“Nata nell’acqua sporca”, l’esordio di Giuliana Vitali con un romanzo generazionale

29 Giugno 2025

Scopri perché leggere "Nata nell’acqua sporca", l’opera prima di Giuliana Vitali; un libro che osa, che non teme la materia incandescente, che parla da dentro.

"Nata nell'acqua sporca", l’esordio di Giuliana Vitali con un romanzo generazionale

Esordire oggi non è un atto da poco. Lo è ancora meno quando l’esordio si muove non per una vocazione ornamentale, ma per urgenza vera e radicale. In “Nata nell’acqua sporca“, Giuliana Vitali compie un gesto che ha qualcosa di sacrificale: porta sulla pagina non un mondo inventato ma sopportato, incarnato. La scrittura, in lei, è veicolo esistenziale, è strumento di scavo. Non siamo dinanzi al talento acerbo ma a una voce già dotata di un suo passo, di una sua necessità.

Nata nell’acqua sporca: un realismo incarnato

Il romanzo — e uso con cura questo termine che troppo spesso viene svuotato — è attraversato da una sostanza dolorosa, vissuta, che non viene mai spettacolarizzata. La sua protagonista, Sara, nasce e cresce in un contesto che è, sin dalle prime pagine, l’emblema di una contaminazione: familiare, urbana, simbolica.

“Nata nell’acqua sporca” non è metafora forzata ma intuizione folgorante: qui l’origine non protegge, non garantisce, ma espone. Il liquido amniotico che brucia, invece di custodire: ecco il punto sorgivo del romanzo.

Non c’è moralismo in questa narrazione. E nemmeno la tentazione del riscatto facile. Vitali conosce bene la differenza tra redenzione e sopravvivenza: la sua scrittura si colloca proprio nel luogo — letterario e umano — in cui l’individuo si limita a restare, a tentare, senza promettersi nulla. L’ascissa del romanzo non è verticale: non c’è ascesa, non c’è salvezza come destino.

C’è, piuttosto, una lenta, tenace lotta contro la sparizione. In questo, il realismo adottato è quanto mai necessario. Ma è un realismo febbrile, inquieto, che non si accontenta della registrazione. Esso si fa carne, si fa corpo, materia sensibile. Non c’è concetto che non sia incarnato, non c’è idea che non sia prima passata per il dolore fisico, per la ferita.

Napoli come personaggio

Lo sguardo che Vitali posa su Napoli — città scelta come ambientazione non per convenienza geografica, ma per necessità affettiva e simbolica — è quello che si riserva a un personaggio. Napoli è materia vivente, creatura notturna, dedalo interiore. Come scrisse la Ortese “non si racconta Napoli, si tenta di restituirle un volto senza tradirla” , così fa Vitali scegliendo una città che si dà nella sua visceralità e nel suo sbilanciamento, nel suo equilibrio sul vuoto e sul magma.

È, come avrebbe detto Pasolini, un corpo urbano che non ha più simboli ma solo sintomi. Vitali la guarda con occhi interni, come chi torna nel luogo madre per rileggerlo nel buio. È una Napoli tellurica, viscerale, privata di ogni oleografia. Una città che non offre redenzione, ma che si lascia attraversare, abitare, subire.

In questa geografia notturna, Sara si muove con il passo irregolare di chi non si è scelto la vita. I suoi coetanei, come lei, si anestetizzano, si spengono, si contraddicono. Non c’è retorica generazionale né sociologismo: la gioventù descritta è quella di sempre, fragile e inafferrabile, ma qui posta nel cuore stesso della crisi — non sociale, ma simbolica. È la crisi del significato, del senso. Non a caso, la narrazione si affida al corpo: luogo estremo di resistenza, ultima frontiera del sentire.

I corpi fragili di una generazione alla ricerca di un’identità

Vitali non giudica i suoi personaggi, non li salva né li condanna. Li osserva con pietas e rigore. Anche i genitori, assenti o distratti, non sono altro che esseri umani mancati, irrisolti, impauriti. Non c’è cattiveria, c’è impotenza. Non c’è crudeltà, c’è memoria amputata. E in questo, il romanzo si fa anche saggio silenzioso sull’eredità dei traumi, sulla genealogia del dolore.

Una letteratura che non consola

Certo, Nata nell’acqua sporca è anche un romanzo di formazione. Ma è una formazione spezzata, in controtempo. Non conduce alla maturità, ma a una forma di sopportazione lucida. Crescere, per Sara, significa imparare a convivere con le proprie ombre, non a dissolverle. E in questo Vitali tocca corde altissime: quelle in cui la letteratura non consola ma accompagna. E accompagna in basso, come avrebbe detto Elsa Morante.

Le influenze evocate — Rea, Ortese, Pasolini — non sono mai sfoggio. Sono presenze interiori, respiri che abitano la pagina. Ma c’è anche il cinema, come montaggio emotivo, come dispositivo della visione. La scrittura di Vitali ha un passo visivo, sensoriale, non letterario in senso stretto. E proprio per questo, sorprende.

“Nata nell’acqua sporca” è un’opera prima che non ha nulla della timidezza degli esordi. È un romanzo che osa, che non teme la materia incandescente, che parla da dentro. E in tempi di narrazioni leggere, consolatorie, decorative, l’entrata in scena di Giuliana Vitali è, a suo modo, un atto di resistenza. E anche, forse, di verità.

© Riproduzione Riservata