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Massimo Recalcati, “La parola e il dialogo possono fermare la violenza”

Lo psicanalista Massimo Recalcati è uno dei più importanti esperti di psicoanalisi in Italia. Tra i suoi discorsi più celebri, quello sulla tolleranza, sulla fratellanza e di come è possibile uscire dalla violenza.

Nato il 28 novembre 1959, oggi Massimo Recalcati compie 63 anni. Oggi Recalcati è uno dei più importanti esperti di psicoanalisi in Italia, intervenuto più volte su temi di grande attualità come la scuola, l’istruzione, la socialità ai tempi del Covid, la guerra. Ricordiamo oggi un suo intervento di stretta attualità ed importanza, tenuto nel corso dell’inaugurazione di Pordenonelegge 2020. 

Recalcati sull’attualità

Durante quell’occasione, l’autore ha commentato come lo scenario dell’attualità presenti spesso casi di violenza che sono spiegabili attraverso Il gesto di Caino, cosi come si intitola il suo saggio edito da Einaudi. Un gesto non istintuale come quello degli animali, “perché l’uomo – spiega Recalcati – attua la violenza, traendone godimento e soddisfazione. La storia dell’umanità nasce appunto dalla sopraffazione e dal fratricidio, un dato connaturato alla natura dell’uomo, dove invece la fratellanza nasce come una lunga costruzione”.

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La fratellanza nasce come esperienza fallimentare

Tutte le esperienze di fratellanza di cui parla la Bibbia sono esperienze fallimentari. “Sono luoghi dove trova posto la frèrocité, – spiega lo psicanalsita – per dirla con un neologismo coniato da Lacan (frèrocité, ferocia + frère, fratello), ovvero la ferocia tra fratelli. Caino non accetta l’arrivo di Abele, non accetta di non essere più unico, rifiuta il due. L’essere umano fa fatica a tollerare l’altro e la violenza è una tentazione che punta a sopprimere l’altro. “Siamo abituati a pensare alla contrapposizione binaria fra Caino e Abele – spiega la lezione del filosofo – ma in realtà c’è sempre l’inserimento di un terzo elemento sin dall’inizio. Abele causa la frattura fra Caino e la madre, Dio preferisce i doni di Abele a quelli di Caino e lo espone a una ferita narcistica. Caino infatti aveva coltivato l’illusione di essere non il figlio unico, ma l’unico figlio”. 

Aprirsi alla tolleranza

Dio condannò quindi Caino ad essere per sempre ramingo e pose un segno sul suo capo come marchio, ma proibì che fosse ucciso. Ovvero lo destituì dal suo privilegio narcisistico: lo gettò nel mondo cosi come aveva gettato prima Adamo ed Eva. L’amore arriva poi in un secondo momento ma non sconfigge l’odio, che viene prima di tutto. “E odio e amore  – spiega ancora Recalcati – convivono in noi, ovvero c’è un inconscio criminogeno in ciascuno. Lo aveva riconosciuto, ben prima di Freud che per inciso aveva molto gradito come dono per i suoi diciotto anni la Bibbia, già sant’Ambrogio.

“Farsi prossimo a Caino” vuol dire appunto proiettare Caino nell’altro. Una volta che lo si riconosce, come dice Deleuze, cioè vedendo la parte buia di noi stessi, ci si può aprire alla tolleranza.  Se dopo il primo peccato Dio aveva chiesto: “Adamo, uomo, dove sei?”, ora all’omicida Dio domanda: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Ovvero: “Che rapporto hai con l’altro?”. “È questa la possibilità di risalire la china e il punto di partenza della salvifica prassi della fraternità, radicato nella domanda per eccellenza sui rapporti tra gli umani: dov’è tuo fratello? – dice Recalcati – Ciò che infatti definisce Caino è il suo essere “fratello di”: solo chi sa di essere fratello comincia a sapere chi è lui stesso, anche se spesso non vogliamo capirlo.” Ogni umano, per essere tale, deve porsi in un rapporto situato, in un faccia a faccia con altri umani, altrimenti è perduto. E questo legame responsabile si definisce fraternità. Ma questo legame è possibile nella realtà?

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L’importanza del dialogo per fermare la violenza 

Recalcati sembra dare una risposta affermativa, in un arco teso tra l’inizio e la fine della sua intensa riflessione: “Il nostro compito è lo stesso che ha atteso Caino all’indomani del suo gesto disperato e spietato: tradurre la violenza narcisistica e senza Legge dell’odio in un nuovo legame possibile con l’Altro. Consentire alla Legge della parola di interrompere la ripetizione senza fine dell’odio e della distruzione.  “La fratellanza è un percorso di rinuncia alla violenza, che sorge dal narcisismo, e di progressiva umanizzazione – spiega lo psicanalsista – si attua nella democrazia, nel molteplice che riconosce l’altro e il suo diritto all’esistenza”.

Nella nostra epoca come si può fermare la violenza? Non con l’erudizione ma con la parola perché, come dice Deleuze, la violenza non parla. Willy Duarte aveva proprio cercato con la parola e con il dialogo di fermare la violenza. La pandemia ha amplificato la sensazione connaturata all’uomo che l’altro possa costituire un pericolo. Però il lungo isolamento che ci ha fatto capire quanto dipendiamo dagli altri ci ha anche fatto intendere che l’altro è una risorsa: ci si salva solo insieme.  La libertà non è un fattore individuale cosi come lo avevamo appreso dalla nostra tradizione liberale, ma è un fatto collettivo e senza solidarietà non ha senso di esistere.

Il ruolo delle istituzioni per la rinascita della fratellanza

La pandemia ha riportato alla luce il pensiero di Darwin e Marx. Da una parte Darwin per il fatto che il Covid ha massacrato i più deboli, un darwinismo cinico che ha selezionato i più deboli. Dall’altra Marx perché la crisi ha inasprito i contrasti sociali e ha penalizzato gli ultimi e i più deboli, ai quali devono guardare le istituzioni che non dobbiamo immaginare solo come fredde e asettiche. “Anche l’anarchico Pasolini – ricorda Recalcati – riconosceva una poetica delle istituzioni, che devono dare prova di fratellanza. Cioè devono dimostrare di essere capaci di starci vicino tempestivamente.”

Durante la pandemia che, oltre ad aver aumentato le paure e fatto crescere l’importanza e l’irrinunciabilità delle relazioni ha anche accentuato le disuguaglianze, le istituzioni avrebbero dovuto essere in prima fila nel dare prova di fratellanza, dimostrando concretamente di essere in grado di stare vicino agli ultimi, perché quando l’ultimo è abbandonato e l’altro non risponde scoppia la violenza, che non parla. “E davvero – conclude Recalcati – non c’è altra strada per rigenerare il mondo, per sanare le ferite, per riscattarsi dalla violenza che farsi prossimo di Caino e non solo di Abele. Cioè imparare a vedere la parte buia di noi stessi, sapere che in noi convivono sia Caino che Abele. Questo ci  aiuta a essere più tolleranti e più fraterni, a non prendere le distanze erigendo muri e irrigidendo i nostri confini fino a blindarci dentro le nostre identità. La scommessa dell’essere umani.

Alessandra Pavan

 

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