il 6 maggio 2025, è uno di quei libri che si veste da young adult, ma che è capace di arrivare a tutti — adolescenti, adulti, educatori — con la spiccata sincerità di cui oggi abbiamo bisogno.
“Noi che balliamo nel labirinto di spine”, uno Young Adult ambientato negli anni ’ 90 che lascia il segno
È un romanzo di formazione, di amicizia e perdita, che ci traghetta attraverso il dolore con empatia e affronta temi delicati come il bullismo, gli abusi, l’incomunicabilità e le differenze.
Il “branco” visto dagli occhi di una pecora
A raccontare tutto è Massimo, detto Max, voce narrante dal tono cinico e spavaldo, un ragazzo impulsivo, così impulsivo che apre il romanzo tagliandosi a zero i capelli non si sa bene se in memoria di Rachele, come forma di protesta contro la polizia di Poggio Mirto, o ancora “preparandosi alla guerra” come i militari.
Max fa parte di un gruppo che lui stesso definisce “branco”: Cosma, Tobia e Guido, compagni inseparabili di scuola, trasgressioni e perfino atti di bullismo. Hanno un loro modo per salutarsi, un codice d’onore. Si vede che hanno l ’ istinto dei lupi: si difendono a vicenda, si spalleggiano, ma spesso esagerano. Il loro legame è saldo, quasi tribale, ed è Fiore che si azzarda a definirlo per la prima volta per ciò che è: “ gregario”.
Ma il “branco” non è composto da cattivi ragazzi. Max, Cosma, Toby e Guido sono solo insicuri, feriti, e si fanno forti tra loro. Cosma è abituato a sentirsi chiamare “lo zingaro”, Guido, col labbro leporino, “bocca marcia”. È Santiago a spingerli sempre al limite, il figlio del poliziotto. Lui e il suo amico. In due riescono a far tremare Poggio Mirto.
Ma “Noi che balliamo nel labirinto di spine” è anche e soprattutto una storia di trasformazione. Il “branco” evolve, fa i conti con i propri errori, con i dubbi, e da ai suoi membri la possibilità di accettare e accettarsi.
Massimo, il motore del romanzo
Max è il motore del romanzo, il protagonista imperfetto di cui non sapevamo di avere bisogno, quel narratore che una volta chiuso il libro continua a rimanere in testa per giorni e giorni.
Capace di un’immedesimazione totale, Max è credibile, pieno di rabbia, di domande, di energia disordinata. È vivo, mentre racconta di come fuggono le galline, o di come prende a pugni Santiago o ancora mentre indaga sulla sparizione di Rachele.
Beatrice Corradini lo tratteggia con grande accuratezza, scegliendo per lui una voce coerente e spontanea. Attraverso Max, ci immergiamo nel linguaggio, nei pensieri e nei desideri di un ragazzo degli anni Novanta, tra Walkman, biciclette e fabbriche dismesse. Non c’è idealizzazione, ma la costruzione completa di una cittadina, il realismo psicologico di un personaggio che, tramite le sue parole, rende Poggio Mirto un posto vivido.
Ma Max è anche un concentrato di reazioni sbagliate, sfuriate, momenti di negazione, indagini del sé, tentennamenti, alzate di testa, e soprattutto voglia di giustizia. Quella di Max è un ’ evoluzione lenta, ma potente. Una crescita del personaggio chiara, che arriva al cuore di chi legge.
Max è capace di superare i suoi stessi limiti, è grazie al suo sguardo che capiamo quanto sia difficile crescere in un ambiente dove tutto sembra immobile, come quello di un paese di provincia. E allo stesso tempo Max suggerisce a chi legge di cambiare, migliorare, essere sempre e solo la versione migliore di sé. Chiedere giustizia, non voltare la testa, fare come Zana, che non molla mai, perché lui prende spunto da lei e capisce che ha ragione.
Il giallo: Che fine ha fatto Rachele?
Ciò che rende “Noi che balliamo nel labirinto di spine” ancora più avvincente è la sua traccia misteriosa, vale a dire la scomparsa di Rachele.
È proprio così che si apre il libro, e per gran parte di esso avremo un vanti e indietro nel tempo, dettagli e ricordi del ’95 attraverso gli occhi di Max che non vuole lasciare Rachele nella memoria, che deve scoprire dov’è, perché Poggio Mirto gli appare troppo omertosa, così statica da nausearlo.
Max inizia a indagare e si hanno un po’ le vibes della prima stagione di Elite — parliamo solo di ribes investigativa, perché a differenza della fiction patinata qui non ci sono uniformi, piscine e famiglie milionarie.
La provincia osserva, giudica, tutti hanno un ’ opinione ma nessuno parla davvero. Alcuni borbottano di fughe volontarie, altri puntano il dito alle spalle. I sospetti di Max ricadono su Santiago, nemico giurato del “branco”. Ma è davvero così semplice? Bisogna trovare le prove, non si può accusare qualcuno sulla base di una sensazione.
Ma è una storia di crescita, torniamo a dire, e ogni cosa accade per una ragione.