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Nel cuore della valle d’Itria c’è un poeta: Antonio Lillo, il contastorie

Sono un uomo che non fa più miracoli

né spera che l’amore o l’amicizia

possano salvarlo dall’urgenza della fine.

Non c’è fede né futuro, i grandi

scrittori non pensano che a edificare

ponti palazzi rubare il mestiere

agli architetti ai politici. Io mi tengo

a galla con fatica o più semplicemente

mi piace definirmi un contastorie

senza chitarra né voce, ancora più stonato.

 

Ho da poco finito di leggere Bestiario Fiorito, l’ultima raccolta del poeta Antonio Lillo, edita da Pietre Vive nel 2016.  Il suo, dalla prima all’ultima poesia, è tutto uno stile a prima vista colloquiale eppure profondo e denso,  semplice ed accogliente eppure meditato e calibrato,  perché,  la dote di Lillo è quella di camminare sulla fune, come fanno i veri poeti d’urgenza e riflessioni, con il suo stile da gatto sornione equilibrista, ma solo apparentemente, perché dentro ogni suo verso c’è un mondo preparato e complesso, c’è un cavallo di razza, frutto d’incantesimo lirico della sua magica terra, la Valle d’Itria.

Non è colpa dei vecchi se stanno al sole sui muretti

a decidere per noi pontificare o meglio ancora sciogliersi

in scorregge negli uffici sulle loro sedie nuove come ghiaccioli

gli sguardi buoni da bravi nonni sempre pronti a giudicare la troia che passa

da padroni ma gonfi di rancore per una giovinezza perduta a far denaro

che più non li comprende li rattrista non è colpa dei vecchi è colpa nostra

che più non siamo buoni a scalciare a scalciarli fuori dalle palle

vecchi verri con calci crudi da castrarli in via definitiva 

che non si riproducano ma soffocarli e lentamente contro un muro

finché il sangue non gli schizza via dai denti – sangue nostro di Gesù bommino.

 

E dalla sua Locorotondo che sta profumando di neoumanesimo,  salpa continuamente verso i più svariati posti d’ Italia, dove si legge ancora poesia. Lillo porta avanti infatti un intenso programma di promozione della poesia nelle scuole o in giro per festival ed eventi, dal titolo #voceallapoesia.

Antonio Lillo, è classe 1977, e come detto poc’anzi vive a Locorotondo, nel cuore della Puglia, e qui è direttore editoriale della casa editrice Pietre Vive. Come poeta ha pubblicato le raccolte L’innocenza del Male (2008, ed. Lietocolle); Viva Catullo (2011, ed. Favia); Dal Confino (2013, ed. Pietre Vive); Rivelazione (2014, ed. Pietre Vive).

E proprio la sua casa editrice, Pietre Vive, si fa promotrice  ogni anno di Luce a Sud Est, concorso di scrittura sociale con cui intende rilanciare un discorso legato all’impegno civile da parte di giovani autori e di cui qui lasciamo l’ultimo bando: http://www.pietreviveeditore.it/luce-a-sud-est-concorso-di-scrittura/

Saltuariamente Lillo scrive anche per il teatro e collabora con la rivista Incroci. La sua attività editoriale si muove prevalentemente nel genere della poesia e dell’arte. Un fanciullo impegnato e poliedrico quindi, il quale taglia a pezzi lirici, con i suoi passi da acrobata, la storia ed i sentimenti, o più semplicemente un calciatore completo, con la stoffa del fuoriclasse, perche a mio modesto avviso i suoi versi meritano tutti una lettura.

 

Questo mare popolato di cadaveri

dorme un sonno lungo e spezzettato.

 

Quando si risvegliano di rado

i loro problemi migliorano.

 

Gli occhi annebbiati di sonno

non mettono più a fuoco le voci.

 

Non cambiano visione mai

né le certezze sognate.

 

Si affievoliscono piano come fa

la notte nel mattino.

 

Non reclamano vendetta né salute.

 

Nelle sue poesie ci trovi davvero molta letteratura, Lillo ne mastica tantissima, ma se devo sbilanciarmi un pochetto, personalmente nella sua raccolta trovo molto ‘900, in particolare molta beat generation, e ci trovo influenze da un’accoppiata insolita: Pasolini, ed Il gruppo 63, ma soprattutto ci trovo una continuità di questa pasta letteraria, egregiamente impura, ai giorni d’oggi.

Ma la cosa che maggiormente mi suscita Lillo quando lo leggo è quella di riappropriarmi di un diritto, quello al sogno poetico, ovvero la possibilità di fare ancora poesia, dubbio espresso a chiare lettere da Pasolini. Lillo ci prova ancora, con coraggio, e lo fa mentre ci restituisce il senso della complessità, dote rara, e prova a tracciarne una trama disincantata.

Il poeta lo fa cercando di ricomporre la frammentazione, recependo il mondo della civiltà moderna, capace sì di creare schiavi malati che non reclamano vendetta né salute, ma andando oltre questo labirinto di sottopassaggi, verso una dimensione rinnovata e onirica.

Il poeta patisce certamente l’incrinarsi del mondo degli ideali,  ma in questo ne trova strumento di reazione poetica, ancora e ancora.  Lillo, come scritto, nella vita non è solo un poeta, ma un editore ed intellettuale, e con tenacia non vuole dileguare il senso epifanico di risveglio dei versi dalla monotonia al tempo del consumismo, ci crede e  con sullo sfondo una vitalità da navigatore di idee, fa emergere questa epifania nel frastuono contemporaneo, chissà qualcuno la ascolti.

Come da sempre ha fatto la vera poesia, a cominciare dai carmina (carme, poesia) e da quelle preghiere o storie che moltissimi secoli addietro si declamavano durante le feste.

Nel cuore della valle d’Itria c’è un poeta: Antonio Lillo, il contastorie.

 

Carlo Picca

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