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“Meglio separate”, il libro del pm che smaschera i falsi miti sulla separazione delle carriere

Abbiamo intervistato il PM Gaetano Bono, autore di “Meglio separate”, libro in cui spiega come è possibile separare le carriere della magistratura, rafforzando le garanzie costituzionali.

Il libro di cui vi parliamo oggi è “Meglio separate” (le Lettere), opera in cui il PM Gaetano Bono spiega come è possibile separare le carriere, rafforzando le garanzie costituzionali. “Sì alla separazione delle carriere ma solo a una condizione: la permanenza del pubblico ministero all’interno dell’ordine giudiziario e il mantenimento della sua natura di organo libero da condizionamenti esterni”.

Meglio separate, la presentazione del libro

Il libro del PM Gaetano Bono “Meglio separate” è stato presentato presso la Sala Nassiriya del Senato della Repubblica lo scorso 25 gennaio, moderato e introdotto dalla giornalista Silvia Grassi, con i saluti introduttivi del Senatore Marco Silvestroni.

Al dibattito con l’autore del libro “Meglio Separate” hanno partecipato autorevolissimi relatori: i Consiglieri laici del Csm Felice Giuffrè (professore Ordinario di istituzioni di Diritto Pubblico a Catania) e Roberto Romboli (Professore Emerito di Diritto Costituzionale a Pisa), l’avvocato Rinaldo Romanelli, Segretario dell’unione delle Camere Penali Italiane.

 

L’intervista al PM Gaetano Bono

Abbiamo avuto modo di intervistare il sostituto procuratore Generale di Caltanissetta Gaetano Bono autore di “Meglio separate”, il primo e unico libro scritto da un PM non contrario alla separazione delle carriere in magistratura, ma solo a certe condizioni. L’autore, in modo semplice e chiaro spiega quali sono le garanzie costituzionali irrinunciabili e come si smascherano i falsi miti.

Il libro “Meglio separate”cerca di sfatare un mito abbastanza radicato nell’opinione comune. La tesi secondo cui giudici e PM prendono il caffè insieme e si danno del tu, quindi, poi il giudice non controllerebbe con sufficiente rigore l’operato del Pm che è suo collega. Cosa risponde ai sostenitori del teorema del caffè?

Si tratta di una tesi priva di fondamento, che viene facilmente smentita dall’osservazione della realtà. Basti guardare alle quotidiane decisioni dei giudici, tutte le volte in cui non accolgono le richieste dei pubblici ministeri. In altri termini, col teorema del caffè si vorrebbe denunciare la sussistenza di una forma di faziosità più o meno involontaria, e conseguentemente sostenere la necessità di porre fine all’unitarietà delle carriere, per rendere il giudice terzo e imparziale.

Ma questi lo è già, ragion per cui reputo erroneo sostenere che la separazione serva a garantire la terzietà e l’imparzialità del giudice. Peraltro a nulla servirebbe limitarsi a separare le carriere, poiché tale riforma avrebbe senso solo se fosse considerata come un’opportunità di modernizzare il sistema giustizia, purché necessariamente accompagnata da ulteriori interventi, tra cui la riduzione e rimodulazione delle procure, l’incremento della specializzazione dei magistrati requirenti e giudicanti, la diminuzione dei procedimenti civili e penali, l’ammodernamento delle infrastrutture informatiche, la riduzione dei tempi dei processi, e mi fermo qui per evitare un eccessivo “spoiler” del libro!

Quando si parla di separazione delle carriere lo spettro in agguato, è sempre quello della sottoposizione del PM all’esecutivo. Quale è la mediazione per arrivare a una separazione che scongiuri questi rischi?

Più che uno spettro è un pericolo reale. Ma io ritengo – e in ciò sta uno dei tratti maggiormente distintivi tra le mie tesi e quelle dell’Associazione nazionale magistrati – che tale pericolo possa essere scongiurato da una riforma realizzata secondo determinati crismi.

Nel libro, infatti, ho cercato di tracciare le direttrici da seguire e, così facendo, ho scorto la possibilità di guardare alla separazione delle carriere come a un’opportunità per migliorare il sistema giustizia, a partire da un serio incremento delle attuali garanzie di autonomia e indipendenza del pubblico ministero. P

er citare un’innovazione su tutte, andrebbe sancita la parificazione tra giudice e pubblico ministero, introducendo nella Costituzione un’esplicita norma che stabilisse la soggezione di entrambi soltanto alla legge, poiché l’attuale formulazione dell’art. 101 comma 2 Cost. si riferisce soltanto al giudice, e non impedisce l’emanazione di leggi ordinarie in grado di incidere sullo status del PM in modo da limitarne l’indipendenza.

Cosa risponde alla tesi secondo cui “Separando le carriere è a rischio l’indipendenza del PM” e che si rischia un Super poliziotto o un PM avvocato dell’accusa?”

È vero che c’è questo rischio, ma è altrettanto vero che non c’è alcun automatismo tra separazione delle carriere e trasformazione del PM in un superpoliziotto o in un avvocato dell’accusa, giacché ciò dipenderebbe da come la riforma venisse realizzata in concreto. In effetti, però, sia le proposte di legge presentate in Parlamento, sia quelle annunciate dal Ministro Nordio sembrerebbero suffragare il timore che tale pericolo si concretizzi.

Rimando al libro per l’analisi delle conseguenze nefaste e delle condizioni atte a scongiurarle, in mancanza delle quali affermo chiaramente che sarebbe meglio tenersi il sistema attuale.

Nel suo libro “Meglio separate” si dice “Sì alla separazione delle carriere ma solo a una condizione: la permanenza del pubblico ministero all’interno dell’ordine giudiziario e il mantenimento della sua natura di organo libero da condizionamenti esterni”. Quale è la preoccupazione storica dei suoi colleghi dell’Associazione nazionale magistrati sulla separazione delle carriere?

Tale preoccupazione, che è anche la mia, è il venir meno dell’indipendenza del pubblico ministero, attraverso il suo assoggettamento all’Esecutivo o, comunque, il suo condizionamento da parte del potere politico.

Ma, a differenza dell’ANM, io ritengo che ci possa essere un modo per superare tale preoccupazione, rispettando tutta una serie di condizioni, tra cui la permanenza del PM nell’ordine giudiziario, il mantenimento della sua natura di organo libero da condizionamenti esterni, la salvaguardia della cultura della giurisdizione, la conservazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la conferma dell’autonomia nella direzione e nel coordinamento della polizia giudiziaria, e lascio alla curiosità del lettore l’individuazione delle altre condizioni e della maniera per attuarle.

Nel libro “Meglio separate” vengono poste come condizioni irrinunciabili per la separazione delle carriere “le garanzie costituzionali e il rafforzamento di una cultura comune della giurisdizione”, ma nei disegni di legge attualmente depositati alla Camera, non si dice questo. Un suo auspicio?

Purtroppo lo confermo, avendo dedicato ad essi un apposito paragrafo. Ma ci tengo a precisare che ho pensato di inserire una specifica analisi dei disegni di legge in discussione per mostrare quale possa essere la concreta funzione del libro.

In particolare, difatti, occorre considerare che l’ho scritto prescindendo da specifiche proposte di legge, sviluppando un ragionamento di ampio respiro, prendendo le mosse dalla Costituzione al fine di evidenziare che certi principi e valori costituzionali, specialmente quelli che danno maggiore contezza all’essenza liberaldemocratica del nostro ordinamento, come la separazione dei poteri e lo Stato di diritto, potrebbero essere irrimediabilmente erosi da una riforma mal realizzata.

Ecco che il libro può essere utilizzato come una cartina di tornasole per valutare presenti e future ipotesi di riforma della giustizia, onde captarne tutte le implicazioni negative.

Pertanto l’auspicio è che, se una separazione delle carriere vorrà realizzarsi, non ci sia alcun arretramento sul piano delle garanzie costituzionali e dell’indipendenza della magistratura.

Nel libro “Meglio separate” si fa una distinzione, sottile ma importante quella tra separazione delle funzioni e separazione delle Carriere. La prima di fatto c’è già, lo dicono i numeri: dal 2006 la media dei trasferimenti da una funzione all’altra è di 50 magistrati all’anno, e solo 21 nel 2023. Peraltro, con i paletti della riforma Cartabia, i cambiamenti di funzione saranno ancora di meno in futuro, perché consente un solo passaggio nell’arco dell’intera carriera. Perché servirebbe anche la riforma Costituzionale della separazione delle carriere?

La separazione andrebbe fatta con riforma costituzionale per rafforzare ulteriormente le garanzie costituzionali ed escludere alla radice ogni pericolo di sottoposizione del PM al potere politico, incrementandone persino l’autonomia e l’indipendenza, sicché non sia più possibile che leggi ordinarie – come purtroppo è accaduto e può ancora accedere – possano introdurre forme di limitazione più o meno palesi.

Peraltro nel libro ho approfondito anche la questione dell’indipendenza interna del pubblico ministero, ossia il modo di regolamentare i rapporti tra il Procuratore e i sostituti, affrontando la problematica della tendenziale gerarchizzazione delle procure, per fronteggiare la quale ho prospettato vari percorsi, tra cui anche soluzioni inedite.

Nel libro “Meglio separate” scrive “la necessità di preservare l’indipendenza e l’imparzialità va intesa non solo in senso sostanziale, ma anche in senso formale, poiché occorre preservare il fatto che il PM appaia- oltre ad esserlo – libero rispetto a influenze esterne”. Quindi il PM dovrebbe essere come la moglie di Cesare, ma quando non lo è, quali sono le difese per i cittadini?

I rimedi ci sono e non sono pochi. Per esemplificare, c’è l’ordinario controllo giudiziale sui provvedimenti dei pubblici ministeri nei vari gradi di giudizio, ma anche plurime forme di responsabilità, come quella disciplinare, civile, contabile, da violazione del principio di ragionevole durata del processo (cd. legge Pinto), da incompatibilità ambientale.

Ciò non vuol dire che non si possa ulteriormente migliorare il sistema, purché non si pensi di rispolverare l’idea di forme di responsabilità diretta dei magistrati, che non risolverebbe alcun problema e, anzi, aprirebbe al rischio di diffusione del germe della “giurisprudenza difensiva”, per mutuare il termine dalla più nota “medicina difensiva”.

Per l’ANM (nota del 6 febbraio 2023) È la realtà dei fatti che smentisce l’assunto secondo il quale il giudice sia “culturalmente adesivo” alla prospettiva del PM: nel 48% dei giudizi penali la sentenza è di assoluzione, nel 45% di condanna, il resto ha esito misto.

Questi dati ci dicono che il tema della separazione delle funzioni è un falso problema, ma resta il tema della separazione delle carriere, che viene declinato anche con la separazione dell’accesso in magistratura e con la separazione dei CSM, uno per i giudici e uno per i PM. Quindi, se riforma costituzionale deve essere, quali sono i paletti?

Ad uno ho già accennato, ossia la modifica dell’art. 101 della Costituzione, prevedendo che non solo i giudici, ma anche i pubblici ministeri siano soggetti soltanto alla legge.

Per fare qualche altro esempio, si dovrebbero mantenere le norme sull’inamovibilità dei magistrati, sul loro distinguersi solo per le funzioni svolte, sulla dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero; o, ancora, si dovrebbe introdurre, per i pubblici ministeri, un sistema tabellare simile a quello previsto per i giudici, con gli adattamenti necessari alla peculiarità dell’organizzazione degli uffici di procura.

Per “giudicare ci vuole talento” lo scrive nella prefazione di Meglio Separate il prof. Alessio Lo Giudice, Ordinario di filosofia del diritto a Messina. Ma ci vuole talento anche per trovare una mediazione che contemperi la separazione delle carriere con le garanzie costituzionali della magistratura. Qual è il punto d’incontro, per un’ipotesi di riforma che guardi nell’ottica di una migliore tutela dei cittadini?

È proprio partendo da una simile domanda che è iniziata la mia riflessione dalla quale poi è venuto fuori “Meglio separate”. Il libro non indica una specifica proposta di legge con un articolato e previsioni di dettaglio, ma sviluppa una riflessione nell’intento di valutare le tesi favorevoli e contrarie alla separazione, verificando la possibilità di realizzarla mantenendo alcune condizioni irrinunciabili.

Ed è per questo che, anche nella scelta del registro linguistico, è un libro non destinato esclusivamente ad addetti ai lavori, che ovviamente sono gli interlocutori privilegiati, e mi riferisco soprattutto all’avvocatura, alla magistratura, all’accademia, alla politica, ossia a coloro che possono dare un contributo di tipo tecnico al dibattito.

Ma, proprio per i riflessi che la riforma avrebbe sulla tutela giurisdizionale dei diritti, essa non può non interessare al comune cittadino, per il quale il pubblico ministero rappresenta l’organo dello Stato preposto a tutelare quei beni giuridici, quei diritti, per i quali l’ordinamento prevede la massima protezione possibile, tramite la legge penale.

Ecco perché qualsiasi riforma che vada a incidere sullo status del pubblico ministero, come quella sulla separazione delle carriere, va valutata tenendo conto degli effetti che essa avrebbe sulla sua autonomia e indipendenza.

di Silvia Grassi

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